Vogliamo dire la banalità?
“Non ti rendi conto dell’importanza di una cosa fino a che non l’hai perduta.”
Viene a mancare Luigi Piccatto ed io mi rendo conto che se mi chiedono quali siano i miei 10 Dylan Dog preferiti, almeno 4 li ha disegnati lui.
Stavo per dire “Li ha scritti lui”, perché giuro che ad anni di distanza non ho ancora capito (in realtà: “non mi sono mai informato”) su come funzioni in Bonelli.
Come siano riusciti a fare che il Dylan Dog di Luigi Piccatto fosse completamente diverso da quello di Corrado Roi o della coppia Montanari&Grassani pur restando lo stesso personaggio.
E Grand Guignol era forse il Dylan Dog più piccattiano di ogni Dylan Dog piccattato (verbi che proporrò di inserire nel prossimo Dizionario della Lingua Italiana).
Spero mi verrà perdonata l’irriverenza di cui sopra, ma in questo articolo, conclusa la premessa, io parlerò come se l’autore fosse ancora tra noi, irrazionalmente sperando che aver disegnato Dylan Dog gli abbia concesso quel particolare bonus che hanno molti personaggi del caro Old Boy (Old Boy compreso se consideriamo L’ultimo uomo sulla Terra).
Quindi, perchè dico quello che ho detto di Grand Guignol? Quali sono i tratti caratteristici di un Piccatto 100%?
Il tratto di disegno è chiaramente quello più facile: le chine spesse, gli zigomi marcati, il gore spintissimo e pesante e le donne carnali ed eleganti ma sempre con il ricordo di quanto la bellezza sia evanescente e sfiorisca, anzi raggrinzisca o peggio marcisca in fretta.
In ogni Piccatto le donne sono sempre duplici: la giovane e la vecchia, la fata e la strega, la vitale e la marcita. In Cagliostro avevamo la bellissima Kim, modellata nientedimenoche su Kim Novak contrapposta alla vegliarda signora Di Passio, maschera dietro cui si celava la strega Frau Blucher (hhiiiiiiiiihhh!!); in Grand Guignol abbiamo le due attrici, la cinica “puttanella” Kathleen Douglas e la diva decaduta Gloria Jackson.
Se vogliamo usare classificazioni da storia dell’arte, questo gusto per la carnalità nelle sue due declinazioni fa di Piccatto un autore barocco, con vezzi rococò, che però essendo nato nel ventesimo secolo ed avendo gusto ed ironia si reinterpreta postmodernista.
Ma, appunto, non è solo questione di disegno, altrimenti staremmo parlando di un comic americano qualsiasi in cui, salvo quando viene preso in mano da una superstar, Peter Parker è sempre Peter Parker e Bruce Wayne è sempre Bruce Wayne.
In Bonelli, invece, il personaggio è come viene disegnato e cambia a seconda di chi lo disegna.
Ed è quindi una questione di attitudini, suggestioni e leit-motiv.
In Grand Guignol i tratti piccattiani li troviamo tutti. Anzi, troviamo tutte le assenze che sono tratto piccattiano.
In Grand Guignol non c’è Groucho, o, meglio, Piccatto ha questo vezzo di tenere Dylan ed il suo assurdo assistente separati per più tempo possibile, a volte per tutto il tempo (Cagliostro e L’ultimo uomo sulla Terra, di nuovo). In Grand Guignol, Groucho compare oltre la metà del numero e si allontana quasi subito. Del resto è una questione di equilibrio: le sceneggiature su cui Piccatto lavora mettono sempre Dylan in situazioni assurde e comiche, magari grottesche, ma sempre comiche ed innescate da personaggi comici. Né spaventosi, né inquietanti, né commoventi: comici. Magari grotteschi ma comici.
Immaginate se, mentre Dylan duetta con il truffaldino ed assurdo impresario Crabb che copre i suoi baffi veri con non-baffi finti ci fosse anche Groucho a sovrapporre battute a battute: “stucchevole” non rende neanche l’idea.
In Grand Guignol non c’è manco l’ombra di soprannaturale. Qui devo cercare di spiegare il punto, che altrimenti sembra una forzatura: non è che Piccatto non abbia mai messo in scena il soprannaturale, ma sicuramente Piccatto cerca sempre, più di altri autori dylaniati, di tenere Dylan lontano dal soprannaturale. Ripensiamo a Cagliostro, in cui per tutta la narrazione fino all’epilogo fatti soprannaturali accadono a iosa ma MENTRE DYLAN È GIRATO DALL’ALTRA PARTE (in alcune scene: letteralmente), o a L’ultimo uomo sulla Terra in cui il soprannaturale è il macguffin introdotto alla fine per portare a casa la storia.
Faccio il processo alle intenzioni ma l’impressione è che a Piccatto interessi il Dylan “indagatore”, mentre la parte “dell’incubo” la prende perché fa parte del pacchetto.
Ma intenzioni o non intenzioni, in Grand Guignol quello che Dylan affronta è il più classico dei “Gialli della camera chiusa”. Dall’inizio alla fine. Senza neanche l’ombra di alcunché di soprannaturale (se escludiamo l’inquietante Spenalzo ed i baffi a scomparsa di Crabb).
Ed è avvincente!
D’altro canto, in Piccatto Dylan c’è tutto fino in fondo. Il nostro “private eye” di Craven Road dal discutibile gusto nel vestire c’è in blocco: dall’insofferenza alle costrizioni temperata dal fatto di essere – dopotutto – un debole, all’impossibilità di resistere all’occasionale scappatella, fino al procedere fiducioso alla risoluzione del caso alla presenza dell’eterno Ispettore Bloch; inseparabile partner di deduzioni, paziente ascoltatore, stagionato sbirro che crede nell’importanza del metodo e del merito.
È una divagazione che apparentemente non c’entra niente (anzi, non “apparentemente”) ma due rimpianti mi resteranno probabilmente per sempre: il primo è che in Bonelli nessuno abbia mai pensato che oltre agli Speciali Groucho sarebbe stata una grande e gradita idea fare degli Speciali Bloch, con il nostro pelato Ispettore Capo impegnato a dipanare trame da giallo classico. La seconda è che questi Speciali non siano stati affidati a – appunto – Luigi Piccatto e Giampiero Casertano, forse i due autori più capaci di tratteggiarne alla perfezione la pesante corporeità appoggiata su una mente elastica e solo fintamente stanca.
Divago, sproloquio, straparlo. Quasi un migliaio di parole solo per dire la cosa più ovvia ed evidente: “Grand Guignol è il mio Dylan Dog preferito.
Divertente. Avvincente. Rileggibile infinite volte”.
Una prova d’autore in un fumetto popolare d’autore.