Pigmalione ed il suo Complesso “featuring”: Evangeline AK McDowell

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Prima di iniziare, un doveroso avvertimento: trattando di un personaggio centrale di ben due saghe a fumetti, il seguente articolo potrebbe contenere MOSTRUOSI spoiler. Si raccomanda di proseguire se:

  • Siete qui solo per il titolo e non vi è mai interessato molto di fumetto giapponese d’azione;
  • Siete qui perché vi interessa il fumetto giapponese d’azione e avete già letto e riletto “Negima!” e buona parte di “UQ Holder”;
  • Siete qui perché vi interessa il fumetto giapponese d’azione ma per motivi difficili da spiegare non avete letto, né pensate di leggere, “Negima!”… oppure vi piace avere le sorprese rovinate.

Iniziamo.

Eva & Eva

Diamo per scontato che conosciate la leggenda di Pigmalione: scultore greco che innamoratosi della statua scolpita chiese ad Afrodite di poterla sposare, vedendosela trasformata in una donna vera di fronte agli occhi. La metafora risponde ad una domanda in realtà ampiamente retorica: “può un creatore innamorarsi della sua creatura?”. Ovviamente sì: in misura maggiore o minore, al di là che sia stata concepita conforme o difforme rispetto ad un ideale, già solo le ore di lavoro spese su di essa creano tutti i presupposti per un legame emotivo.
Se ne accorge l’autore? Probabilmente, no… ma al lettore la cosa difficilmente sfugge.

Questo è sicuramente il caso di Evangeline Athanasia Catherine “Kitty” McDowell, comprimaria in ben due opere di Ken Akamatsu, i citati Negima e UQ Holder.
Inizialmente Evangeline, anzi per tutti Eva (o Maestro, più raramente Maga Nosferatu e, solo se in grado di sopravvivere, Kitty) venne intesa da Akamatsu come il più classico “aiutante diabolico”, un “malvagio” che per diversi motivi si trova ad aiutare il buono accelerando la sua crescita come nessuna “forza positiva” sarebbe riuscita a fare.

Sappiamo che dopo che Sheridan Le Fanu con la sua Carmilla aveva reso evidente l’indiscutibile fascino di una bellezza eternamente giovane, altri scrittori sono riusciti a rincarare la dose esplorando il tragico di una bellezza eternamente infantile: Anne Rice con la ferocemente a-morale Claudia di Intervista con il Vampiro, o  John Ajvide Lindqvist con la Eli di Lasciami Entrare.
Ma se consideriamo la vasta pletora (31 ed in rapido aumento) di archetipi e concessioni fetish messa in campo senza vergogna da Akamatsu in Negima, alla fine Eva non era nient’altro che un’archetipo noto: la vampira bambina in una classe composta da ragazze samurai, ragazze ninja, ragazze robot, hacker, maghe, pistolere, geni pazzi ed eredi di dinastie. Quando l’eccezionalità è la norma, essere eccezionali è banale.

Nella sua prima scrittura Eva, rispetto all’archetipo, si avvantaggiava assomigliando come carattere alla cinicamente divertente Mercoledì Addams (soprattutto nell’interpretazione di Maria Cristina Ricci): egocentrica, sarcastica, indomabile e ben poco modesta, affettata nei modi solo quando le era conveniente, altrimenti capricciosa, iraconda ed in alcuni momenti anche sciatta ed indifferente.
È probabilmente proprio questo suo carattere “Positivamente malvagio” a farla crescere agli occhi dell’autore e del lettore: durante la narrazione molto spesso i personaggi dibattono su quale sia il modo “giusto” di affrontare le difficoltà o i contrasti, ma il pensiero dell’autore su quale sia la verità dietro alle cose che si affrontano e alle conseguenze delle proprie azioni viene progressivamente sempre più palesato dalla deliziosa ma feroce bocca di questa eterna bambina.

Sia che si tratti di riflessioni filosofiche:

La natura del male (lettura giapponese)

Sia che si tratti dell’unica vera conseguenza di una lotta:

La forza non dà ragione a nessuno (lettura giapponese)

oppure di ciò che rende i protagonisti tali:

I protagonisti… (lettura giapponese)

non mancando di denudare l’essenza del suo stesso destino:

… e gli antagonisti (lettura giapponese)

Abbastanza naturalmente ed abbastanza rapidamente il personaggio prende una definizione ben precisa e totalmente discordante con il suo aspetto; da archetipo buono per vari feticismi, Eva diventa il classico “Maestro” da epica guerresca orientale.
Ed è incredibile come il vestito le calzi a pennello: ha qualche secolo di sopravvivenza alle spalle e, quindi, è solo ovvio che “le sappia tutte” ma che, apparentemente, non abbia alcun motivo per farsi coinvolgere troppo. Apparentemente.
Principalmente con le parole e con le coercizioni “apre la strada” a coloro che si trovano ad esserne, per scelta o meno, discepoli. E quando le viene fatto notare che la strada ha come sbarramento la concreta minaccia di distruzione, si limita ad osservare che si tratta del modo migliore per determinare il valore del discepolo.

Cattiva maestra (lettura giapponese)

Ma quando lo scontro è completamente impari fin dall’inizio, quando un avversario ha praticamente intavolato un gioco truccato, ecco che la “maestra” scende in campo ed impartisce una lezione supplementare a chi si compiaceva di vincere barando.

Poi accade che, con una scelta piuttosto anomala, Ken Akamatsu concluda “Negima!” senza aver dato risposta a tutte le domande che erano state poste. Ci sono molte spiegazioni possibili per questo, ma mi piace credere che si sia semplicemente reso conto che il protagonista Negi Springfield non potesse crescere ancora: arrivato tra varie vicissitudini a livelli non sovrumani, ma semidivini, di forza e capacità, andare oltre sarebbe stato sconfinare nel ridicolo.
Certo, come molti altri autori, da Akira Toriyama in poi, avrebbe potuto far finta di niente e inserire uno dopo l’altro ulteriori archi narrativi in cui protagonista ed avversari avrebbero superato limiti che era stato detto e ribadito fossero insuperabili, andando quindi a terminare tutte le “missioni” e ottenere la ricompensa inseguita fin dall’inizio.
Quale che sia il motivo, Akamatsu non percorre fino in fondo questa strada ed il suo protagonista, nonostante abbia trasceso di parecchio i limiti mortali, non riesce comunque a realizzare ogni suo desiderio o, se succede, succede lontano dagli occhi del lettore (che è la stessa cosa). Si potrebbero trarre profonde morali da questo ma, insomma, stiamo parlando di un manga d’azione per ragazzi!

Passa qualche anno e l’autore, ormai avvezzo a “trollare” pubblico ed editori, sorprende rilanciando la posta ad un tavolo che pareva chiuso: con una scelta piuttosto rara nella “scuola” fumettistica giapponese, UQ Holder prende lo stesso universo di Negima, lo sposta a qualche decennio più tardi e promette di rispondere alle domande rimaste in sospeso mettendo al centro del palcoscenico altri personaggi. Unico elemento comune fin dalla prima pagina: Evangeline AK McDowell.

A questo punto il sospetto che l’investimento emotivo dell’autore nel personaggio sia stato più consistente di quanto lui stesso pensasse diviene praticamente una certezza.
Man mano che si prosegue con la lettura, la certezza si rafforza solo: rappresentata nei panni (illusori) del suo alter-ego adulto Yukihime, la vampira bambina concepita da Akamatsu si propone nell’inusitato ruolo di “genitore adottivo”. Vederla dibattersi in un ruolo che riesce ad assolvere solo a malapena è una spassosa novità e permette al lettore di scoprirne altri lati e debolezze insospettate.

Riuscirà?

L’autore, a questo punto completamente e lucidamente “perso”, sicuro della complicità del lettore calca ulteriormente la mano mostrandoci le speranze e le disperazioni che la “Maestra” Eva non poteva mostrare e UQ Holder aggiunge alle domande ancora senza risposta di Negima una ulteriore domanda: “Riuscirà Evangeline a trovare la felicità?”.

Con una partita ancora aperta ed il peso di un vissuto interminabile e secoli di emozioni, la battaglia appare impari, ma c’è da dire che la carismatica bambina vampira ha come alleati tutti i lettori ed un autore innamorato.
E l’amore, si sa, nelle favole vince sempre.

Luca Cerutti

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