Letteratura a fumetti? Le impreviste avventure del racconto è un saggio di Daniele Barbieri, edito da ComicOut nella collana Siamo Saggi: della stessa collana fa parte anche E chiamale, se vuoi, Graphic Novel, di cui avevo già avuto modo di parlare.
Il formato è tascabile, il prezzo contenuto e l’aspetto è quello di un libercolo senza troppe pretese. Ovviamente l’apparenza inganna, visto anche il calibro dell’autore: Barbieri è infatti considerato uno dei più importanti teorici del fumetto in Italia. Si tratta di un lavoro vasto e intenso: l’autore ripercorre la storia della narrazione tout court considerando un arco temporale, approssimativamente, di 17.000 anni: dalle pitture rupestri di Altamira fino a Watchmen. Non siamo di fronte ad un’opera dall’orientamento nozionistico, pur essendo presente una sua componente: il focus è piuttosto concentrato sulle connessioni e la loro evoluzione nel tempo, tra le diverse forme espressive adottate dall’uomo nel corso della storia – ovviamente con un’attenzione privilegiata nei confronti del fumetto.
Sarebbe per me molto complicato provare a riassumere, anche solo brevemente, tutto il percorso descritto da Barbieri all’interno del libro: per quanto tutto sia spiegato in maniera esaustiva e comprensibile, rimane comunque un discorso molto complesso. Mi limiterò quindi a presentare solo alcuni passaggi chiave, sperando possano stimolare nel lettore l’approfondimento diretto.
Il saggio si apre con un’introduzione alle pitture parietali del Paleolitico ritrovate in Cantabria. I ritrovamenti preistorici di Altamira, come quelli di Lascaux, sono l’embrione di moltissimi fenomeni espressivi e sociali che si svilupperanno più compiutamente nei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Quelle grotte fredde e umide hanno visto l’inizio, in nuce: della pittura, come è intuitivo immaginare; della scrittura – non alfabetica ma, in una certa misura, logografica; del canto, del racconto e del rito, in quanto gli uomini primitivi si riunivano in quei luoghi per ascoltare delle storie, probabilmente esposte in forma salmodiata. Quello che però, forse, più ci interessa è che questi racconti avvenivano tramite l’ausilio dei disegni, sperimentando di fatto quella che può essere definita come narrativa per immagini (a noi appassionati questa definizione dovrebbe ricordare qualcosa). Non si afferma di certo che in quel momento avvenga la nascita del fumetto (mancano ancora molti secoli), ma è chiaro altresì che tutte queste forme espressive – o meglio, che tutte le forme espressive – hanno una matrice comune che non può essere ignorata e soprattutto non deve essere dimenticata nel momento in cui ci si approccia, in maniera critica, ad una di esse.
Un altro grande tema sviluppato nel saggio è quello dell’oralità: essendo stata la prima forma espressiva adottata per la narrazione, ad essa rimane legata in maniera fondamentale e profonda. Barbieri approfondisce questo legame e le sue relative evoluzioni temporali per elaborare poi, una teoria riguardo al successo del fumetto, sul continente americano, nei suoi primi anni di vita.
In molti testi di storia del fumetto si fa ricondurre il suo successo, di inizio secolo scorso, a due cause principali: l’analfabetismo della popolazione immigrata abbinata alla semplicità di lettura del nuovo medium. L’alternativa proposta, meno semplicistica ma più convincente, parte dal presupposto che quei primi lettori dei fumetti fossero sì alfabetizzati, ma di prima o seconda generazione, quindi senza un solido legame con la scrittura: anzi, ancora piuttosto legati a dinamiche e tradizioni orali. Barbieri evidenzia come il fumetto delle origini avesse molti punti in comune con l’oralità, più che con la scrittura, tanto da poter essere definito paraorale. È questa la vera motivazione del legame tra neoalfabetizzati e nuvole parlanti.
Questa prospettiva obbliga una riflessione sulla vera essenza del fumetto, sulle sue caratteristiche più profonde. L’evoluzione della nona arte, nel corso della sua storia, non è semplicemente tecnica, non è soltanto di linguaggio, ma è molto più radicale: l’analisi dei suoi elementi fondamentali ci può aiutare a comprenderlo meglio.
Chiudo con un aneddoto personale.
Sul mio libro di antologia delle scuole superiori, era presente una microscopica sezione dedicata al fumetto in cui ne veniva identificata la nascita nello “Yellow Kid” di Outcault. Con il tempo, la passione e ulteriori letture, ho appreso che si parla di protofumetto già con la Colonna Traiana e con l’Arazzo di Bayeux, e una sua forma più moderna già nel tardo Settecento, nelle sequenze di William Hogarth, ma l’epifania è avvenuta con i disegni Rodolphe Töpffer. Appena osservate le tavole del ginevrino, mi è parso evidente quanto avesse ragione chiunque considerassse lui il vero padre del fumetto: lì dentro era già presente tutto quello che si sarebbe visto nel secolo successivo e ridevo dell’ingenuità del mio vecchio libro di testo. Ma è nei dettagli che si nasconde il diavolo.
Barbieri mi ha ricordato che il fumetto è un medium e in quanto tale non esiste senza pubblico. Quanto fatto da Töpffer era, allora, sostanzialmente privato, pochi intimi ne erano a conoscenza: il fumetto è figlio dell’industria culturale e non dovremmo mai dimenticarlo. C’è poi un aspetto più tecnico, cui avevo fatto poca attenzione: in Töpffer il testo è presente solo come didascalia esterna, è fuori dagli eventi, concettualmente siamo ancora nell’ambito del romanzo, della letteratura. Con Outcault i personaggi – per la prima volta – acquisiscono la parola, pur senza balloon: il narratore scompare e nasce, ora sì, il fumetto moderno, meno imparentato con la letteratura, più vicino a cinema e teatro.
Ho riportato in questo articolo la minima parte dei temi presenti nel lavoro del professor Barbieri: credo che questo libro sia interessante non solo per gli amanti del fumetto, ma anche per gli appassionati di qualsiasi altro tipo di forma narrativa, sia essa teatro, cinema o letteratura.