Apparizioni d’Autore

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Patrice Killoffer non è certo uno dei volti più noti del fumetto francese in Italia, questo per due motivi fondamentali: il primo, comprensibile, risiede nel fatto che la sua produzione è sempre stata rivolta verso un fumetto di sperimentazione e quindi di difficile presa verso il grande pubblico; il secondo, molto meno spiegabile, è che fino a pochi mesi fà il suo lavoro era inedito in Italia.
Coconino con questa pubblicazione colma due importanti lacune del mercato italiano: la mancanza di opere di Killoffer in generale e la mancanza di 676 apparizioni di Killoffer in particolare.
In Francia il fumetto è stato pubblicato da L’Association, importante casa editrice indipendente di cui Killoffer è cofondatore, famosa per essere stata, tra gli anni novanta e i primi del duemila, promotrice di un fumetto più intimista, legato alla realtà e unicamente in bianco e nero.

Una tavola sommersa dalla scrittura

676 apparizioni di Killoffer, come del resto tutte le biografie, ha una trama lineare. Il protagonista, per l’appunto l’autore, fugge dai suoi problemi in Francia (rappresentati in maniera metaforica da un lavandino sporco) e decide di trasferirsi momentaneamente in Canada a Montreal; qui in una terra straniera avrà modo di riflettere su se stesso, sulle proprie ossessioni e sulle sue peggiori pulsioni, al punto da renderle reali come suoi doppi. Solo un durissimo confronto con i suoi se stessi gli consentirà di trovare un nuovo equilibrio e poter così tornare in Francia a Parigi.
Quest’opera si sviluppa su due diversi livelli: il primo strettamente legato al contenuto, intimista e allo stesso tempo universale; il secondo strettamente legato al linguaggio e alla grammatica del fumetto.

La scelta di un’autobiografia denota fin da subito la volontà dell’autore di mettersi completamente a nudo, possiamo poi discorrere a lungo su quanto questa rappresentazione sia comunque maschera generando così un personaggio altro dall’autore. Di fatto la distanza tra le due entità viene, in questo modo, enormemente ridotta.

Onanismo multiplo

Il racconto a Montreal si caratterizza, nelle sue battute iniziali, per una sovrabbondanza di parola, i disegni sono letteralmente immersi in quello che potremmo definire un flusso di coscienza. Seguiamo le azioni del protagonista, parimenti i suoi pensieri in cui si intrecciano riflessioni personali sulle donne, cinismo o meglio ancora nichilismo scatologico (meglio definito su Fumettologica) e tensioni sessuali che saranno poi centrali nelle sue apparizioni.
I parallelismi tra uomo e vermi, tra riproduzione e defecazione nascondono una critica ben più puntuale, ben più concreta di quanto non appaia ad una lettura decontestualizzata. È ora necessaria una digressione.
L’anno di pubblicazione in Francia del fumetto risale al 2002, periodo caratterizzato da una vera e propria invasione di autobiografie sul mercato del fumetto, molte delle quali tanto melense quanto prive di contenuto. L’opera di Killoffer va considerata all’interno di questo contesto editoriale, la sua è voluta essere una risposta critica a quel fenomeno, una risposta sul campo. In quest’ottica possiamo apprezzarne un’ulteriore chiave interpretativa. Per quanto lodevole, il recupero di 676 apparizioni di Killoffer da parte del mercato italiano appare tardivo, disinnescandone di fatto una componente importante.
L’elemento verbale, quasi invasivo nella prima parta del racconto, scompare improvvisamente e inaspettatamente alla decima pagina. L’interruzione avviene nel momento in cui le apparizioni si fanno più numerose, il racconto più crudo, le pulsioni più primordiali. La storia si fa estrema nel momento in cui cessa di essere narrata e diviene esclusivamente mostrata. È come se l’autore riconoscesse al disegno una maggiore immediatezza. L’autore francese, nel momento di mostrare e affrontare le sue pulsioni più nascoste e forse anche le più dolorose, rinuncia ad un linguaggio più costruito, come è la scrittura, per abbracciarne uno più elementare e forse per questo in grado di rappresentare meglio una verità più intima.
Nessuno dei suoi istinti più terribili ci viene risparmiato, in particolar modo violenza e sesso rappresentano il perno attorno a cui ruotano le sue brutalità. Tutti i peggiori istinti di Killoffer sono esposti senza per questo cadere nella retorica del giudizio.
Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha pensato a qualcosa di terribile, inconfessabile, la cui ragione ha saputo sopire; ecco, è proprio quello l’istante in cui questo fumetto nasce. Ogni istinto, invece di essere represso, genera un clone dell’autore senza freni.

Killoffer scappa e l’istinto genera il clone delle sue perversioni

Le scene di violenza e sesso sono sempre molto forti, sempre più forti. Sarebbe un errore parlare però di sadomasochismo; tali pratiche sessuali rientrano sempre in un contesto consensuale, con una forte componente ludica, assolutamente assente in questo romanzo grafico. Vi troviamo invece lo stupro, atto prevaricante, egoistico ed egocentrico. Questa autoreferenzialità, la quale permea tutta l’opera, è ben rappresentata dall’orgia sodomita presente nelle ultime pagine, una sorta di onanismo primitivo al cubo.
Per uscire da questa situazione Killoffer non avrà altra scelta che combattere direttamente ognuno dei suoi lati oscuri. Non è un caso se per affrontarli dovrà tornare in casa, spogliarsi e confondersi tra loro (un’azione dalla forte componente metaforica) e solo allora potrà finalmente eliminarli, al culmine di una delle scene più forti e intense di tutto il fumetto. Dopo la tempesta, la calma, un ritrovato equilibrio grazie al quale sarà possibile tornare a Parigi e per affrontare quel lavandino lasciato sporco.

Killoffer cerca di trasmettere il suo senso di disagio al lettore attraverso celte grafiche peculiari. Abbandona completamente la classica suddivisione della tavola, abbandona le vignette, optando per una composizione liquida, indefinita anzi, se vogliamo essere più precisi opta per una contrapposizione tra i due approcci. La Francia come luogo della realtà, il contingente con le sue problematiche evocate dalla più classica delle composizioni, un due per tre regolarissimo. Il Canada come luogo dell’introspezione, della mente, quasi un luogo onirico, le vicende così come le vignette si sovrappongono, perdono la loro consistenza, rendendo di fatto possibile un atto, se pur violento, di intima riflessione.

Sperimentazioni varie

Patrice Killoffer fa parte, fin dalla sua costituzione nel 1992 dell’OuBaPo, Ouvrir de Bande dessinée Potentielle (Officina di Fumetto Potenziale), movimento legato all’editoria proprio attraverso L’Association. In virtù di questo legame è naturale trovare nelle “apparizioni” anche un discorso esclusivamente formale sul linguaggio del fumetto. Nelle tavole che compongono il volume sono presenti numerose sperimentazioni grafiche, molte legate al bianco e nero, alla gestione dello spazio, alla contrapposizione tra vuoto e pieno, altre ancora, in una tavola ormai anarchizzata, al senso di lettura o meglio, al tentativo di sovvertirne l’andamento occidentale sinistra/destra, alto/basso. La forte componente sperimentale unita ai numerosi cloni dell’autore ha fatto parlare Paul Gravet di “effetto de Luca”

“Si parla di Effetto De Luca quando smantellata la struttura classica della tavola che  crea isomorfismo tra tempo e suddivisione in celle, basandosi su una sequenzialità tra le stesse, si passa ad un spazio unico d’azione – quasi una quinta teatrale, che ha portato la critica a parlare di teatralizzazione del fumetto – in cui l’attore diventa un segno del tempo.”
Conversazioni sul fumetto

tale ipotesi appare in realtà senza fondamento se non ad una lettura piuttosto superficiale.
L’unico punto di contatto tra i due autori, se proprio abbiamo la necessità di trovarlo, sta nella ricerca di nuove possibilità grafiche per il linguaggio a fumetti, che poi si arrivi a soluzioni analoghe è del tutto accidentale. Killoffer lega la sua sperimentazione formale (quando lo fa) ad un’analisi psicoanalitica individuale mentre in de Luca tale ricerca è più orientata verso un confronto con altri tipi di linguaggio come quello teatrale. Sarebbe un errore comparare i due autori sulla base ideologica di due singole opere come l’Amleto e 676 apparizioni di Killoffer, non dobbiamo dimenticare infatti che l’autore italiano ha sempre inserito il particolare “effetto” nelle sue opere, in nuce nel commissario Spada e più capillarmente in tutte le riduzioni shakespeariane. Chiudo l’argomento linkando l’intervista rilasciata a Fumettologica da Killoffer in cui, tra le sue fonti, è completamente assente l’autore calabrese.

Un’opera di altissimo livello sia per contenuto sia per forma e forse ancora di più per come questi due aspetti sono stati magistralmente fusi da Killoffer. Una lettura che non potrà lasciare indifferente il lettore, un pugno allo stomaco difficile da dimenticare. Un fumetto la cui pubblicazione italiana non può che rendere felice qualsiasi appassionato della nona arte.

Federico Catena

Ci sono più cose nei fumetti di quanto ne sogni la letteratura.

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