Martin Mystère n.403-405
“Ho uno zio!” (cit.)

//
8 mins read

Le ineffabili esigenze narrative richiedono/impongono che l’albero genealogico di qualsivoglia personaggio letterario non sia proprio l’elogio della tranquillità. Ciò è valido – ça va sans dire – anche per il Detective dell’Impossibile, del quale nel corso degli anni abbiamo già fatto la conoscenza tanto di antenati quanto di (lontani) successori. Per ovvie ragioni, altri rami del suddetto albero non sono stati esplorati, sebbene il compianto Paolo Morales fosse riuscito all’epoca a tratteggiare con grande delicatezza un probabile “papà Martin”. 

Tutto questo almeno fino ad ora: omaggiando infatti in qualche modo un altro dei più classici twist della letteratura, Alex Dante fa diventare il “Buon Vecchio Zio Marty” davvero uno zio, mantenendosi però lontano dagli echi delle soap operas grazie ad un’intricata vicenda che ben riprende le redini della mitologia mysteriana, aggiornandone le dinamiche e ponendo al contempo i semi per sviluppi futuri. Ma procediamo per punti. 

Alex Dante è un videomaker, compositore ed esecutore di musica, creatore di giochi da tavolo e illustratore, che approccia il mondo mysteriano qualche anno fa creando numerosi comic book trailers per le uscite della serie regolare (all’epoca ancora con cadenza bimestrale) che vedevano protagonista un ubiquo e divertito Alfredo Castelli. Lo step successivo lo ha visto diventare un po’ l’Alberto Angela della serie, grazie alla curatela di volumi – dal taglio enciclopedico – di, su e con Martin Mystère, quasi ad incarnare nella realtà titoli quali “Mystère’s Mysteries of the past” o “Atlas of the Unknown” che, nell’universo creato da Castelli, portarono Martin alla ribalta e gli fecero guadagnare il soprannome che ancora oggi porta. La naturale propensione di Dante ai mysteri lo poneva quindi già da tempo in pole position nel roster dei nuovi autori (per alcuni dei quali si è recentemente letto, ad esempio, qui e qui).

Com’è noto, la citata mitologia mysteriana contempla Atlantide/Mu, Sergej Orloff e gli Uomini in Nero, per i quali si rimanda a questa esaustiva disamina. Nello stesso articolo si parla anche degli “antichi doni” (i famosi esagoni), ulteriore fondamentale pilastro nell’architettura della serie, ai quali si connette strettamente anche la cosiddetta “epopea delle spade” che Recagno sta portando avanti da ormai oltre 20 anni. Orbene, gli esagoni vennero introdotti con il primo Gigante, fornendo finalmente da un lato una sorta di “collante” per molte delle suggestioni trattate fino a quel momento (basti pensare a spade e coppe che ogni tanto erano comparse qua e là sul cammino del nostro), e suggerendo dall’altro la promessa di tracciare una sorta di “strada maestra” entro la quale far convergere una certa porzione delle storie future. 

Questo secondo aspetto purtroppo non si è mai realmente concretizzato, così non è mai stato fatto veramente il punto in merito a quanti e quali siano gli esagoni con i quali Martin e Java abbiano avuto a che fare, né quali siano (se ci sono) le relazioni tra di essi (se ne può trovare una ricostruzione plausibile, sebbene non aggiornata, qui). Questa trama così sfilacciata (all’interno della quale si pone quella altrettanto sfilacciata delle spade, con tutte le sue derive simil-deistiche), pur mantenendo un suo proprio indiscutibile fascino, si è pertanto arenata da tempo… e sì che nell’editoriale di uno dei giganti dei primi anni duemila si era dichiarato che il discorso sarebbe stato portato avanti in maniera più strutturata.

In questo scenario, Alex Dante ha puntato su una ripresa/riproposizione dei suddetti esagoni, mettendo quindi un punto fermo anche su un altro aspetto caratterizzante della serie, vale a dire i contatti con razze aliene: è infatti qui che, forse per la prima volta, viene esplicitato che i Kundingas e i Tuatha de Danann sono praticamente la stessa cosa, e che sono stati loro a portare gli esagoni (ancora una volta!) sulla Terra 180 milioni di anni fa. Non contento, ha escogitato il modo di collegare i Kundingas con l’Alterjinga, e da qui ha “resuscitato” in maniera funzionale anche l’aborigeno Kunanjun. Se già questi soli spunti messi insieme costituiscono una sfida non da poco, dato tutto il potenziale che evocano da anni e anni di storie, alzare ulteriormente l’asticella con il richiamo al Database Universale/Akaschi/Akasha, al terzo occhio e al Murchadna voleva dire dare origine ad un meccanismo largamente complesso, che una chiave di lettura “old style” non avrebbe verosimilmente potuto gestire. 

La soluzione nasce quindi dall’applicazione di un pensiero laterale, in questo caso l’introduzione di un elemento diegetico completamente nuovo capace di modificare il punto di vista della narrazione, offrendo un focus “altro” che ridia freschezza ad un soggetto altrimenti composito, quando non complesso: è questo il famoso Dominic “Doc” Robinson, nuovo e inaspettato tassello della famiglia Mystère, che (i) si pone qui come il fulcro attorno al quale si sviluppa la vicenda principale, e inoltre (ii) ha i titoli per rivestire un ruolo stabile – e quindi ricorrente – nel futuro della serie.

Quest’ultimo aspetto, prendendo a prestito alcuni concetti ontologici, significa che se in dato set di simboli (che costituiscono le “primitive” di un certo linguaggio) si introduce un nuovo simbolo, a questo si deve associare una chiara descrizione di (i) quale sia l’idea nuova che esso rappresenta, e che non poteva evidentemente essere rappresentata in maniera efficace attraverso la combinazione di simboli appartenenti al set preesistente; e (ii) quale sia la relazione funzionale tra il nuovo simbolo e ciascuno dei simboli di detto set. Come a dire: se è vero come è vero che Dominic è il nipote di Martin, come si modificherà ora la concezione stessa di vita da parte di quest’ultimo (senza contare Diana e Java) sapendo di avere un nuovo parente prossimo?  

La peculiarità di questa storia, che giustifica il doveroso preambolo, viene restituita nel suo complesso con una buona regia, propria di chi non solo conosca la materia di partenza, ma che sia anche consapevole delle proprie capacità di padroneggiarla – nonostante, quantomeno dal punto di vista tecnico, questa tripla rappresenti l’esordio assoluto di Dante alla sceneggiatura di una storia mysteriana. Per l’appunto, il respiro che una storia tripla permette, pur con l’attuale numero inferiore di tavole per episodio rispetto al passato, viene qui percepito senza quel fastidioso “effetto fisarmonica” proprio di una non adeguata gestione dello spazio a disposizione: la storia procede infatti spedita, usando come si diceva con competenza l’ampia varietà di spunti messi in campo, dalle lotte intestine tra le differenti fazioni degli Uomini in Nero al ruolo critico di Altrove, alla riproposizione non banale della figura di Martin in qualità di iniziato di Agarthi (e quindi possessore del terzo occhio), ma anche come cumbo, al pari di suo padre e – da adesso in poi – suo nipote.

Il piano materiale e quello etereo si alternano e si completano, pur entro i classici canoni dell’action e della spy-story, per una storia che deve necessariamente prendersi sul serio anche nei suoi momenti più leggeri (quei pochi che ci sono), al fine di trasmettere compiutamente il suo carattere “mitologico” nell’economia della serie.

A tale riguardo, la maturità con la quale Dante si presenta in questa sua opera prima lo mette idealmente su un piano analogo a quello di Beretta e Russo, che meglio di altri hanno saputo interpretare e aggiornare la sensibilità di Martin Mystère e del suo mondo al contesto storico, pur senza tradirne le caratteristiche fondanti; ed è proprio per questo motivo che la sensazione che si percepisce alla fine della storia non è quella dell’esordiente che ha “fatto il botto”, esaurendo al contempo la quasi totalità delle cartucce a disposizione, quanto quella di chi propone una visione di continuità nel rinnovamento, avendo in mente una strada ben precisa da tracciare e lungo la quale muoversi. Ciò traspare, come detto, nella capacità di gestire Dominic quale vero protagonista della storia, riuscendo così a trattare con buona capacità due aspetti di fondamentale importanza: da un lato Mark Mystère, che da figura di riferimento e tutta d’un pezzo per Martin, acquisisce alcuni caratteri propri della caducità umana (ci si consenta la parafrasi, senza per questo giustificare o criticare alcun tipo di scelta o comportamento).

La compresenza in lui di due “poli” emozionali (l’amore per la sua famiglia contro la passione passeggera e colpevole) viene resa dall’autore con poche e semplici parole, e forse proprio per questo più veritiere di qualsivoglia filosofia sulla complessità della natura umana, così come Catullo sentenziò con l’immortale “[…] nescio. Sed sentio fieri, et excrucior”. Dall’altro lato Martin Mystère, maggiormente capace ormai di comprendere le pur imperscrutabili ragioni del cuore, e quindi di vedere – e, di nuovo, comprendere – più prosaicamente suo padre come “semplice” essere umano; ma anche un Martin che diventa “padre” a sua volta di suo nipote, secondo le misteriose vie degli aborigeni, e quindi in questo senso destinato a guidarlo in un peculiare percorso di maturazione e iniziazione alla vita.

Una sorta quindi di generale “giro di volta” per la serie, tanto più efficace quanto più inaspettato (nel senso di non manifestamente sbandierato come è accaduto per altri eventi passati legati al personaggio e/o all’universo gravitante attorno a lui). Il registro narrativo si mantiene come detto abbastanza coerente, e di certo colpisce piacevolmente la mancanza di “spiegoni”, pur nella necessità di inserire nella trama alcuni punti di recap, dato il numero e la tipologia degli argomenti trattati.

Se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, forse è un po’ troppo didascalico il tono con il quale viene sviluppato il modo di fare dei due supergeni messi in campo da Altrove e dagli Uomini in Nero (ma sarà davvero così?), quando snocciolano le loro percentuali di previsione degli eventi

Il registro grafico, opera del duo Giordano/Cuffari, si mantiene anch’esso pressoché coerente lungo tutta la narrazione, optando fondamentalmente per un tratto netto e pulito, non incline ai virtuosismi, nemmeno in termini di gestione della tavola. Ciò ben si sposa con la descrizione di ambienti e scenari (sebbene le sequenze nell’Alterjinga e nel Database universale paghino più di un omaggio alle sequenze finali di Interstellar), e restituisce un buon risultato anche per buona parte dei personaggi, con punte più alte quando si parla di Java, Dominic e Diana, e leggermente più basse invece proprio per quanto riguarda Martin. Non sfugge infine la figura della misteriosa “matricola”, modellata sulle fattezze di Timothée Chalamet.

Tirando le somme, siamo in presenza di una storia di buona qualità, che rimette in moto una serie di situazioni da troppo tempo languenti e disegna uno scenario davvero nuovo e inaspettato per il Detective dell’Impossibile. “Conosci te stesso”, dice più volte lo zio al nipote durante questa complessa vicenda: in questo senso, Dante dimostra di conoscere Martin, e la buona riuscita della sua storia non è solo frutto di una fortunata coincidenza di eventi.

L’autore ha infine voluto giocare con l’alter ego di Castelli anche quale epigono di tutta una schiatta di indagatori del mistero: non sarà infatti sfuggito ai lettori più smaliziati che il nipote di Martin si fa chiamare “Doc” Robinson mentre suo padre, ossia il fratellastro di Martin, si chiamava Allan, in omaggio al più famoso Allan Quatermain.

Tra l’altro, proprio in relazione a quest’ultimo è lecito porsi più di un interrogativo: da quanto emerge nella storia, la macchina su cui viaggiava Allan fu spinta fuori strada da un uomo in nero, ma a ben vedere non si parla mai di cadaveri ritrovati in carcasse di autoveicoli. E ci si perdoni l’accostamento ardito con una sequenza del Gigante n.9, nella quale il capo del Direttivo degli Uomini in Nero si riferiva a Martin con un tono quasi affettuoso…

Martin Mystère
n.403 “Di padre in figlio”
n.404 “L’uomo che voleva troppo”
n.405 “Prigionieri dell’Alterjinga”
di Alex Dante, Giulio Giordano e Salvatore Cuffari
16x21cm, 96 pagine, b/n, 4,90€ cad.
Sergio Bonelli editore, settembre – novembre 2023

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

Articolo precedente

Short Review
Settimana #2 2024

Prossimo Articolo

Kalya n.15 “Assalto al varco”

Ultimi Articoli Blog