Revoir Comanche

Il "ritorno" di una famosissima BD

//
3 mins read

Non l’ennesima ripresa, inutile perché commerciale, ma un omaggio lungo 150 pagine alla famosa BD Comanche, nato durante un pranzo tra il direttore della casa editrice Le Lombard e Romain Renard per un contributo al numero unico de Le journal de Tintin, pubblicato l’anno scorso in Francia e in Belgio per celebrare i 77 anni della rivista e le storie che ne fecero la gloria: dall’antipasto al dessert, le poche pagine richieste sono diventate il libro attualmente in vendita (accompagnato, per i più fortunati, da un vinile a 45 giri a tiratura limitata con tre canzoni dello stesso Renard, che ha partecipato comunque al numero speciale di Tintin con le sei pagine richieste dedicate ad un altro caposaldo della ligne claire, l’aviatore Adler di René Stern).

Uscito nell’ottobre di quest’anno, in soli due mesi Revoir Comanche ha già valso al suo autore il Prix Victor Rossel (inaugurato nel 1938, è uno dei massimi riconoscimenti letterari belgi), il premio Coup de cœur 2024 al festival Quai des bulles de Saint-Malo, e una nomina al prossimo Festival d’Angoulême nella sezione Fauve polar.

Un incanutito e imbolsito Red Dust, ricercato in quattro stati federali e da una bibliotecaria incinta, si imbarca con quest’ultima dalla California al Wyoming perché al Ranch 666 non risponde più nessuno.

Renard gioca con la nostalgia dei lettori, ma il racconto (godibilissimo anche per chi non sa nulla della storica serie sceneggiata da Greg e disegnata da Hermann prima e Michel Rouge poi) si fa elegia di un mondo che il presente ha spazzato e spazza continuamente via.

“Ho fatto il mio tempo, qui. Voi farete il vostro, poi verrà il suo”, dice Red – senza compiacimento ma nemmeno senza pietà – alla donna e al neonato che tiene tra le braccia. La strada non percorre infatti la memoria, piuttosto la Grande Depressione degli anni Trenta lungo città, uomini e paesaggi che l’invecchiato cowboy non riconosce più, che il cinema (come raccontato da Christian Rossi in Golden West) ha già trasformato in mito, secondo la massima di là da venire: “se la leggenda diventà realtà, vince la leggenda” (L’uomo che uccise Liberty Valance, John Ford, 1962), e il cui unico comun denominatore è il sopruso, la violenza come mezzo per soddisfare i propri instinti o i propri interessi (“Questo mondo è fottuto, lo sai vero?” è l’epitaffio sussurrato, con grazia e saggezza indiana a dispetto delle parole, da Macchia di Luna).

In questo senso, il carboncino di Renard è di un virtuosimo senza eguali nell’attuale panorama fumettistico: bisogna letteralmente avvicinarsi alle vignette per capire che non si tratta di vecchie fotografie in bianco e nero, quanto piuttosto di sfumati e sfumature d’altri tempi, non digitali, che aumentano nella scelta documentaria il valore del disegno. Un segno particolarissimo che – finalmente! – il lettore italiano può apprezzare grazie alla traduzione del primo volume della serie Melville (Melville. Storia di Samuel Beauclair, 21lettere edizioni, 2023), storia-città-contenitore giunta Oltralpe al quarto tomo e in procinto di diventare un film d’animazione (le prime sequenze possono gustarsi al Musée de la Bande Dessinée di Bruxelles). Un segno che è un perfetto contraltare a La strada di Manu Larcenet.

Lande desolate, deserto impietoso, nuvole di sabbia apocalittiche: il vento rende insensati gli uomini tanto nel passato che nel futuro, con la differenza che l’innocenza fanciullesca de La strada diventa in Revoir Comanche un passo tratto dal sonetto 71 di Shakespeare (No longer mourn for me when I am dead “Quando sarò morto, soffoca il tuo pianto”).

E per entrambi, pur in maniera diversa, vi è un segno capace di dire ed emozionare il lettore soprattutto nel silenzio, e quindi nella sua funzione primigenia: quella di mostrare la soggettività di un’interpretazione (quella dell’autore) e rendercene partecipi.

Gridavo al capolavoro per Larcenet (e non sono l’unico): l’anno fausto, che ha visto pure, per quel che mi riguarda, Ma vie en 24 images par seconde di Rintarô si chiude con un altro atto di fiducia verso un’arte, i suoi autori (Hermann e Greg nello specifico) e i suoi fruitori. Perché di questo in fondo si tratta: di trasmissione (la donna incinta ne è simbolo esplicito, svelato oltremisura nella scelta del nome da dare al piccolo) e del tempo e dell’impegno che il fumetto chiede agli uni come agli altri, all’autore che vi ha dedicato un anno e mezzo della sua vita e al lettore che una vignetta fa seguire all’altra senza clic. Nel mezzo: un mondo che scompare, un po’ anche (il) nostro.

Vasco Zara

«Mi disseto un momento e cominciamo subito»

Articolo precedente

Sergio Bonelli/Guido Nolitta. L’editore narratore

Prossimo Articolo

Zagor n.54
“Natale calibro 45”

Ultimi Articoli Blog