Le Storie Bonelli n.61-80:
vita, morte e miracoli della serie di Via Buonarroti

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Gli albi compresi nell’intervallo 61 – 80 proseguono la parabola discendente della collana, accentuando la mediocrità del livello generale ma, nello stesso tempo, presentando alcune storie – poche per la verità – di assoluto livello.

Un andamento stile “montagne russe”, con pochi picchi e alcuni episodi che risultano davvero difficili da digerire per il lettore.

Fa davvero malinconia vedere la serie che doveva essere (e per un po’ lo è stata) un fiore all’occhiello della casa editrice, mutata in una collana che tira a campare svogliatamente.

Nei primi editoriali si leggeva che la costante sarebbe stata “l’attenzione professionale e la passione creativa […] opere realizzate da autori di primo piano del vasto universo fumettistico”.

Dopo pochi anni la passione sembra latitante, l’attenzione professionale risulta spesso distratta, gli autori – in diversi casi – sono esordienti a cui viene data carta bianca. Come affermato dallo stesso curatore, la serie è mutata in “un banco di prova, laboratorio e incubatrice di nuove possibilità narrative”.

Un’importante novità è la comparsa di albi non autoconclusivi, bensì suddivisi in due o tre episodi. Un segno di rottura indicativo di come la collana abbia perso la sua identità anche se, nei due casi presenti in questa ventina, il risultato innalzerà – e non di  poco – il livello medio.

Le Storie n. 61
“Astromostri”

Il giudizio su questo Astromostri dipende dall’approccio che il lettore sarà propenso ad assumere. Se si è disposti a calarsi nell’universo narrativo generato dall’autore, il Giappone degli anni ‘60 del secolo scorso, in particolare nell’immaginario legato alle pellicole kaiju eiga (ovvero film di mostri), la lettura sarà senz’altro interessante e si potranno cogliere i tanti riferimenti presenti nella storia.

Antonio Serra, da anni in Bonelli e noto soprattutto per essere uno dei creatori di Nathan Never, inserisce i suoi ricordi e le tante suggestioni del Sol Levante che hanno alimentato una passione ben riscontrabile nelle pagine dell’albo. Calandosi in questo mondo la storia risulterà senz’altro godibile, finanche appassionante, trattenendo a stento l’emozione per il poetico finale.

Un approccio differente, più razionale, lascerà il lettore alquanto interdetto, con un grande punto interrogativo alla fine di quella che risulterà una storia senza capo né coda. Emergeranno quindi i tanti difetti presenti, come la poca sostanza effettiva, uno sviluppo alquanto tortuoso e in parte prevedibile e un insopportabile spiegone in flashback nel prefinale.

Chi metterà tutti d’accordo è Maurizio Rosenzweig, con disegni indiscutibilmente pregevoli. Oltre all’eccellente uso libero della tavola, emergono soprattutto gli scorci urbani di una Tokyo in rapida trasformazione, con i cantieri che affiorano tra i moderni edifici e il fumo delle fabbriche, la perfetta rappresentazione dei mezzi di locomozione dell’epoca e – più in generale – una cura del dettaglio che denota il lavoro certosino che sta alla base di tutto.

Le Storie n.62
“Memoryville”

Gianmaria Contro abbandona i panni del curatore per vestire di nuovo quelli dello sceneggiatore e, come nel precedente L’innocente, fa ancora centro.

Nonostante nella collana il genere noir sia stato ampiamente sfruttato – così come l’ambientazione della provincia americana – questo Memoryville riesce a distinguersi per un intreccio ben costruito e personaggi interessanti, il tutto sostenuto da dialoghi forti e scritti con stile.

Il casuale ritrovamento di un cadavere sconvolge la tranquillità della placida cittadina di Illwood, facendo divampare il fuoco che ha covato per trent’anni sotto la cenere e scatenando la follia omicida di un terribile psicopatico.

Non è difficile riscontrare tra le pagine dell’albo evidenti tracce di Cormac McCarthy, in particolare nella violenza cieca di alcuni passaggi, oltre che in un certo esistenzialismo dei personaggi, esasperato nelle figure più fragili presenti nella storia.

Contro riesce anche, con una certa disinvoltura, a trovare un’efficace convergenza finale ai tanti fatti narrati, dipanando bene l’intricata matassa costruita in precedenza.

Prestazione eccellente anche di Max Avogadro, sia nelle dettagliatissime pagine in notturna, sia nelle mezzetinte oniriche. Pregevoli anche i primi piani, espressivi e in diversi punti persino “fotografici”, che denotano un lavoro davvero accurato, con una scelta di registri stilistici eccezionale.

Le Storie n.63
“Il cuore di Lombroso”

Il cuore di Lombroso vede come protagonista proprio l’insigne Cesare Lombroso, fondatore dell’antropologia criminale, dal controverso percorso accademico e professionale. Davide Barzi, prolifico scrittore, sceneggiatore e storico del fumetto, in questo albo lo raffigura come una sorta di Sherlock Holmes nostrano, alla caccia della soluzione di una catena di omicidi nella Torino di fine Ottocento.

La figura dello studioso non è l’unica revisione compiuta dall’autore.

Evidentemente maldisposto nei confronti di De Amicis, Barzi inserisce a mo’ di macchiette alcuni dei bambini del libro Cuore, diventati ormai adulti, riservando ad alcuni uno scontato destino e cambiando decisamente i connotati ad altri.

Nel primo caso ritroviamo il gobbo Nelli, divenuto umile facchino, il muratorino Tonino che vive di espedienti, il fiero Derossi gendarme modello e il ricco senz’anima Nobis. Vengono stravolte invece le figure di Enrico Bottini, spiantato aspirante scrittore dedito all’alcoolismo, il maestro Perboni, truffatore e assiduo frequentatore di un bordello dove presta i suoi servizi come prostituta Silvia Bottini, sorella di Enrico, per finire con la maestra Delcati, amante del giovane Bottini stesso. Non manca nemmeno il corpulento, irruento e dalla sospetta intelligenza Garrone, qui presentato come novello Watson al fianco dello studioso.

Tralasciando il banalissimo e insignificante giallo della vicenda, c’è da chiedersi se quella che è stata presentata (nell’editoriale) come una sana irriverenza, giustifichi le stucchevoli situazioni di cui la storia trabocca, così come l’accanimento verso i personaggi di un libro che presenta valori – o presunti tali – da tempo sorpassati.

L’inserimento nella storia dello stesso Lombroso risulta alquanto pretestuoso, così come le sue considerazioni sulla conformazione fisica di vittime e criminali, del tutto inutili ai fini della soluzione del giallo.

Ottimo il lavoro ai disegni di Francesco De Stena, con una meticolosa ricostruzione della Torino di fine Ottocento, specie nelle location che fanno da sfondo agli avvenimenti narrati come il Regio manicomio, il carcere “Le Nuove” e il Ponte delle Benne.

Le Storie n.64
“Il dono di Atena”

Ne Il dono di Atena, Giuseppe De Nardo riprende uno degli snodi cruciali della lunga guerra del Peloponneso, ovvero l’assedio di Siracusa che generò una disastrosa sconfitta per la lega delio-attica guidata da Atene.

Ambientazione fumettistica più unica che rara quella scelta dall’autore che, come già fatto in passato, sovrappone la rigorosità dei reali fatti storici con opportune incursioni nella fantasia.

Purtroppo la sceneggiatura non si sviluppa in modo convincente, con un ritmo lento e troppe didascalie verbose, proponendo una sequela di nomi e situazioni storiche che finiscono col far smarrire l’attenzione al lettore.

In tutto questo, la sfumatura di giallo dell’incipit finisce per confondersi e perdere di interesse, rendendo inutile il – per la verità telefonatissimo – colpo di scena finale. Manca proprio il pathos in questa storia, che si concentra sulla sterile riproposizione degli eventi senza offrire spunti appassionanti.

Il reparto grafico è curato da Andrea Riccadonna, attivo con diversi lavori che spaziano dalla pubblicità fino al cinema, autore di una prova senz’altro dignitosa – anche se le fisionomie talvolta troppo dinoccolate e gli sfondi alquanto spogli ne minano un po’ il risultato finale.

Le Storie n.65
“Il terzo giorno”

Fa il suo esordio nella collana il duo Isaak FriedlMarco Nucci con un albo dalle evidenti atmosfere lovecraftiane.

Il terzo giorno è fondamentalmente un racconto horror, immerso nelle suggestioni del “solitario di Providence”, diviso tra thriller e splatter vero e proprio.

Se le prime quaranta pagine ancora reggono, il resto non riesce a mantenersi all’altezza, proponendo una sarabanda di mostri e assurdità varie in modo confuso e spesso incomprensibile.

Una storia inconcludente che non riesce affatto a trasmettere il senso di inquietudine e terrore che si prefiggeva. Si pongono all’interno della mediocrità generale anche i dialoghi, scialbi e privi di stile.

Le tavole di Stevan Subic, già al lavoro su Adam Wild, sono senz’altro degne di lode: è evidente come il disegnatore serbo abbia fatto sua la lezione di un maestro come Alberto Breccia. Peccato che in più di un’occasione l’eccesso di virtuosismo e di tecniche impiegate finisca per soffocare del tutto la già scarsa leggibilità della storia.

Le Storie n.66
“Angela”

Angela è un altro lavoro postumo di Paolo Morales, indimenticato autore di tante storie bonelliane.

La protagonista, il cui nome dona il titolo all’albo, è una donna indomita e coraggiosa che, nel tentativo di cambiare vita, dovrà farsi carico della stella di sceriffo in un paesino dell’Oklahoma.

All’interno di un genere western vicino al suo crepuscolo (siamo nei primi anni del Novecento), Morales sforna una storia senz’altro originale ma non priva di evidenti difetti, quali un certo schematismo dei personaggi – compresa la stessa Angela con il suo ostentato anticonformismo – situazioni poco credibili e una certa approssimazione in alcuni passaggi.

Ci sarebbe da chiedersi quanto sia davvero di Morales questa storia, piuttosto che una semplice bozza aggiustata poi da altre mani.

Deludente il lavoro di Fabio D’Agata, con una prova del tutto insufficiente. Stonano l’innaturale rigidità delle figure, primi piani con evidenti difetti e una generale sensazione di approssimazione.

Anche l’editoriale dell’albo sembra mettere le mani avanti sulle qualità del disegnatore, parlando di “spirito sperimentale della collana” e augurandosi che il “giovane esordiente possa affinare ulteriormente il proprio tratto“. Una presentazione davvero inelegante e antipatica.

Le Storie n.67
“Giochi di potere”

Con una curiosa scelta redazionale, viene proposta per il secondo mese di fila una storia di Paolo Morales.

Questo Giochi di potere è un esercizio di gran classe, sceneggiato con grande bravura da un autore che non sarà mai troppo rimpianto.

Nei primi anni del Cinquecento seguiamo le gesta di Messer Cosimo Tempesta, avventuriero che si muove tra una Venezia brulicante di vita e di intrighi di palazzo e una Costantinopoli imponente e misteriosa.

Un feuilleton vertiginoso, vibrante ed appassionante, con un protagonista che ricorda il Dago di Robin Wood in versione spia/agente segreto. Non ci si annoia un attimo, ricolma com’è la storia di colpi di scena, repentini cambi di prospettiva, tradimenti e feroci vendette.

Nello sfondo si nasconde un romanticismo puro e genuino, mai stucchevole, che dona alla storia un certo senso poetico.

Colpiscono i dialoghi, ben inseriti nel contesto storico, sempre calzanti e significativi. Un albo davvero convincente, dove l’unica cosa davvero banale  è il titolo, insipido e poco rappresentativo della storia narrata.

Molto funzionali e splendidamente narrativi i disegni di Stefano Voltolini, artista dalla grande esperienza con al suo attivo una lunga collaborazione con Il Giornalino. Non c’è solo efficacia nel suo lavoro ma anche una bella cura dei dettagli, specie nella rappresentazione degli ambienti, come il “Ponte dei pugni” di Campo San Barnaba a Venezia e lo splendido scorcio di una lussureggiante Costantinopoli.

Le Storie n.68
“Ucciderò Madiba”

Gabriella Contu, già al lavoro in Bonelli su Dylan Dog e Zagor, immerge questa storia nel Sudafrica degli anni ‘60, quello oppresso dalla politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca.

Ucciderò Madiba offre uno spaccato del quadro storico e sociale di quegli anni, visti soprattutto con gli occhi di Moses, un anziano signore nero che – nel contesto della lotta contro l’apartheid – vedrà crollare le sue certezze, superando la rassegnazione e dando un senso attivo alla sua vita.

L’autrice, nell’affrontare temi così delicati, dimostra una notevole sensibilità, riuscendo a dare un significato compiuto alla trasformazione del protagonista che compie la sua dinamica in modo coerente.

Le violenze della polizia sono mostrate ma senza cavalcare il facile sensazionalismo; piuttosto viene rimarcato il subdolo razzismo di personaggi come il giudice De Wet, dalla superficie rispettabile e fintamente “democratica” (le partite a scacchi con Moses) ma totalmente allineato al feroce apartheid del paese.

Una storia che appassiona e commuove, ma soprattutto coinvolge il lettore grazie a una scrittura intelligente che riesce a non scadere nella facile retorica. Finale che prima ricorda quello di Grido di libertà, pellicola sullo stesso tema dell’albo, con la rocambolesca fuga fuori dal paese e si conclude a Robben Island, per incontrare il Madiba del titolo.

Giuseppe Baiguera offre disegni congeniali al racconto, che risultano estremamente esplicativi specie nelle tavole senza dialoghi o didascalie.

Le Storie n.69
“Il rianimatore”

Un altro esordio nella collana è quello di Antonio Costantini, autore bolognese specializzato in libri-game, che inserisce nel suo Il rianimatore un personaggio storico come Giovanni Aldini.

Fisico e fisiologo attivo a partire dai primi anni dell’Ottocento, nipote del celebre Luigi Galvani, in questa storia viene evidenziata la sua parabola accademica e personale, romanzando alcuni aspetti ma attenendosi principalmente a fatti realmente accaduti, come ad esempio gli esperimenti con i cadaveri.

E proprio da queste sinistre esperienze nascerà la figura del “mad doctor” ritratto in questo albo, una sorta di Dottor Frankenstein che seminerà il terrore nella Bologna dei giorni nostri.

La precisa e attenta documentazione sul personaggio non è sufficiente per elevare la storia da una certa mediocrità, per via dei notevoli limiti della narrazione (vedi, ad esempio, i troppi salti temporali o gli irritanti dialoghi da B-movie) e del continuo ricorso alla sospensione dell’incredulità.

In una storia con tinte gialle con qualche virata sull’horror come questa, la quasi totale mancanza di pathos e thrilling è un peccato capitale. Troppe sono le situazioni telefonate, le inconsistenze nella sceneggiatura e un finale che vorrebbe sorprendere ma scade in una colossale banalità.

Ai disegni un altro debuttante, Claudio Montalbano, che se la cava bene, specie nella cura degli sfondi e delle precise ambientazioni dell’epoca.

Le Storie n.70
“Leone”

Ritorna Diego Cajelli con Leone, un noir metropolitano che strizza l’occhio alle produzioni di genere come Gomorra, Romanzo Criminale e Suburra.

Una storia estremamente confusa, con tante linee narrative che si aprono, a malapena si sfiorano, senza poi trovare alcun epilogo. Tanta, troppa carne al fuoco, con mille bozze di personaggi e situazioni, continui flashback, plotline incompiute.

Provare a seguire il canovaccio dell’autore è impresa titanica.

In queste condizioni i personaggi risaltano poco e sono mal caratterizzati – a partire dallo sfuggente protagonista – ampliando il senso di incompletezza che pervade tutto l’albo, soprattutto il finale. Che poi un finale non è.

Nell’editoriale si parla di epilogo “aperto e imprevedibile” ma qui il racconto è proprio troncato di netto. Le ultime quattro pagine sono immagini slegate l’una dall’altra con incomprensibili didascalie sul destino e la vita.

La sensazione è di leggere – ancora una volta – un fondo di magazzino, un numero pilota di una serie che non ha mai visto la luce. E questa volta lo si fa in modo davvero sfacciato.

A completare il triste quadro ci pensano i disegni della coppia esordiente Arjuna Susini/Francesco Francini: poco leggibili, a tratti solo abbozzati, con un esagerato tratto “sporco” in cui si fatica a distinguere l’uno dall’altro i numerosi personaggi presenti.

Le Storie n.71
“Gli eroi del Messico”

Alla sua quarta prova su Le Storie, Fausto Vitaliano riprende un conflitto poco esplorato nella narrativa a fumetti, ossia la guerra messico-statunitense di metà Ottocento, che permise allo stato a stelle e strisce di espandere notevolmente i suoi confini.

Gli eroi del Messico cui si riferisce il titolo sono gli esuli irlandesi che componevano il cosiddetto Saint Patrick’s Battalion, uomini che – di fronte ai brutali metodi usati dall’esercito americano – decisero di schierarsi con quello messicano, divenendo a tutti gli effetti disertori.

In particolare vengono raccontate le gesta eroiche di John Riley, comandante dell’indomito battaglione e assurto a vero e proprio eroe di una guerra che lo vide sconfitto, ma con la consapevolezza di aver lottato per una giusta causa.

Nonostante il buon rigore storico, la trama appare alquanto scontata e i personaggi eccessivamente piatti. Una narrazione sicuramente lineare, con un’impronta classicissima, senza però alcuna impennata che lasci il segno.

I disegni sono di Renzo Calegari, deceduto pochi mesi prima della pubblicazione dell’albo, vera e propria leggenda del fumetto western (e non solo).

Inutile andare a cercare difetti nell’opera di un disegnatore che, data l’avanzata età e i vari acciacchi, non poteva certo tenere il passo con i capolavori del passato. Un lavoro sicuramente apprezzabile anche per il significato che va oltre le matite e le chine: qui c’è il testamento di un artista che ha dimostrato come il fumetto possa elevarsi a forma di cultura e arte.

Le Storie n.72
“Come quando fuori piove”

Come quando fuori piove di Simone Gabrielli, ennesimo esordiente in casa Bonelli, è una sorta di mini-saga familiare che parte dal Sudamerica, arriva in Francia e si conclude a Panama.

Una storia davvero difficile da leggere, confusa e frammentaria, con continue ellissi e salti narrativi. La stessa sceneggiatura condensa troppi eventi in 110 pagine, creando un arco narrativo troppo ampio in cui è facile rimanere disorientati.

Ma il peggio arriva nelle ultime pagine, dove arrivano due svarioni belli grossi in cui la Storia collassa, confondendo una Guerra Mondiale con l’altra.

Vengono messe in bocca a uno dei protagonisti parole come “la guerra era imminente e a stare con i fascisti non ce l’ho fatta […] così sono entrato nella resistenza”. Peccato che il dialogo si svolga nel 1920, rendendo il tutto assolutamente anacronistico.

Difficile parlare anche di svista, sono proprio linee di dialogo articolate.

Un errore madornale, talmente grossolano da apparire irreale, specie per un editore come Bonelli che dovrebbe garantire una supervisione accurata alle proprie pubblicazioni.

L’autore, tramite canali social, risponderà alle critiche affermando che non c’è confusione tra le due guerre con una spiegazione – per la verità – poco convincente. In seguito sceglierà invece una motivazione più generica, parlando di un refuso del processo di lavorazione.

Neanche il comparto grafico – anche questo appannaggio dello stesso Gabrielli – riesce a risollevare le sorti dell’albo. L’uso della mezzatinta dona un effetto “fotoromanzo” che di per sé non stonerebbe nemmeno, se non fosse che i disegni soffrono di una staticità davvero eccessiva, rendendo quasi grottesche le scene d’azione. Inoltre i volti con le fattezze di attori arcinoti sono troppi e troppo evidenti: vedere “recitare” insieme Valerio Mastandrea e Raymond Burr (il Perry Mason del piccolo schermo) scatena involontariamente l’effetto comico (ma sono riconoscibili anche Nicole Kidman, Matt Dillon e The Rock!).

Probabilmente il punto più basso della collana.

Le Storie n.73
“Inciso nel sangue”

Inciso nel sangue è un thriller storico che sconfina nel fantastico, scritto da tre ex allievi di Bottega Finzioni (la scuola di scrittura fondata da Carlo Lucarelli): si tratta di Gianmarco Guazzo, Paolo Mancino e Francesco Tedeschi, riuniti sotto lo pseudonimo di Emiliano Polo.

Legata al progetto bolognese dedicato a Francesco Griffo – artigiano incisore nato e vissuto nel capoluogo emiliano tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo – la storia ripercorre le vicissitudini legate alla sua celebre invenzione,  il carattere tipografico corsivo.

Partendo a ritroso dalla sua morte per impiccagione, vengono sviscerati gli intrighi che hanno portato alla sua condanna, attraverso tradimenti, omicidi e vile cupidigia.

Lo sviluppo ricorda quello già visto in diversi altri numeri: contesto storico mischiato con quello attuale, continui salti temporali, intrigo e mistero da risolvere.

Una storia su binari già ben consolidati che, a fronte di una narrazione gialla sempre molto concreta, non regala guizzi particolari e presenta un protagonista che sa di già visto, a metà tra il bilottiano Valter Buio e il Commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni.

Debutto ai disegni per Salvo Coniglione: lo stile piuttosto essenziale (specie nelle fisionomie dei personaggi) ricorda il tratto di Giuseppe Montanari, mentre gli sfondi e gli splendidi scorci bolognesi e veneziani risultano decisamente più curati e personali.

Le Storie n.74
“Wildlife”

Torna Paola Barbato, una delle autrici più prolifiche della collana, questa volta in coppia con Michele Medda, co-creatore di Nathan Never e al lavoro su diversi altri personaggi bonelliani.

Wildlife è un fanta-horror che, in un futuro prossimo distopico, presenta un manipolo di giovani dissidenti che – in modo più o meno legale – cerca di opporsi a regimi oppressivi e totalitari.

Saranno presto in balia delle torture fisiche e psicologiche dei quadri militari e, successivamente, prede di entità bestiali sovrannaturali. Un albo che sembra un incrocio tra L’isola del dottor Moreau e Philadelphia Experiment, condito con le disumane torture tipiche delle dittature sudamericane.

Dietro l’evidente metafora sull’animalità della società umana e su quanto possa essere labile il confine tra vittima e carnefice, c’è una scrittura asciutta, sempre votata all’azione, fino al susseguirsi frenetico degli eventi che condurranno al tragico finale.

Un albo che non ha il pregio dell’originalità, presenta personaggi abbastanza stereotipati e utilizza un espediente alquanto inverosimile per giustificare l’accadimento dei fatti narrati: tuttavia funziona, grazie a un ritmo serrato, alla narrazione tesa e diretta e a un clima inquietante e claustrofobico.

Ai disegni un’altra coppia, Werner Maresta e Fabio Detullio, già al lavoro con Medda per Lukas e Caravan, che consegnano un discreto lavoro, senza particolari picchi ma che riesce ad essere efficace.

Le Storie n.75
“Il mistero del lago”

Torna su Le Storie Fabrizio Accatino con un albo che si diverte a mettere alla berlina il medioevo padano in una sorta di spaghetti-fantasy, presentando le rocambolesche avventure di un trasandato e generoso cavaliere e del suo curioso e furbo scudiero dal latinorum facile.

Lo sceneggiatore è abile nel variare registro con grande naturalezza, alternando momenti drammatici ad altri più leggeri, scene quasi splatter con altre addirittura comiche. Si direbbe opera non tanto dissimile da quello che cinematograficamente fanno i fratelli Coen, con personaggi e situazioni sempre in bilico tra farsa e tragedia.

L’esempio più calzante è proprio il duo protagonista, che da maldestri e malmessi ciarlatani diventano coraggiosi e valorosi eroi, terminando la loro parabola nell’indifferenza generale, in un finale amarissimo.

Il mistero del lago è una lettura intrigante, fresca e gradevole, con un’originale ambientazione figlia del medioevo sgangherato della compagnia della forca di Magnus, il tutto impreziosito da dialoghi arguti e brillanti.

Ai disegni ritroviamo Tommaso Bianchi che regala un’altra prova di tutto rispetto, con un segno sempre debitore del tratto di Corrado Roi ma che sa essere anche molto personale.

Piccola curiosità: per poter rispettare la scadenza di consegna, alcune tavole sono state affidate a Giulia Francesca Massaglia e Stefania Caretta, a cui va dato atto di un lavoro in linea con la bontà di quanto fatto da Bianchi.

Le Storie n.76-77-78
“La corsa del lupo”

Dopo 75 uscite mensili di albi autoconclusivi, la collana cambia direzione e con questa pubblicazione inaugura le storie suddivise in più parti.

Un segno di discontinuità che, se da un lato rinnega il formato con cui era stata inizialmente presentata la serie, dall’altro porta una ventata d’aria nuova rispetto a quella stantia – al netto di poche eccezioni – che si respirava con gli ultimi numeri.

Il compito di avviare questo primo miniciclo narrativo è affidato a Gigi Simeoni, nome ben noto ai lettori, che consegna quello che può essere definito un vero e proprio gioiello narrativo. In realtà non ci si dovrebbe sorprendere, in quanto l’autore bresciano aveva già all’attivo opere del calibro di Gli occhi e il buio e Stria, due evidenti prove del suo talento sulla lunga distanza.

Il soggetto de La corsa del lupo nasce parecchi anni prima, esattamente nel 2009 quando Simeoni lo propose con successo a Sergio Bonelli per essere inserito nella collana “Romanzi a fumetti”, salvo rimandarne la lavorazione per evitare la concomitanza con un’altra pubblicazione a tema bellico. La sua piena realizzazione venne posticipata fino al gennaio 2019, prima per nuove esigenze editoriali e successivamente per i postumi di un grave incidente stradale che coinvolse lo stesso autore. Praticamente un’avventura nell’avventura!

Perché di avventura nelle pagine degli albi che compongono questa trilogia ce n’è tanta e di quella che appassiona e coinvolge.

Il racconto – suddiviso artificiosamente in tre uscite intitolate Tre pietre nere, Nel nido del ragno e L’ultimo miglio – ha un incipit che parte da Erode e dalla sua leggendaria corona, affronta le brutture del secondo conflitto mondiale (concentrandosi in particolare nei sanguinosi scontri sul suolo italico) e termina la sua parabola nel tormentato dopoguerra, coinvolgendo persino la prima Mille Miglia post conflitto bellico.

Una vicenda lunga e articolata, con continui colpi di scena in un crescendo di drammaticità e mistero che, in un sapiente mix di storia e fantasia, tiene letteralmente il lettore incollato alle pagine.

Un riferimento obbligato è senz’altro quello de I predatori dell’arca perduta, dove viene ripresa la passione di Hitler per l’esoterismo – vera o presunta che sia – con un oggetto mitico (in questo caso la corona) anche qui foriero di sventura.

Il lupo del titolo è il maggiore delle SS Hans Weissmann – spietato ufficiale nazista che fa sfoggio di tutta la sua crudeltà e del suo fanatismo – che, con indomita determinazione, rincorre l’agognato cimelio segno di potere e in qualche modo anche di immortalità. Un cimelio che passerà per diverse mani, più o meno malvagie, più o meno meritevoli di possederlo, lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue, in cui le prede diventano cacciatori e viceversa.

Nonostante i tanti avvenimenti che si susseguono e il gran numero di personaggi presenti, non si perde mai la bussola, stretta saldamente tra le mani dell’autore, capace di affrontare fatti e temi ancora dolorosi (la resistenza italiana durante il secondo conflitto mondiale) senza sconfinare nella retorica o in considerazioni ambigue.

Non è da meno la qualità al tavolo da disegno, dove Simeoni indovina una prova eccellente: debitore del tratto del Magnus meno grottesco, regala tavole ariose ed equilibrate, con un taglio cinematografico ben visibile, senza mai scadere nella ricerca del particolare superfluo. Un lavoro in perfetta simbiosi con la sceneggiatura che, in seguito, avrà anche una trasposizione in prosa con il titolo “I lupi di Hitler”.

La pubblicazione a puntate ha il merito di aver innescato una bella attesa tra un numero e l’altro e anche quel pizzico di eccitazione che la collana aveva completamente perso nel corso degli anni; tuttavia un unico volume è il giusto formato per una lettura ottimale di questo autentico colossal a fumetti.

Le Storie n.79-80
“China Song”

Il dittico China Song, composto dagli albi Sulla via della seta e La tigre di ferro, riprende i personaggi del precedente fortunato Tropical Blues, un extra collana uscito qualche anno prima sempre a firma Luigi Mignacco.

E così ritroviamo lo strano terzetto composto dal detective americano Ray Harvest, il maori con sangue inglese Fletcher Joe e il capitano Thomas Starke – ex ufficiale del Kaiser – impegnati in un’esotica avventura in terra cinese.

È la Cina della prima metà del Novecento, quella del periodo dei signori della guerra, in cui la frammentazione del potere centrale aveva dato vita a veri e propri feudi locali in costante guerra tra loro.

In questa intricata e complicata situazione politica si muovono i tre protagonisti, in un’avventura tutta azione e combattimenti, in cui dovranno fronteggiare potenti e folli dittatori, tradimenti e inaspettate alleanze con colpi di scena continui.

Il tutto con – sullo sfondo – i primi germogli della rivoluzione comunista in atto.

Rispetto a Tropical Blues, Mignacco si discosta dalle precedenti atmosfere prattiane (in particolare quelle del suo capolavoro Una ballata del Mare Salato), prediligendo un contesto bellico completamente votato all’azione, ricordando di più le avventure asiatiche del suo Mister No.

La storia è ben realizzata e si segue senza fatica, ma resta un po’ troppo in superficie, condensando tanti avvenimenti in modo piuttosto frettoloso – specie nel secondo volume che appare quasi sbrigativo nella rincorsa verso il finale. Non appassiona nemmeno il trio dei protagonisti, poco interessanti per come sono narrati e caratterizzati. Paradossalmente, risultano più stimolanti comprimari e avversari.

Ottimi i disegni di Marco Foderà, che possiedono un tratto semplice ed essenziale, parente non troppo lontano di quello di un maestro come Ivo  Milazzo. Già nel precedente Tropical Blues aveva dato prova delle sue capacità illustrando magnificamente gli scenari tropicali della storia: qui si concentra maggiormente nel dare grande dinamicità alle numerose scene d’azione senza trascurare gli ottimi primi piani, in cui mimica ed espressioni facciali ben rappresentano la recitazione dei personaggi.

Stefano Paparella

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