Duke

//
4 mins read

Come già capitato in altre occasioni, in particolare per Bob Morane e per Lo Sparviero, una BD che ho letto funge da punto di partenza per alcune considerazioni sul mondo del fumetto (quello franco-belga, ma non solo) e dell’arte in generale… Stavolta parlerò dell’ultima serie western del mio disegnatore preferito: Hermann.


Chi ha seguìto questa rubrica ricorderà facilmente che il belga Hermann Huppen è sempre stato il mio disegnatore preferito, fin dalla fine degli anni Settanta e dalla mia scoperta dei fumetti della scuola franco-belga sulle pagine di Lanciostory, quando – con i testi di Greg – iniziai a leggere le avventure di Comanche e di Bernard Prince. Il segno realistico e al contempo peculiare di questo disegnatore, senza protagonisti ipermuscolosi né protagoniste ultrasexy come succedeva invece in altri fumetti, mi attraeva tantissimo: quando poi divenne un autore completo con il capolavoro Jeremiah, salì per me nell’empireo delle star e non c’era viaggio in Francia in cui non transitassi dalla FNAC di turno per sfogliare eventuali nuovi albi di questa serie pubblicati nel frattempo, in attesa che poi comparissero sul mercato italiano grazie all’Eura Editoriale.

Questa consuetudine è continuata negli anni Duemila, anche se – con il passare del tempo – mi sembrava che il segno di Hermann diventasse più incerto a causa dell’età… sensazione confermata nel mio ultimo viaggio in Francia (di cui ho parlato in questo articolo) prima della pandemia, nel 2018. Quella volta, tuttavia, oltre all’ennesimo albo di Jeremiah sfogliai anche i primi due albi di Duke, la serie con cui questo autore – sui testi del figlio Yves H. – tornava finalmente al western tradizionale: come scrivevo nella sua scheda della sottorubrica I maestri della BD, “il protagonista è Duke, un uomo tormentato, vicesceriffo di una piccola cittadina […] ma anche pistolero provetto abituato alla violenza. Quando scoppia un conflitto tra minatori e proprietari terrieri, deve abbandonare la sua neutralità e ricorrere a ciò che conosce meglio e teme di più: le sue armi…

Questa serie si è conclusa l’anno scorso, dopo sette albi in stretta continuity, rigorosamente pubblicati dalla casa editrice Lombard a gennaio di ogni anno, dal 2017 al 2023. Il mio ritorno in Francia dopo la pandemia è stato contraddistinto da una seduta fiume alla FNAC di Grenoble per leggere tutta la serie (nel frattempo pubblicata anche da Lanciostory, che però non seguo più da oltre vent’anni), ma ho esitato a parlarne fino a oggi perché… beh, perché ne ero rimasto veramente deluso, tanto da non acquistare gli albi. La trama mi era sembrata stiracchiata, inutilmente contorta in alcuni passaggi e probabilmente condensabile in meno pagine – ma d’altronde non era la prima volta che le sceneggiature di Yves H. non mi convincevano (devo confessare che spesso mi sono chiesto se avrebbe avuto le stesse opportunità di carriera se non fosse stato figlio d’arte…).
Però, inutile girarci intorno: la delusione maggiore era dovuta soprattutto ai disegni, a quella sensazione di “incertezza” del tratto che già da tempo stava rovinando i miei – bei – ricordi legati soprattutto a Jeremiah. Se le tavole paesaggistiche erano ancora di ottimo livello, come si può vedere a corredo di questo articolo, erano le fisionomie dei volti che mi lasciavano insoddisfatto, a causa della frequente mancanza di leggibilità che costringeva a concentrarsi attentamente per non confondere un personaggio con un altro, talvolta non riuscendoci.
Naturalmente, un calo qualitativo dovuto all’età (Hermann è nato nel 1938…) è da mettere in conto: però questa constatazione apre la strada a due diverse riflessioni.

La prima: è “giusto” che un artista, soprattutto un disegnatore, arrivato a una certa età, continui a lavorare? Non sarebbe meglio, a un certo punto, farsi da parte in bellezza – magari mettendo la parola fine a una sua opera particolarmente rappresentativa (che per Hermann non potrebbe essere altro che Jeremiah) – invece di andare incontro a un inesorabile declino? Il saccentino di turno, limitandosi al mercato italiano, potrebbe farmi almeno un paio di esempi di disegnatori bonelliani rimasti sulla cresta dell’onda anche in tard(issim)a età: l’eterno Roberto Diso, ancora oggi in attività (classe 1932) e il Maestro Gallieno Ferri che, quando è deceduto a 87 anni, ancora disegnava – egregiamente – il suo Zagor. Potrei obiettare che Diso e Ferri sono l’eccezione, non la regola, facendo a mia volta un paio di esempi di disegnatori, stavolta texiani: i miei adorati Galep e Letteri, che nei loro ultimi anni di carriera avevano continuato a disegnare ma con un drammatico declino della qualità che aveva inficiato le loro ultime prove.

A questo punto, il saccentino di cui sopra potrebbe passare a un’altra obiezione: se un artista continua a lavorare a un livello che a te, fruitore, sembra ormai divenuto insoddisfacente… perché continui a seguirlo e non ci dai un taglio? E qui subentra la seconda riflessione: è “giusto” che un artista continui a lavorare puntando sulla fidelizzazione dell’appassionato, sulla sua nostalgia, sulla sua “ansia da completismo” – tipica del collezionista – che sovrasta le valutazioni oggettive sulla qualità ormai irrimediabilmente scaduta? Una bella domanda, che mi porta a pensare a quante volte, ragionando in modo oggettivo, dovrei smettere di seguire certi artisti o certe opere… e poi mi ritrovo comunque a vedere l’ultimo Indiana Jones al cinema, a leggere i romanzi di Montalbano fino alla scomparsa di Camilleri, a cercare di acquistare il biglietto per il prossimo concerto di David Gilmour a Roma… e mi porterà comunque a leggere, appena possibile, l’ultimo albo di Jeremiah nonostante tutte le considerazioni fatte finora, nonostante la recensione negativa del nostro Vasco Zara (che aveva assegnato un 6 di pura stima, ma notando come i tratti dei volti cambiassero a ogni vignetta), nonostante la media dei voti apparsi sul sito Bédéthèque che indica addirittura un terrificante 1,3 su 5 (!).

Naturalmente, tutte queste sono valutazioni personali che lasciano il tempo che trovano… Intanto Hermann continua imperterrito per la sua strada: a inizio 2024 è apparso il primo volume di una nuova serie (sempre con i testi del figlio Yves H.), Brigantus, ambientata in Scozia nel primo secolo dopo Cristo. Le vignette con i legionari romani che sono riuscito a sbirciare online mi hanno fatto pensare a uno storico episodio di Jeremiah (Ave Caesar) ma il contrasto, quasi trent’anni dopo, non avrebbe potuto essere più stridente e un’ideale esortazione mi è sorta spontanea: Hermann, per favore, non continuare a tirare la corda…

————————
BD MON AMOUR – tutti gli articoli

Marco Gremignai

L'uomo che veniva da Peccioli

Articolo precedente

ARF! Festival del Fumetto 2024

Prossimo Articolo

Alan Ford Original n.660
“Il piano di Putifarre”

Ultimi Articoli Blog