Cosa succede quando nella vita i ruoli si ribaltano e ci si ritrova nei panni di chi non vorremmo mai essere?
Può essere spiazzante se a subire questa (dis)avventura è Alceste Santacroce, il giornalista gossipparo nato dalla mente di Alessandro Bilotta e qui arrivato al sesto episodio della sua vita editoriale.
Diventato una celebrità dopo l’inatteso successo del suo libro denigratorio su Tito Forte, noto volto della TV caduto in disgrazia, Alceste subisce le attenzioni di un pubblico adorante, pronto a porre sul piedistallo della fama l’ennesimo agnello che la stampa si divertirà a sbranare.
Una sorta di nemesi per il rapace e spietato cronista mondano, che porterà fama e ricchezza ma anche quella spiacevole sensazione di essere dalla parte sbagliata della barricata.
Ne deriva anche un’inaspettata solitudine che, per un personaggio apatico e amorale come Alceste, non rappresenta di certo un problema: questa volta, però, non è stato lui a sceglierla bensì la subisce, con l’abbandono prima della compagna e poi del fratello.
Anche questa volta, Bilotta non manca di inserire nella storia il peggio che TV e social ci mostrano oggi: dai talent con artisti che di talento ne hanno ben poco ad effimere pop star del web che contano il successo a brani scaricati, dai reality di isole con presunti famosi agli opportunismi politici che cavalcano il più becero populismo.
Roma, come abitudine dell’autore, fa da sfondo ma nello stesso tempo è anch’essa protagonista, con tutta la sua grande bellezza di “sorrentiniana” memoria e lo squallore e la miseria di chi ci vive.
La noia di Alceste finisce col diventare anche la nostra, perché niente di quello che ci viene mostrato – compresi i cinque episodi precedenti – resta impresso nella nostra memoria.
Ricordiamo solo figure sfuggenti che vanno dal disperato al patetico, quando non sconfinano addirittura nel ridicolo. Vite vuote e povere di valori, in cui l’apparire è necessario alla loro stessa sopravvivenza: come quella di Tito Forte, l’ultima vittima del gossip di Alceste, uomo senza più rispetto verso sé stesso e finito in fondo al baratro dello sconforto, pronto ad ogni gesto estremo, come quello che conclude in modo spiazzante questo sesto volume.
Ottima la prova grafica di Sergio Gerasi: più che una conferma, una certezza.
Come scriveva Luca Cerutti nel suo Eternity: la mente di Bilotta è un bel posto ma non ci vivrei, in Eternity ho trovato qualcosa che non mi interessava per niente.
E mi è piaciuto tantissimo.