Simon del Fiume

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1982, VIII annata di Lanciostory: nel numero 37 fa il suo esordio una nuova BD, il cui titolo italiano – L’uomo venuto dal fiume – è un’interpretazione di quello originale, Simon du Fleuve.
Come nel caso di Jeremiah, si tratta di una saga post-apocalittica con testi e disegni di un unico autore, Claude Auclair, ma le similitudini con il personaggio di Hermann finiscono qui: l’ambientazione non è “simil-western” e, soprattutto, Auclair riversa in questa serie tutta la sua sensibilità ecologista post-sessantottina, che adesso può apparire un po’ datata e manichea ma suona sicuramente genuina.

Come scoprirò solo molto tempo dopo, grazie alla ristampa dell’intera serie (con il “giusto” titolo, Simon del Fiume) nella collana Albi Avventura in vendita con la Gazzetta dello Sport nel 2019, in realtà quell’episodio pubblicato da Lanciostory non era il primo in assoluto del personaggio: la serie debutta infatti nel 1973 sulle pagine della rivista Tintin con un insolito prologo in bianco e nero, La ballade de Cheveu-Rouge, che però non verrà poi pubblicata nel consueto formato cartonato dalla casa editrice Lombard, come invece avverrà per gli altri episodi. Come spiegato da Fabio Licari nell’editoriale scritto per la Gazzetta, questo avvenne in seguito a una richiesta di diritti d’autore da parte degli eredi di Jean Giono, la cui opera Le chant du monde aveva effettivamente ispirato Auclair.

Dopo quel prologo, le vicende del protagonista si sviluppano in cinque albi cartonati, proposti tutti di seguito da Lanciostory tra il numero 37 e il numero 52 (ad eccezione del numero 40, alla fine del primo episodio).
In un paesaggio rurale imbiancato dalla neve, Simon viene catturato dai cavalieri del Clan dei Centauri che danno il titolo all’episodio: subito dopo, la scoperta di una pistola laser nel suo zaino e il riferimento al “mondo antico” sono la spia dell’ambientazione post-apocalittica dovuta al caos per lo sfruttamento del petrolio che portò l’umanità alla regressione dopo i tumulti giovanili del ’68.
I “padroni” della città compiono razzie e deportazioni, come scopriremo negli episodi successivi, in cui gli uomini del Clan vengono rinchiusi in veri e propri campi di concentramento da cui saranno salvati proprio da Simon, nonostante gli attriti iniziali che li avevano divisi.
Nelle avventure successive, l’autore metterà in scena anche le terrificanti conseguenze della catastrofe nucleare e dell’effetto delle radiazioni, mentre Simon cerca di raggiungere la città per neutralizzare definitivamente la pistola laser (progettata e realizzata anni prima da suo padre), che sarebbe troppo pericolosa se cadesse in mani sbagliate: ci riesce infine grazie al sacrificio di Jason “Testa Rotta”, che gli salverà la vita immolandosi al suo posto e permettendogli di restare a fianco dell’amata Éveline, conosciuta nel bucolico episodio precedente – quello tra tutti che preferisco, I pellegrini – e autrice di notevoli tirate antimaschiliste (ad esempio, “…neanche un solo momento avete pronunciato una parola essenziale: donna!”).

Nel 1988, sorprendendo i lettori, Auclair rimette mano al suo personaggio con altri quattro albi pubblicati nel giro di pochi mesi, affidando però i testi ad Alain Riondet il quale imprime una svolta alle tematiche proposte, che sconfinano in alcuni casi nel misticismo e in un ecologismo meno “ingenuo” di quello presente nella serie originale (anche questi quattro albi – fino a quel momento inediti in Italia – vengono inseriti come dicevo all’inizio nella collana Albi Avventura della Gazzetta).

Non sapremo mai se gli autori avessero in mente ulteriori episodi: all’inizio del 1990, pochi mesi dopo l’uscita dell’ultimo albo, Auclair muore prematuramente all’età di soli 47 anni.

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