L’idea di proporre al pubblico una collana di storie auto conclusive senza protagonista fisso fu dell’allora Direttore Editoriale Mauro Marcheselli, che suggerì a Sergio Bonelli di varare una nuova serie sulla falsariga della celebre collana Un uomo un’avventura edita sempre dalla Bonelli (allora col nome Cepim) nella seconda metà degli anni ’70.
Purtroppo, Sergio Bonelli non riuscirà ad assistere alla nascita vera e propria della collana, lasciandoci prematuramente circa un anno prima della pubblicazione in edicola del primo numero.
E sarebbe curioso sapere cosa avrebbe pensato di questa serie, partita bene, anzi benissimo, proseguita tra alti e bassi e terminata in modo discutibile nell’oblio generale.
Ma andiamo con ordine.
Anzitutto non si pensò di recuperare il formato della precedente serie, ovvero eleganti volumi cartonati di grande formato a colori, scelta che sarebbe stata economicamente suicida, ma si adottò l’ormai consolidato formato Bonelli da edicola.
Tuttavia le differenze furono anche altre.
Se Un uomo un’avventura aveva come filo conduttore proprio il tema avventuroso, con un singolo protagonista calato in vicende storiche ben precise (spesso a tema bellico), la nuova serie non seguì un canovaccio definito, dando quindi ampio spazio alle idee degli autori coinvolti – che scopriremo essere, almeno nei primi numeri, tutti ben conosciuti all’interno del vasto universo Bonelli.
Quindi una netta differenza di stili, linguaggi e contenuti narrativi, senza alcun confine di genere.
Senz’altro un progetto ambizioso ed interessante che coinvolgerà nei suoi primi anni numerosi lettori, una larga parte già avvezza alle pubblicazioni della casa editrice milanese, ma anche una fetta di pubblico estranea ai vari personaggi che popolavano il già vasto universo bonelliano.
La cura della serie fu affidata a Gianmaria Contro, collaboratore da alcuni anni della Sergio Bonelli Editore, che ne curerà anche i redazionali presenti all’interno di ogni numero.
Ma un tratto comune in tutta l’opera c’è, ed è rappresentato dalle splendide copertine di Aldo Di Gennaro, il cui formato spesso e ruvido esalta lo stile pittorico dell’artista milanese. Sempre collegate alla storia contenuta nell’albo, saranno un valore aggiunto non indifferente per la buona riuscita della collana.
Questa retrospettiva vuole essere un tuffo nell’avventura editoriale della collana, esplorando i singoli albi che la compongono ed evidenziandone pregi e difetti.
Le Storie n.1
“Il Boia di Parigi”
Dopo alcune anticipazioni a scopo promozionale, nell’ottobre 2012 esce in edicola il primo numero della collana, Il boia di Parigi affidato a due pesi massimi di casa Bonelli, ovvero la coppia Paola Barbato e Giampiero Casertano.
Una partenza col botto, in quanto la storia è quel che si dice un colpo da KO.
Charles-Henri Sanson è una figura davvero indimenticabile, un novello Caronte che prepara e accompagna alla morte i condannati alla ghigliottina durante la rivoluzione francese. Malinconica, in alcuni tratti veramente toccante, la storia riesce a non essere mai banale e supera le difficoltà di inserire nella trama figure storiche complesse come Robespierre e Danton. Paola Barbato, che la si ami o meno, è autrice che sa puntare in alto e, quando riesce a far quadrare la sua interpretazione visionaria con un certo rigore stilistico, sforna gioielli come questo.
Giampiero Casertano, uno dei più apprezzati se non il più apprezzato disegnatore di Dylan Dog, si esalta con una sceneggiatura pienamente nelle sue corde (l’autore non ha mai fatto mistero di amare le storie in costume) e tocca vertici forse mai raggiunti prima.
Difficile chiedere di più ad un esordio.
Le Storie n.2
“La redenzione del samurai”
La pesante eredità di dare un seguito a questo primo numero è affidata a Roberto Recchioni, altro autore di punta della scuderia Bonelli, che non delude le aspettative con La redenzione del samurai.
Sulle basi di una trama tutto sommato essenziale e lineare, l’autore imbastisce una sceneggiatura evocativa che inquadra perfettamente i tempi e le atmosfere del genere. I campi lunghi, i silenzi, le espressioni: sembra di essere all’interno di un film di samurai, dove sono percepibili – nelle vignette mute – i rumori di sottofondo, i fruscii, finanche le musiche che ci hanno fatto conoscere le opere di registi come Kurosawa e Miyamoto. Ciò che più risalta è il rigore, l’etica dell’universo dei samurai, il significato profondo del ruolo stesso del samurai e in cosa devono consistere le sue virtù, senz’altro frutto di un accurato lavoro di ricerca. Andrea Accardi è perfetto esecutore dello storytelling recchioniano, raro esempio di contaminazione grafica. Le classiche linee cinetiche dei manga sono rappresentate in modo perfetto, dando ampio spazio alle panoramiche e alle scene di maggior tensione emotiva.
Anche per chi, come il sottoscritto, non segue questo specifico genere, risulta impossibile non riconoscere la grandezza dell’opera.
Le Storie n.3
“La rivolta dei Sepoy”
Il terzo numero, La rivolta dei Sepoy, presenta un’altra coppia dylandoghiana, ovvero Giuseppe De Nardo ai testi e Bruno Brindisi ai disegni. Ed è il terzo centro su tre.
Sullo sfondo della rivolta dei nativi indiani arruolati nell’esercito britannico – i Sepoy, appunto – De Nardo confeziona una storia insieme drammatica e romantica che, nella sua apparente semplicità e classicità, nasconde personaggi solidi, lontani dalla banalità ma, soprattutto, si rivela estremamente coinvolgente e avvincente. Per atmosfere e svolgimento ricorda molto da vicino alcuni numeri di Un uomo un’avventura, pienamente quindi all’interno di una certa tradizione bonelliana.
Bruno Brindisi è la solita certezza, bravissimo in particolare nella perfetta rappresentazione dell’ambientazione esotica, resa con la consueta maestria della sua matita.
Le Storie n.4
“No smoking”
Fa il suo esordio nella serie il prolifico Pasquale Ruju, altro autore bonelliano di lungo corso, con lo splendido noir metropolitano No smoking. Se già con la mini serie Cassidy aveva dimostrato un buon feeling con il tema, in questo numero convince ulteriormente: in piena Chicago anni ‘30, ritroviamo ancora l’America dei gangster, questa volta immersa in una storia che presenta una chiarezza solo apparente, sotto cui si nasconde un filo più sottile e intricato che fa presagire l’arrivo di uno stravolgimento rispetto ai ruoli giocati dai protagonisti.
Arrivati alla fine della storia si capisce la genialità del titolo.
A suo completo agio ai disegni Carlo Ambrosini, perfetto nell’adattarsi allo stile gangsterisco della storia che esalta il suo inconfondibile tratto.
Le Storie n.5
“Il lato oscuro della luna”
Se fino ad ora Le Storie poteva considerarsi esperimento riuscitissimo, il quinto numero Il lato oscuro della luna lo eleva ulteriormente, grazie ad una di quelle storie che si rivela indimenticabile.
Alessandro Bilotta supera i confini del reale e della fantasia, fondendoli in un racconto complesso ma scorrevole che trasporta il lettore in dimensioni completamente diverse tra loro.
Fantascienza, avventura, thriller, persino romanzo di formazione: c’è tanto in questa storia, con un finale che lascia al lettore gli strumenti per trovarvi la propria interpretazione.
Il fidato Matteo Mosca fornisce una prova di grande solidità, senza mai andare sopra le righe, riuscendo a raffigurare benissimo sia le atmosfere terrene che quelle spaziali.
Qui la nostra recensione su uBC Fumetti
Qui la short review su Magazine uBC Fumetti
Le Storie n.6
“Ritorno a Berlino”
Ritorno a Berlino rappresenta la grande eredità lasciataci dal compianto Paolo Morales, scomparso poco prima dell’uscita di questo sesto albo della collana. Apprezzatissimo autore, specialmente per Martin Mystere, qui confeziona una storia intrigante che parte con un antefatto avvenuto in contemporanea con l’abbattimento del muro di Berlino per arrivare ai giorni nostri. A fronte di un soggetto ridotto all’osso, abbiamo di contro una sceneggiatura perfetta: ritmo sostenuto, dialoghi brillanti e personaggi che diventano familiari dopo poche pagine.
Una lettura coinvolgente, in linea con la collana. E un altro personaggio, il killer sentimentale René, che si rivelerà indimenticabile.
Le Storie n.7
“La pattuglia”
Il numero successivo, La pattuglia, con ai testi Fabrizio Accatino, è la prima delusione della serie.
Il primo grosso limite è nel citazionismo spinto dell’autore: dopo aver visto un po’ di film di guerra, qui c’è il rischio di trovare solo della minestra riscaldata che attinge a varie fonti, dal dichiarato Apocalypse Now a Full Metal Jacket. Un esempio è la descrizione che il soldato fa del Tet, esattamente uguale a come viene detta da un personaggio del film di Kubrick. Ma il riferimento più esplicito sembra essere quello di un misterioso e sconosciuto film coreano, R-Point, il cui plot assomiglia paurosamente a questa sceneggiatura.
In generale, però, l’impressione è che l’autore non sappia bene che direzione prendere: si gioca sul mistero, sulla suspense, sul dramma, fino all’horror, lasciando però la sensazione di un pentolone in cui si buttano varie idee e citazioni ma, nonostante gli sforzi di costruire qualcosa di coerente, non si realizza dove l’autore voglia andare a parare. Tutta la costruzione della storia appare un po’ artificiosa, dato che non si capisce perché, all’improvviso, tutto diventi così surreale senza che ci sia un’atmosfera che compensi questa svolta.
Anche al surreale, infatti, bisogna dare una coerenza e il finale frettoloso e deludente vanifica tutto ciò che sembrava venisse costruito all’interno del racconto.
La nota positiva, oltre alla solita copertina da urlo di Aldo Di Gennaro, è costituita dagli splendidi disegni di Giampiero Casertano, autore che rappresenta molto più che una sicurezza, anche se qui non raggiunge le vette del primo numero.
Le Storie n.8
“Amore nero”
Amore nero di Gigi Simeoni (testi e disegni) è un poliziesco ambientato nella Milano di inizio secolo, ideale séguito del precedente romanzo a fumetti Gli occhi e il buio, pubblicato sempre da Bonelli.
Se il suddetto Gli occhi e il buio era un capolavoro e il successivo Stria ci si è avvicinato, questo Amore nero è ben lontano da quei fasti.
Ritorna il commissario De Vitalis, ma inserito in un contesto soprannaturale che poco gli si addice e che sembra cambiargli un po’ i connotati, fino a renderlo un pesce fuor d’acqua.
L’indagine che dovrebbe costituire il nucleo del racconto resta troppo sullo sfondo rispetto ad una caratterizzazione dei personaggi estremamente marcata ed il finale un po’ brusco di certo non aiuta.
Senza avere in mente i precedenti, si potrebbe comunque giudicare una buona storia (e in fondo lo è, se parliamo di abilità dello sceneggiatore), solo che le manca quel quid che i precedenti lavori di Simeoni possedevano.
Le Storie n.9
“Mexican Standoff”
Il nono numero è appannaggio di Diego Cajelli, poliedrico autore che ha lavorato per quasi tutte le serie Bonelli (in particolare Dampyr), con il suo Mexican Standoff.
Se la prima parte si rivela parecchio interessante e costruita molto bene, la seconda si lascia andare a influenze fantascientifiche e ad avvenimenti privi di senso logico. La contaminazione di generi, anziché essere un valore aggiunto, si rivela elemento di confusione: banditi messicani iper-violenti e senza scrupoli incrociano le loro strade con la leggenda urbana dell’area 51, mentre sullo sfondo vengono rappresentate le dure condizioni di vita della popolazione della frontiera Messico-Stati Uniti.
Il filo logico ben presto si ingarbuglia, con una trama che va a confondersi e a disperdersi. È come se Cajelli ci fornisse i pezzi di puzzle diversi che, inevitabilmente, finiscono col non incastrarsi.
Di alto livello il lavoro del disegnatore Matteo Cremona, con tavole dinamiche e dettagliate che rendono perfettamente le atmosfere della storia, comprese anche quelle più “esagerate”.
Le Storie n.10
“Nobody”
Alessandro Bilotta è il primo autore a bissare una storia con Nobody, episodio che risulta difficile commentare.
Se da una parte il plauso della critica, sia quella social che quella più istituzionale, risulta pressoché unanime (la sceneggiatura vincerà il Premio Micheluzzi 2014), il lettore medio si trova parecchio disorientato.
È indubbio che la storia punti in alto, con citazioni letterarie che richiamano autori come Verne, Joyce, Stevenson, Conrad e Melville (e chissà quanti altri….) e che sia tutto tranne che banale e scontata.
L’Odissea di Omero è ben più che un’ispirazione (le sirene, lo stesso nome del protagonista), non c’è pagina che non costringa a confrontarsi con la letteratura classica e non solo.
Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: chi si aspettava una storia verosimile si ritrova con una storia dai tanti voli pindarici, mossa da un filo conduttore oscuro. In questo modo la superficie rimane poco leggibile e comprensibile, lasciando il dubbio che si sia trattato solo di un bell’esercizio di stile.
Arrivando alla fine resta come l’impressione che Bilotta non sia riuscito a chiudere tutte le parentesi aperte e non basta il bel finale poetico e commovente a fugare la perplessità che l’enorme ricchezza di riferimenti condensata nelle 114 pagine dell’albo finisca con l’essere il limite stesso della storia.
Le Storie n.11
“Il lungo inverno”
Giovanni Di Gregorio, prima di debuttare ne Le Storie, aveva al suo attivo una proficua collaborazione in Bonelli, avendo firmato diverse sceneggiature per Dylan Dog e Dampyr e risultando uno degli autori più apprezzati.
Per il suo Il lungo inverno non si può quindi parlare di piacevole sorpresa ma di grande riconferma. Il registro della storia differisce totalmente da quanto proposto fino ad allora: niente avventura, niente fantascienza, persino nessun personaggio memorabile.
L’introspezione, i lunghi silenzi ben rappresentati da tavole altamente evocative del bravissimo Francesco Ripoli (esordiente in Bonelli), l’ambiente esterno che sembra quasi sfumato nei contorni, catapultano il lettore nella solitudine inquieta del protagonista, il signor Lars Svensson.
Il bianco della neve ricopre in modo fisico e figurato ogni particolare di questo struggente albo, dove le evidenti atmosfere à la Bergman forniscono indizi di un presente indefinito, dove le crepe del quadro che si va formando si allargano pian piano. L’isolamento della clinica da tutto e tutti, il rapporto tra il dottore e i pazienti, le sempre più evidenti stranezze di alcuni ospiti, fanno crescere un’inquietudine che si spegne solo nell’amaro finale dove il cambio di registro, brusco e repentino, non coglie impreparato il lettore, abilmente preparato al colpo di scena dal susseguirsi degli eventi orchestrato alla perfezione da Di Gregorio.
Una prova maiuscola, senza dubbio all’altezza dei migliori episodi precedenti.
Le Storie n.12
“La pazienza del destino”
Il primo anno della collana viene chiuso dalla stessa autrice che lo aveva inaugurato, ovvero Paola Barbato, questa volta in coppia con Giovanni Freghieri, altra colonna di Dylan Dog.
La pazienza del destino ricorda da vicino i romanzi di James Ellroy, con una trama pienamente ispirata al noir anni ‘30, con personaggi immediatamente riconoscibili in pellicole che si rifanno agli stessi canoni.
Pur non essendoci quell’originalità tipica della Barbato, la storia è solida e fila via liscia, risultando coinvolgente anche per merito di caratterizzazioni ben costruite, dal vanesio divo Barry Melville alla glaciale e spregiudicata starlet Rosie Carlyle, fino al protagonista di questo racconto, Douglas Monroe, personaggio che da subito risulta investito da una segreta missione da compiere, radicata in un passato ancora ben vivo nei suoi ricordi.
Se da un lato troviamo una Barbato più equilibrata, pienamente dentro i limiti imposti dal racconto, dall’altro manca quel suo estro istintivo che le ha permesso di scrivere autentici capolavori, a partire dal primo numero di questa collana.
Le Storie n.13
“Il moschettiere di ferro”
Con Il moschettiere di ferro si inaugura il secondo anno di vita editoriale de Le Storie Bonelli. Scritta da Giovanni Gualdoni (ex curatore di Dylan Dog) e disegnata da Giorgio Pontrelli, la storia è ambientata nella Francia del 1642, quella delle guerre di religione, del Cardinale Richelieu, dei moschettieri, delle spade e degli intrighi di palazzo.
Nonostante le buone intenzioni, la storia si rivela un pesante tonfo verso il basso dato che il mix, già rischioso in partenza, di letteratura classica (ovviamente il romanzo di Dumas), storia e fantascienza si rivela quanto mai indigesto.
Gualdoni lavoro molto di fantasia, forse troppo, trasformando D’Artagnan in un eroe totalmente negativo con motivazioni risibili, inserendo un moschettiere indistruttibile stile Golem/Terminator e pure nel finale delle fantascientifiche navi volanti.
Quello dell’autore è un castello di carta destinato a crollare quasi subito, accoppiando ad un soggetto davvero troppo originale una narrazione piatta e senza sussulti.
Non aiutano nemmeno i disegni, davvero troppo lineari e basici, con alcune fisionomie che talvolta risultano davvero difficili da riconoscere.
Purtroppo Giorgio Pontrelli, dopo le prove poco convincenti di John Doe, aggiunge un altro lavoro non soddisfacente.
Le Storie n.14
“Cuore di lupo”
Il successivo Cuore di lupo, quattordicesima uscita della collana, porta la firma di Carlo Ambrosini, sia per i testi che per i disegni.
Dietro il noir che ricopre la storia, viene data voce ad un tema poco rappresentato e forse anche di poco interesse generale, cioè la realtà dei nativi americani dei giorni nostri.
Confinati nella loro moderna riserva, fatti oggetto di un razzismo neppure troppo mascherato, talvolta abbruttiti dall’alcol, restano comunque un popolo fiero e geloso delle proprie tradizioni, rimanendo ancorato ad antiche suggestioni e virtù sopite, ma mai dimenticate.
Come il misterioso lupo che accompagna Jeff, simbolo delle sue radici indiane, che gli donerà lo stesso cuore del titolo.
Nonostante l’autore ricorra a qualche scorciatoia, ad esempio la casualità sospetta di alcuni avvenimenti e la semplificazione di passaggi che rimangono poco chiari, la storia si legge con trasporto anche se sarebbe stato auspicabile un maggiore approfondimento di alcune situazioni e forse anche di maggiore caratterizzazione di personaggi minori.
Questi difetti potrebbero essere imputabili al fatto che questa storia doveva far parte di un progetto più ampio, probabilmente una serie (o meglio una miniserie) che Ambrosini propose alla Bonelli. Una volta bocciata finì riciclata e riadattata su questa collana e, per mancanza di spazio, si è dovuto procedere ad alcuni dolorosi tagli.
Le Storie n.15
“I fiori del massacro”
I fiori del massacro di Roberto Recchioni è l’ideale seguito del secondo numero, La redenzione del samurai, ed è una storia fatta su misura per Andrea Accardi, con tante scene adatte a valorizzare il suo segno e a risaltarlo.
La trama risulta meno coinvolgente rispetto alla prima storia, con molto meno dialogo e forse anche un po’ più banale, ma resta comunque ben narrata. Qui si gioca soprattutto sulle immagini e sulla figura controversa della figlia del Daymio, nonché sull’indefinibile ed affascinante samurai cieco Ichi, che diventa il vero e proprio regista occulto di tutta la narrazione.
Va rimarcata ancora una volta la straordinaria bellezza dei disegni di Accardi, forse il vero protagonista di questo numero, come ebbe a dire anche lo stesso Recchioni.
Partendo dal successo di questi due albi, nascerà la mini serie Chanbara, che avrà come protagonisti gli stessi personaggi immersi nel Giappone feudale del XVII secolo.
Le Storie n.16
“Friedrichstrasse”
In meno di un anno, arriva la terza prova firmata da Alessandro Bilotta, Friedrichstrasse, storia cupa ambientata nella Berlino lato ex DDR in piena guerra fredda. Il capolavoro Le vite degli altri, pluri-premiata opera prima del cineasta Florian Henckel von Donnersmarck, è la dichiarata ispirazione per questa sceneggiatura, le cui somiglianze effettivamente si sprecano.
Al di là degli inevitabili parallelismi, anche chi ha apprezzato la pellicola in questione si sentirà soddisfatto dopo la lettura di questo albo.
La bravura dell’autore è quella di riuscire a rielaborare la storia narrata nel film in una vicenda interessante e con sentimento, senza però scadere nel sentimentalismo, lasciando inalterato quel senso di opprimente controllo di un regime crudele e vigliacco.
Forse il finale parzialmente consolatorio stona un po’ con il resto della storia, ma ciò non toglie la conferma di Bilotta come autore dal profilo altissimo, maestro nel delineare personaggi credibili e nel costruire dialoghi di alto livello.
Ai disegni il sempre positivo Matteo Mosca, convincente anche in questa prova.
Le Storie n.17
“Oxid Age”
Con Oxid Age scritto e disegnato da Gigi Simeoni, la collana fa la sua incursione nel genere catastrofista post-apocalittico, quello immortalato da film come Mad Max o Alba d’acciaio e dai fumetti di Corben e Kirby.
Una storia dal sapore squisitamente retrò, dove Simeoni utilizza tanti elementi dell’immaginario di genere, come i campioni dello sport iper-violento, le creste e le motociclette rombanti.
E forse il limite di questa storia sta proprio qui, nell’avvalersi di tutti questi elementi ben noti privandola di una sua originalità. Ma alla fine si può considerare un peccato veniale, perché questo resta un episodio costruito con la consueta bravura che si riconosce a Simeoni, solido e pieno di ritmo e disegnato davvero bene, specie le dettagliatissime tavole iniziali.
È evidente come venga lasciata una porta aperta, o per meglio dire spalancata, su un possibile seguito (paventato dallo stesso Simeoni in alcune dichiarazioni social), ma che poi non si è concretizzato in alcun progetto.
Le Storie n.18
“I combattenti”
Il diciottesimo numero vede l’esordio di un autore che vanta un’esperienza pluridecennale in Bonelli, ovvero Luigi Mignacco, autore che ha collaborato a quasi tutte le serie prodotte dalla casa di Via Buonarroti, con una predilezione per Mister No dove, per anni, è stato lo sceneggiatore principale.
Per la storia in questione, I combattenti, l’ispirazione è quella del romanzo I duellanti di Joseph Conrad, trasposta in fumetto con il dovuto rispetto ma anche con un’idea brillante e ben raccontata.
Si narra dell’epico duello tra due boxeur, il soldato Madison di umili estrazioni, e il capitano Whale/D’Arcy, pilota della Raf, di origini aristocratiche, intrecciato con i tragici e sanguinosi avvenimenti bellici del secondo conflitto mondiale. Testimone e arbitro degli incontri pugilistici dei due duellanti è il cronista Milton, che diverrà per i due protagonisti il collante che li unirà nonostante le molteplici differenze di ceto e carattere.
Poteva risolversi in una banalità colossale, invece Mignacco è bravo ad evitare facili soluzioni e regala anche un finale inaspettato.
I disegni di Paolo Raffaelli sono belli nella loro essenzialità, unita ad un appropriato livello di dettaglio.
Davvero un lavoro lodevole, con un bilanciamento dei bianchi e dei neri sempre di grande effetto.
Le Storie n.19
“Scacco alla regina”
Per Scacco alla regina torna ai testi Giovanni Di Gregorio, con un giallo ambientato nella Londra vittoriana che ospita la grande esposizione universale del 1851. La storia è molto lineare, direi quasi semplice, con una serie di omicidi che seguono una curiosa partita a scacchi tra un anacronistico elaboratore elettronico e il più grande giocatore dell’epoca, ovvero il prussiano Wilhelm Fiehedrssen. Ed è proprio questo affascinante personaggio che si rivela di gran lunga il più interessante dell’intera vicenda, con il suo ostentato cinismo, la sua ferrea sicurezza nelle proprie capacità e le sue battute al vetriolo che risultano sempre ficcanti e ben calibrate.
La storia, già un po’ fiacca di suo, si sgonfia nel poco memorabile finale, davvero deludente.
Al di là degli elementi fantastici inseriti nella sceneggiatura, resta da capire se gli amanti degli scacchi, notoriamente attenti ad ogni particolare, potranno mai perdonare un grosso errore in una sequenza, peraltro confessato già nel redazionale di presentazione dell’albo.
Più che apprezzabili i disegni dell’esordiente Alessia Fattore, supportata alle chine da Maurizio Di Vincenzo, completamente al servizio della narrazione senza virtuosismi di sorta.
Le Storie n.20
“La gabbia”
La prolifica Paola Barbato conclude la prima ventina di uscite della collana con La gabbia, thriller psicologico di perfetta fattura.
Il terzetto di maldestri malviventi ricorda da vicino quello in Quel pomeriggio di un giorno da cani, grandioso film di Sidney Lumet, con un piano avventuroso e una realizzazione disastrosa.
Ma qui non c’è una banca da svaligiare, bensì un manicomio, dove i tre cadranno in una trappola da loro stessi incautamente provocata.
La vicenda assume ben presto tratti claustrofobici e paradossali, con un crescendo di intensità che impedisce pause nella lettura.
La gabbia da fisica (le pareti e i cancelli della struttura) diventa ben presto mentale, quella che racchiude le paure e le tensioni di chi non sa più chi si trova davanti, se pazienti inermi o individui violenti ed incontrollabili.
L’assenza di punti di riferimento riesce a dare ancora più enfasi al racconto, al clima morboso ed opprimente che si respira, dove le vie di fuga vengono ben presto azzerate.
E alla fine il tentativo dei tre criminali di confondersi con i pazienti, assumendo lo stesso vestiario, darà il risultato di smarrire totalmente la propria identità, fino a perdersi nel sanguinoso epilogo.
Una Barbato ai massimi livelli, senza banali scorciatoie o finali affrettati, dove tutto è credibile e quadra alla perfezione.
Daniele Caluri si inserisce benissimo nella sceneggiatura dell’autrice, tratteggiando perfettamente i volti dei tanti personaggi che popolano la storia, i quali passano dal teso allo stravolto nel giro di poche tavole, rilassandosi nei momenti di attesa e riempiendosi di insana follia in quelli più concitati.