Appropriatosi dell’(anti)eroe in maniera, come visto (Welcome Back, Frank), dirompente e schietta, Gart Ennis può adesso costruire abilmente il mondo di Frank Castle con cura e meticolosa professionalità instillando, nelle storie di The Punisher, tutte quelle tematiche a lui care e, da sempre, cardine della sua narrativa.
Si comincia con il consueto (per la narrativa di Ennis, n.d.r) degrado della condizione umana passando per la corruzione e la pochezza del mondo criminale e militare con il ritorno in scena de Il Russo, stavolta al soldo del Generale Kreigkopf (Well Come On Everybody And Let’s Get Together Tonight) in un grottesco scontro e confronto che coinvolge anche un vituperato Spider-Man (Does Whatever A Spider Can). Ne viene fuori un confronto al limite del surreale, con un machismo spinto che irride i più classici cliché dei film di guerra degli anni ‘80 e ‘90: un’esasperazione senza freni che ridicolizza e spoglia di qualsiasi eroismo sia la guerra, sia chi la guerra la fa di professione.
Il tutto permette a Ennis e a Dillon di giocare al massacro con grande piacere, sia loro che del lettore (American Ugly, Dirty Work, No Limits).
Tutto leggibile con gusto e leggerezza, con il consueto piacere di divertirsi, almeno fino a Do Not Fall In New York City che tira le fila, almeno idealmente, dell’idea di guerra di Ennis o, meglio, delle sue ripercussioni sociali ed emotive.
Dopo decine di pagine di violenza grottesca, machismo e burlesque quindi, questa run arriva con una forza inattesa e spiazzante per riportare il lettore alla dura e concreta realtà: la guerra distrugge e corrompe tutto e distrugge e corrompe, soprattutto, l’animo umano.
Un cambio di registro, un anticlimax tremendamente efficace con una costruzione del racconto diretta e spietata. Priva di fronzoli.
Come detto, il Punitore di Garth Ennis non ha sfumature di grigio, per lui è tutto più semplice: bianco o nero. I compromessi, il male minore, sono scelte avulse dal suo percorso (Good Clean Fight, Killing La Vida Loca). Ma, soprattutto, nonostante il tono sia spesso – come più volte ricordato – sopra le righe, il tutto è dannatamente serio. Non c’è redenzione, non c’è speranza, non c’è gloria (Exclusive).
È semplice pulizia.
Un primo percorso narrativo, questo, caratterizzato anche da punte dissacranti decisamente politically incorrect (Vertical Challenge, Aim Low) che includono un surreale incontro / scontro con Wolverine. Storie che però continuano a seguire schemi simili, con il Punitore che elimina criminali in modi brutali senza che la trama evolva significativamente.
E poi, ovviamente, c’è l’Irlanda (Downtown). L’Irlanda con il suo conflitto e le sue contraddizioni, <<voi volete continuare a odiarvi. E godete nel farlo. E questo posto ne fa le spese>>. L’Irlanda, capace di “stancare” persino Frank Castle.
C’è tempo anche per il ritorno di Joan (Of Mice And Men) nella personale versione di Garth Ennis della narrativa d’assedio (Un dollaro d’onore, 1959; Assault on Precinct 13, 1976) prima di tornare ad immergersi nella corruzione sociale e morale di Brotherhood, con la storia dei Detective Mike Pearse e Andy Seifert. Una bromance noir tanto cupa quanto didascalica che strizza l’occhio a James Ellroy e a tutta una narrativa di genere – sempre, ovviamente, mediata dalla brutalità di Ennis. E c’è anche l’occasione di far incontrare i due assassini più temuti del mondo supereroistico Marvel: Frank Castle e Elektra Natchios (Elektra). Complici i disegni iperdinamici di Clayton Crain, la storia scorre veloce e adrenalinica seppur, ancora una volta, non approfondendo di molto lo spessore dei personaggi.
La western Streets Of Laredo rievoca l’omonima run di Garth Ennis per Judge Dredd in quanto a tematiche e ambientazioni.
Il racconto porta la badassness e il machismo a nuove contaminazioni pulp, con uno sceriffo gay, Steve Southall, e una tanto premurosa quanto cazzuta madre, Rachel.
I disegni di Cam Kennedy, con un tratto duro e marcato, accentuano l’omaggio al cinema di Sergio Leone e rendono lo scontro e la storia ancora più spigolosi. Il racconto, nel bel mezzo del suo climax (oltre a quanto citato), ha il pregio e merito di seppellire neI torrido deserto del Texas qualsiasi argomentazione omofoba di sorta, con la disarmante e spiazzante chiosa che lo sceriffo Steve Southall sciorina al bigotto e becero reverendo Henry McCarthy: <<devono esserci sempre stati uomini come te. Che odiano la terra stessa su cui camminano. Ma pensa questo: non molto tempo fa, in questo paese, i neri erano schiavi, le donne non potevano votare e i gay… beh, nessuno riconosceva nemmeno la nostra esistenza, eravamo considerati troppo disgustosi. E poi… poco a poco, con molta fatica e parecchi problemi lungo il percorso… tutto è iniziato a cambiare. E sta ancora cambiando, e non smetterà. La gente diventa più tollerante, voglio dire. Ci saranno sempre quelli come me, predicatore. Ma verrà un giorno in cui tu e la tua razza scomparirete da questo mondo.>>
Chiosa che, parallelamente alla fine del reverendo, sancisce – ancora una volta – la visione manicheista di Castle: bianco e nero, buoni e cattivi, uomini e feccia, onesti e corrotti, coraggiosi e vili. Altre etichette, per lui, non ce ne sono.
La breve Soap esaspera la tristezza di un personaggio, il Detective Martin Soap, ormai archetipo del perdente tragicomico, il ruolo di comic relief nella narrativa oscura e violenta di Ennis.
Confederacy Of Dunces, con il suo netto confronto fra le ideologie care ai supereroi Marvel contrapposte alla frugale dicotomia bianco / nero di Frank Castle, è la summa e la conclusione di un ciclo tanto vasto quanto singolare.
Un ciclo capace di tenere assieme critica sociale, violenza e brutalità pur senza mancare di lanciare uno sguardo crudo e sincero all’animo umano. Il tutto conservando sempre un dissacrante tono sarcastico ai limiti (e talvolta ben oltre) del grottesco.
Sono mancati, come detto, un vero e proprio approfondimento psicologico del personaggio e, soprattutto, un villan capace di essere qualcosa di più di uno stereotipo. E così, con tanti, tanti nemici bidimensionali – buoni solo come carne da macello – e un po’ di ripetitività dello schema narrativo, Ennis conferma, in pratica, che il suo intento era davvero quello di divertirsi e divertire. Semplicemente, l’ha fatto alla sua maniera.
In più, nel frattempo, c’è stato l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle.
E questo, verso la fine del racconto, si sente.
Garth Ennis, nelle ultime pagine di questo ciclo, quasi “legittima e giustifica” il Punitore come nuovo e propedeutico strumento alla lotta. Quasi fosse una freccia in più alla faretra del PATRIOT Act. La chiave di lettura da dare a queste ultime tavole (qui sotto) ciascuno la scelga per sé.
…continua…
La run comprende Well Come On Everybody And Let’s Get Together Tonight; Does Whatever A Spider Can; American Ugly; Dirty Work; No Limits; Do Not Fall In New York City; Good Clean Fight; Killing La Vida Loca; The Exclusive; Vertical Challenge; Aim Low; Downtown; Of Mice And Men; Brotherhood; Squid; Hidden; Elektra; Streets Of Laredo; Soap; Confederacy Of Dunces.
THE PUNISHER DI GARTH ENNIS – tutti gli articoli
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