Passano gli anni, ma 30 son lunghi

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Le nuove indagini del nipote dell’immigrato Nicola Raidero

Per forza di cose la testata bonelliana “Nick Raider”, improntata sul modello del police procedural alla McBain, ha mantenuto un contatto con la realtà molto più solido di altri titoli della stessa casa editrice. Non stupisce più di tanto quindi la scelta da parte di Nizzi & Co. di riportare Nick in edicola (dopo una breve parentesi per i tipi delle Edizioni IF tra 2006 e 2008) senza nascondersi dietro artifizi narrativi, anzi presentandoci un Nick ultracinquantenne, per il quale quindi il tempo è trascorso allo stesso modo che per il lettore.

La necessità di adeguarsi ai tempi emerge però nella formula utilizzata, ossia un ritorno in forma contenuta nei panni di una miniserie in dieci albi, che apparentemente ripercorrerà a grandi tappe altrettanti momenti della vita di Nick, mentre in sottofondo una trama orizzontale (anche questa una concessione a più moderne tendenze narrative, e già introdotta nel primo numero) farà da cornice all’intera operazione di revival.
Lo stesso Nizzi, inaugurando la nuova versione della “Posta Gialla” con una sua intervista, sgombra subito il campo da dubbi affermando che il suo mestiere di narratore poggia su princìpi che ormai sembrano aver fatto il loro tempo, oltre al fatto che il mestiere di poliziotto si accompagna oggigiorno all’uso pervasivo di tecnologie digitali, che lui non sarebbe in grado di gestire adeguatamente in termini narrativi: per questi motivi comparirà solo come presenza sì immanente ma sporadica, rimanendo come esegeta del passato di Nick, ma al contempo affidandosi a diverse “nuove leve” della famiglia bonelliana per traghettare il nostro tra le pieghe del crimine contemporaneo.

Ciò detto, questo primo numero fornisce alcuni elementi che introducono – ma non più di tanto – la citata macrotrama orizzontale; per il resto, il classico espediente del ricordo innescato (“sbloccato”, si direbbe oggi) da una vecchia fotografia spuntata chissà come dagli archivi del distretto, fornisce all’autore il pretesto per narrare una storia ambientata negli anni ’80, e quindi più distintamente nelle sue corde; più nello specifico, si può parlare tecnicamente di prequel, in quanto racconta di un giovane Nick affiancato non già da Marvin Brown, bensì ancora prima da Richard Varelli, la famosa “vittima senza nome” del fu n.1 targato 1988. Sono infatti gli ultimi guizzi del flusso di ricordi ai quali Nick si era abbandonato, a riassumere in un paio di tavole gli eventi di quella storia d’esordio nelle edicole, dopodiché l’ultima sequenza ci riporta alla realtà e ci lascia con l’immancabile cliffhanger.

Al di là di tutto, si tratta di una classica storia di quel “tardo Nizzi” che già da oltre una quindicina di anni il lettore ha imparato a conoscere soprattutto su Tex, prima che il testimone fosse passato definitivamente a Mauro Boselli: è infatti un Nizzi senza nerbo, che infarcisce le storie di una quantità enorme di inutili vignette riempitive, le quali sortiscono il solo scopo di allungare il brodo massacrando di conseguenza il ritmo. Questo primo numero avrebbe potuto benissimo essere compres(s)o nel 60% delle tavole impiegate, e comunque l’effetto finale sarebbe stato quello di una storiella da mestierante della narrazione, che da un lato riprende una serie di cliché (inevitabilmente anche nell’interesse dei lettori che non hanno letto NR all’epoca), e dall’altra non disdegna alcuni buchi nella pur esile sceneggiatura. A conti fatti, quindi, un Nizzi stretto parente dell’autore del dimenticabile duecentesimo e ultimo numero dell’omonima testata nel 2005.

A completare il quadro, un comparto grafico vagamente imbarazzante: il tratto di Giovanni Freghieri mostra in questo albo più ombre che luci, impegnando il lettore ad inseguire i personaggi principali attraverso fisionomie mutevoli e approssimate, che un tempo appartenevano solo a personaggi di contorno sullo sfondo. La costruzione della tavola presenta qui e là qualche soluzione interessante, ma in generale si parla una notevole regressione rispetto al passato. Non giovano ovviamente a questo i citati limiti in fase di scrittura, che spesso e volentieri stiracchiano su più tavole eventi che avrebbero reso di più in una manciata di vignette.

In sintesi: un primo numero privo del botto, per il quale solo la curiosità per l’evento–cornice può sperare di mantenere desta l’attenzione del lettore. Resta certo da capire come il personaggio e il suo micromondo verranno interpretati da autori più contemporanei; in questo, ci si augura che la limitata durata temporale dell’esperimento editoriale possa aiutare a mantenere una cifra ritmica elevata, al pari ad esempio di una stagione di un serial televisivo che da 22 puntate iniziali passa a 13, e poi a 6, pur mantenendo inalterato il soggetto originale.

Per concludere, anche la cover ricalca fedelmente l’abbiccì della “cover del primo numero” (e per certi versi quella di Casertano nel 1988 presentava una struttura non dissimile), tuttavia Rosario Raho ancora non riesce del tutto a liberarsi da una monoliticità che già era emersa tra le pagine di Martin Mystère – Le nuove avventure a colori.
Ad ogni modo, riavere Nick in edicola riporta una certa fetta del lettorato bonelliano in quello stato in cui “spigoli del passato diventano curve della memoria”: è un’operazione nostalgia che però già mostra delle crepe, e per il bene che si vuole al personaggio ci si augura di non assistere ad una (nuova) débâcle.

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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