The Punisher di Garth Ennis. Parte III

La serie MAX: da In principio a Valley Forge, Valley Forge, passando per Kitchen Irish, Madre Russia e Barracuda - Punisher vol 7 #1-60, 2004/2009

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Con la serie MAX Garth Ennis abbandona definitivamente l’umorismo, soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre, preferendo un tono più serio e drammatico.
È questa l’occasione per affrontare, finalmente, il brutale omicidio della famiglia di Frank Castle.

In The Beginning

Ennis lo fa con una prosa quasi lirica nelle prime pagine di In The Beginning, prosa che colpisce forte per la cruda narrazione dell’omicidio accentuato dalla ricercatezza della costruzione narrativa. Il ritmo della serie, nel suo prosieguo, continua a tenersi su binari decisamente distanti dalle storie precedenti, con uno sviluppo graduale, quasi noir, fatto di tasselli e ruoli che vanno man mano svelandosi e, soprattutto, con un Frank Castle tremendamente realistico, stanco e segnato dal tempo.

Vi sono le solite figure sopra le righe (Nicky Cavella, Kathryn O’Brien, Robert Bethell) ma, adesso, non più grottesche, bensì brutali e tragiche. Torna Microchip – suo ex alleato e porta in scena l’interesse della CIA per Frank Castle quale strumento per la guerra a Osama Bin Laden. La risposta di Frank a tutto questo fantomatico gioco di spionaggio è un delicatissimo quanto efficace <<vaffanculo>>, perché <<combattere per chi tiene le redini del Mondo è solo una fregatura. Significa combattere le guerre che loro hanno provocato. Uccidere i mostri che loro hanno creato>>.

Ad esaltare il tutto, il tratto di Lewis LaRosa che, con il suo stile dettagliato e realistico, si adatta perfettamente al tono oscuro e violento della storia. Un’attenzione quasi ossessiva ai dettagli quella dell’artista, che costruisce la tavola con luci ed espressioni vivide, intense (in alcune occasioni il volto di Frank sembra la maschera di Clint Eastwood, n.d.r.). Un lavoro accurato che non solo supporta la narrazione di Ennis, ma eleva la storia, rendendola ancora più immersiva e visivamente coinvolgente.

Kitchen Irish

Si torna in Irlanda (o meglio, fra gli Irlandesi) con Kitchen Irish. A differenza della precedente digressione in tema Irlanda (Downtown), qui Ennis carica la narrazione di un tono cupo e brutale, con poca luce per alleggerire il racconto e dialoghi prolissi volti ad esplorare ideali traditi e vecchi rancori, evidenziando il fallimento di queste guerre personali a produrre qualcosa di positivo. Sicuramente un racconto meno immediato e più lento, ma ugualmente arricchito da litri di sangue e carne umana oltre che da vecchie amicizie (Yorkie Mitchell). La figura del Punitore per la prima volta non è centrale, sostituita dalle dinamiche geopolitiche e storiche descritte e sviscerate con lucida e amara chiarezza da un Ennis cultore della materia. E, come sempre, al centro ci sono le vicende becere e violente dei singoli piccoli criminali, vittime del loro stesso odio (Finn Cooley, Maginty, Nesbitt). Criminali raccontati ancora come macchiette o, meglio, come maschere di una condizione umana vile, dedita alla violenza e accecata dal desiderio di ricchezza e potere.

Ai disegni è notevole il lavoro di Leandro Fernández che, pur non raggiungendo i livelli del suo predecessore, Lewis LaRosa, crea un’atmosfera visiva adeguatamente sinistra. I disegni di Fernández danno forma ai massacri e ai personaggi con un dettaglio quasi caricaturale, rendendo particolarmente memorabili figure come Finn Cooley, la cui faccia mutilata simboleggia il ciclo di violenza che consuma chi la violenza la persegue.

Mother Russia

La costruzione di un racconto più complesso, fatto di spie e geopolitica, prosegue anche in Mother Russia con la minaccia di un virus dagli effetti devastanti conteso tra Russi e Americani. Nick Fury, chiamato a dissipare sotto traccia la contesa, sceglierà Frank Castle per la missione di recupero. Ne viene fuori un racconto di spionaggio teso, duro e cupo, costruito con abilità ma vincolato ai classici cliché del genere. Spicca però nella narrazione la parentesi più umana di Frank che, in questa occasione, si ritrova a dover salvare una bambina (veicolo del virus e dell’antidoto, n.d.r.).

Le poche tavole dedicate all’incontro tra i due sono strazianti per la cruda e rude tenerezza espressa dagli sguardi, in antitesi con la brutalità dei corpi e dei testi. Un Frank Castle meno “giustiziere” e più agente speciale. Non più quindi la folle forza della natura del primo ciclo, bensì un soldato altamente addestrato e misurato (per quanto possa essere considerata “misurata” l’ennesima carneficina di nemici, n.d.r.), capace di sorprendere il lettore più per le sue sfumature che per la cieca brutalità del suo incedere. 

Un altro racconto dalla costruzione prevedibile seppure costruito, come sempre, con un ritmo serrato ed arricchito da un paio di personaggi interessanti (il Generale Nikolai Zakharov, William Rawlins). Ne viene fuori una storia dall’elevata tensione narrativa che ha nel suo finale un carico di pathos, con tanto di lieto fine, piacevolmente inaspettato.

Up is Down and Black is White

Discorso diverso per Up is Down and Black is White, che ci riporta alle classiche atmosfere urbane proseguendo le trame di In The Beginning con le mafie di New York. Ennis qui alza ancora l’asticella della violenza toccando nuove vette e infrangendo nuovi tabù, non risparmiando nulla. 

Una violenza senza freni quella messa in scena da Nick Cavella che si prende il potere e sfida Il Punitore. Quello che segue è un conflitto che non ha alcun codice, nulla di sacro: tutto è permesso. Un’escalation di violenza e morte che non risparmia nulla al lettore. Solo sul finale il tono si fa un po’ più introspettivo.

Frank, pur conservando la sua brutalità, cede al suo lato più umano, complice la presenza dell’ex agente dell’FBI Kathryn O’Brien. L’incontro tra i due, oltre che fisico, è pretesto di riflessione su quanto, per entrambi, tutta questa violenza e instabilità sia ormai la normalità.

Kathryn O’Brien: – “Guardo la mia vita, e non riesco a ricordare un momento in cui tutto questo mondo del cazzo non fosse girato dalla parte sbagliata”.

Frank Castle: – “Tutto sottosopra. Un mondo alla rovescia. Un giorno ti svegli e capisci che è così”.

The Slavers

C’è ancora tempo per imbastire un interessante thriller investigativo con Mafia Balcanica, tratta di donne e polizia corrotta (The Slavers). Thriller che diventa un viaggio allucinato nel mondo della prostituzione.

Un viaggio che colpisce più per l’orrore subito dalle donne che per la violenza inflitta ai loro carnefici da Castle – e Castle non si risparmia mai in quanto a violenza.

Qui Ennis si concentra meno sulla guerra personale di Frank Castle contro la criminalità, virando più su una denuncia sociale esplicita e usandolo come strumento per esprimere una rabbia profonda contro questa specifica realtà, immergendo il lettore in un mondo di violenza più reale e più disturbante del solito. Non c’è alcun elemento di fantasia o esagerazione supereroistica; invece, ci si immerge in una narrazione fatta di sofferenza e crudeltà. Mai come in questo caso la brutalità della vendetta di Castle è giustificata non tanto da un torto personale, quanto da una causa morale più grande: il traffico di esseri umani e la schiavitù sessuale.
È forse questa una delle migliori storie di Ennis, una sintesi perfetta dei topoi del suo (anti) eroe perfettamente inseriti nella sua necessità di guardare al mondo che ci circonda. Godendone all’interno di un arco narrativo caratterizzato anche e sopratutto da eccessi sopra le righe, l’esplicito realismo di questa analisi e di questa violenza risulta ancora più forte e impattante.

Man of Stone

Possiamo – a questo punto del percorso narrativo di Ennis su The Punisher – definire essenzialmente due macro filoni narrativi: la guerra (Kitchen Irish, Mother Russia) e la mafia organizzata (In The Beginning, Up is Down and Black is White, The Slavers)

Garth Ennis chiude idealmente le trame legate al primo filone con Man of Stone, prosecuzione naturale degli eventi di Mother Russia.

Lo fa riprendendo vecchi amici (Yorkie Mitchell, Kitchen Irish), vecchi nemici (William Rawlins, Mother Russia, Up is Down and Black is White) e vecchie “relazioni complicate” (Kathryn O’Brien, In The Beginning, Up is Down and Black is White).

La run è permeata di un mood oscuro e teso: oltre alla forte atmosfera da thriller geopolitico vi è infatti anche un opprimente senso di commiato. I personaggi si muovono e si confrontano con un pathos quasi solenne, schiacciati dall’ineluttabilità della guerra. Quindi, anche se il tono della storia si avvicina molto a quello di Mother Russia, qui abbiamo un maggiore approfondimento psicologico dei personaggi. In particolare il villain principale: il Generale Nikolai Alexandrovich Zakharov. Un uomo profondamente segnato dalla Guerra Fredda e dal crollo dell’URSS.

Dopo decenni di conflitti e intrighi, quello che ritroviamo in queste pagine è un uomo disilluso e pragmatico, capace però di conservare ancora un profondo senso di patriottismo. Ennis lo ritrae come una sorta di “residuo” dell’era sovietica che continua a combattere la sua personale guerra fredda. Una figura che rifiuta di lasciarsi alle spalle il passato e che continua a perseguire una visione geopolitica ormai anacronistica del mondo.

Un ruolo affascinante che Ennis usa per interrogarsi su cosa accade quando un uomo rimane ancorato a un passato che non esiste più, in antitesi, ad esempio, a Yorkie Mitchell che della guerra è ormai stanco. Inoltre, Zakharov – con la sua brutalità e la sua astuzia – è lo specchio delle stesse caratteristiche che definiscono Castle: entrambi sono uomini spezzati, prodotti di guerre diverse ma simili nella loro indifferenza verso la vita umana se pur mossi da “ideali” diversi, la lealtà alla patria contro quella individuale.

Una storia che si dipana con i medesimi schemi narrativi visti finora, non offrendo quindi alcun guizzo innovativo. Eppure i dialoghi rassegnati con Yorkie Mitchell e le ultime tavole con Kathryn O’Brien hanno un impatto emotivo disarmante e quasi toccante: probabilmente perché rappresentano una piccola crepa nel muro di Frank Castle che quì, come in poche altre occasioni, mostra una sua latente umanità.

Widowmaker

Se quindi Man of Stone chiude in maniera egregia le trame legate alla guerra, Widowmaker è la degna conclusione delle vicende legate al mondo criminale: lo è nel suo approfondire il concetto di vendetta, con le mogli dei mafiosi uccisi dal Punitore che si organizzano per ucciderlo.

Eppure qui lo spessore dei personaggi femminili – fortemente stereotipato – e il ritmo – stancamente ingarbugliato – non permettono alla storia di incidere fortemente, fatto salvo per il personaggio di Jenny Cesare, che incarna la summa della sofferenza che uomini squallidi e famiglie mafiose possono produrre.
Ennis qui riesce a creare una figura femminile non stereotipata e piena di sfumature, quasi una controparte inquietante al senso di giustizia brutale di Frank Castle che, anche stavolta, cede al suo lato più umano, quasi accogliendo e comprendendo la fragilità della donna.

Barracuda

Con Barracuda Ennis rinnova invece, ancora una volta, le atmosfere di The Punisher inserendo, finalmente, un antagonista affascinante e sfaccettato: lo si può quasi considerare un’evoluzione del grottesco Il Russo (Welcome Back, Frank). Ecco che, grazie a un villain larger-than-life che resiste ai colpi del Punitore, questa storia bilancia il classico tono cupo di questa serie con un umorismo nero che rispecchia la follia e l’immoralità di Barracuda.

Un compromesso narrativo fra il primo Punisher di Ennis e quello finora mostrato sulle pagine della serie MAX, producendo un nuovo stile di divertissement.

Come detto, Ennis qui sperimenta di più con il tono, creando un personaggio come Barracuda che, nonostante la brutalità, diverte con il suo carisma e il suo spietato pragmatismo. Sono, in questo caso, in secondo piano giustizia e vendetta. Qui è più centrale la pura sopravvivenza e il caos. Rimane ovviamente forte la presenza di momenti di comic relief tra le sequenze d’azione, ma queste sono meno grottesche o comunque meno slapstick.

Una fisicità dei corpi più reale e muscolosa, dunque: sempre iperbolica, certo, ma qui meno caratterizzata da un machismo al limite del parossismo. 

Le tematiche affrontate spaziano dalla corruzione politica, alle dinamiche del potere, fino alla brutalità criminale, ma tutto viene esplorato con un filtro più leggero, meno edgy e più lontano dalla solennità o dal dramma morale tipico di altre storie (The Slavers, Born) o, ancora, dai paradossali eccessi del primo ciclo (Well Come On Everybody And Let’s Get Together Tonight)

Ad accentuare il distacco e a rafforzare la godibilità del racconto vi sono i disegni di Goran Parlov. Il suo tratto non eccessivamente realistico riesce a conservare una fluidità che mantiene alto il ritmo serrato della narrazione, bilanciando le scene di estrema violenza con espressioni facciali quasi cartoonesche che danno risalto a uno humor nero che, seppur sottile, accompagna tutto il dipanarsi del racconto.

La sua linea ibrida, al contempo dettagliata e caricaturale, rende memorabile e riconoscibile il personaggio di Barracuda ed efficaci tanto le scene di azione quanto quelle di sesso.

Un lavoro capace di elevare una storia già forte di per sé, con un’estetica che riflette perfettamente la visione di Ennis, bilanciando il realismo crudo dell’autore con un’energia visiva esuberante. 

Long Cold Dark

Il personaggio di Barracuda viene ripreso in quella che è la resa dei conti con Frank Castle. In realtà, man mano che la narrazione di Ennis su The Punisher volge al termine, l’auotre comincia, pian piano, a raccontare anche l’uomo.

Ed ecco che questa storia, confrontando i due super criminali, prova a raccontare sopratutto la natura dei due uomini.
Se Barracuda, sfinito, finisce sconvolto dalla follia atavica della sua infanzia che riemerge dal profondo (le colpe dei padri, n.d.r.), Frank mostra cosa significhi davvero essere un uomo che ha perso tutto, ma che ora si trova davanti a una possibilità di redenzione.

Facendo un breve recap siamo passati quindi dal Frank Castle “forza della natura” di Welcome Back, Frank al “giustiziere cittadino” di Punisher vol 6 ,#1-37 per arrivare, attraverso questa serie MAX (In The Beginning, Up is Down and Black is White, The Slavers e Man of Stone) a scalfire l’identità dell’uomo dietro il teschio. Le piccole crepe mostrate da Ennis in questi ultimi capitoli, gli scarsi momenti di “tenerezza” (Mother Russia) e fragilità (Man of Stone) del personaggio qui si manifestano con l’unico elemento finora estraneo alla narrazione del personaggio: la paura.

Vi sono anche sfumature di paternalismo narrativo, insieme – nelle ultime pagine – a una dicotomia rivelatrice: Barracuda è reso folle dal ricordo del padre violento della sua infanzia che riaffiora nel momento più difficile, Frank è spronato ad essere un eroe dalla responsabilità di essere padre.
Il tutto esaltato dal tratto di Goran Parlov, che qui si fa più grintoso e cupo pur non sacrificando la sua consueta attenzione ai dettagli, ironica e affascinante. La composizione delle scene, con un uso sapiente delle angolazioni e del movimento nelle tavole, permettono uno sviluppo della trama fluido e coinvolgente.

I toni terrosi e le ombre accentuate contribuiscono a creare un’atmosfera opprimente. Ennis è riuscito in tutto questo tempo a costruire – piano, molto piano – anche l’identità di un uomo distrutto, riuscendo a guardare oltre l’eroe: e lo ha fatto, sorprendentemente, fra massacri, carneficine e punte di follia totalmente sopra le righe.

È un finale commovente quello di Long Cold Dark, capace di vibrare di un senso di dolore, nostalgie e assenza di pace unici, amplificati dal lavoro di Goran Parlov con il colorista Daniel Vozzo.

Il Frank Castle di Long Cold Dark è un uomo freddo e spietato, ma anche un uomo tremendamente complesso e, a suo modo, fragile. Un uomo che vede scontrarsi la sua visione del mondo, fatalista e nichilista, con la possibilità di un futuro diverso.
Una storia intensa che è anche un degno finale del lavoro di Ennis sulla serie MAX. Seguirà sì un’altra run, ma con toni e ritmi diversi. Se un finale ci deve essere, bene, è quello che vedete in questa immagine: Frank rappezzato che guida verso nuovi criminali, lasciandosi alle spalle una vita che non potrà mai avere, ma portando con sé un dolore che non lo potrà mai lasciare.

Valley Forge, Valley Forge

Ed ecco che siamo arrivati alla fine. Con Valley Forge, Valley Forge Ennis conclude il suo ciclo sulla serie MAX (seguiranno altre serie one-shot che verranno analizzate nell’ultimo articolo di questa serie, n.d.r.), salutando il personaggio dopo otto lunghi anni di gestione e quasi duemila pagine di sparatorie, omicidi e sguardi in©@**ati.

In questa run Ennis riesce allo stesso tempo, paradossalmente, ad esaltare l’onore e il valore del cameratismo militare e a criticare lo squallido sistema militarista. Se quindi, da un lato, l’onore di uomini come il Colonnello George Howe esaltano caratteristiche quali il rispetto e il senso di dovere, la combriccola di Generali Americani ( Kurt Perino, Jake Farmington, Bobby van Abst, John Archer, Paul Vertraeus, Joe Vraciu, Bradley Landers, Don Kent) – già colpevoli dell’operazione Barbarossa (Mother Russia) – costituisce un mezzo per raccontare la guerra e il mondo militare non come un mezzo per risolvere problemi, ma come un fine in sé, perpetuato per alimentare un complesso sistema economico e politico. Ennis usa questa ultima storia come critica esplicita alla risposta americana agli attentati dell’11 settembre e al complesso militare-industriale, paragonando la guerra in Afghanistan alle guerre in Vietnam e Iraq. Come Frank non potrà mai liberarsi dal suo ruolo di giustiziere, gli Stati Uniti non potranno mai liberarsi dai cicli di violenza che li affliggono e che, inusitatamente, perpetuano.

Come detto, il vero finale di questo ciclo è stato Long Cold Dark, ma Garth Ennis lascia qui Frank Castle, il suo Punitore, concludendo tutti i conti in sospeso e mostrando come il suo anti-eroe sia, ormai, intrappolato in un ciclo di violenza e vendetta senza fine.

Nel frattempo abbiamo goduto anche della possibilità di scoprire l’uomo dietro la maschera, di comprendere il suo dolore.

Un lungo e intenso ciclo che legherà, d’ora in poi, indissolubilmente, il nome di Garth Ennis a quello di Frank Castle.

…continua…

La run comprende In The Beginning #1-6, Kitchen Irish #1-6, Mother Russia #1-6, Up is Down and Black is White #1-6, The Slavers #1-6, Barracuda #1-6, Man of Stone #1-6 , Widowmaker #1-7, Long Cold Dark #1-5, Valley Forge, Valley Forge #1-6.

N.B.: seguono le cover dei soli #1 per ciascuna run.

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Pasquale Laricchia

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