“Golden West” di Christian Rossi

Il crepuscolo di un uomo, di un’epoca, di una civiltà

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10/10

Come raccontare quanto già è stato narrato centinaia di volte, nel caso specifico la tragica epopea di Geronimo e del suo popolo?

Christian Rossi, conosciuto anche in Italia grazie soprattutto alle serie W.E.S.T. e Jim Cutlass (quest’ultima scritta da Jean Giraud) e al formidabile Deadline, qui alla sua prima prova da autore completo, sceglie di narrare quanto già sappiamo non da Geronimo, ma – cogliendo lui e la sua storia di sbieco – attraverso gli occhi e le gesta di un personaggio fittizio, Woan, ricusato dalla tribù quando era bambino per una colpa involontaria.

La vicenda inizia in medias res per aprirsi poi, a mo’ di palcoscenico, sui fatti antecedenti (ma questo lo scopriremo solo in séguito). L’impaginazione – regolare ma modulabile – di tre vignette su tre strisce obbliga alla lentezza. Gli echi del cinema di Leone, Peckinpah e soprattutto Ford sono certo riconoscibili, così come i panorami di Giraud (appunto) e addirittura certe pose plastiche tipiche di Esad Ribic. Ma è il deserto, dipinto come non mai – con degli acquarelli i cui sfumati si accompagnano a colori piatti e opprimenti – ad essere il vero protagonista: nel suo essere imparziale (si piange per la morte di un cane, meno per quella degli uomini), nella capacità che ha Rossi di farci sentire il sole sulla pelle e la sabbia in bocca. Contrariamente a quanto afferma Stephen King, forse per troppa umiltà, non conta soltanto la storia ma anche chi la racconta: alla sua prima prova autoriale Rossi dimostra di padroneggiare la struttura visiva, dialogica, cromatica, temporale del fumetto, chiedendo e imponendo al lettore non solo un rapporto, ma un’esperienza.

Magistrale.

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Vasco Zara

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