C’è bisogno di una seconda lettura – come quasi sempre, del resto – per condurre un efficace approfondimento su questa storia doppia di Martin Mystère in missione accademica in terra tedesca.
La prima volta si assapora una certa qual freschezza nei toni e nei modi con i quali Davide Barzi (autore dei testi) caratterizza Martin e lo fa andare incontro, con certo qual piglio, verso uno dei più intriganti personaggi della mitologia greca, mentre i disegni di Italo Mattone appaiono troppo frettolosi e poco caratterizzati.
La seconda volta la prospettiva quasi si ribalta: è vero, c’è il Martin logorroico, e c’è il paziente Java che si sorbisce per l’ennesima volta la ripetizione del suo intervento all’Università di Lipsia, centrato sull’altera figura della margravia Uta di Ballenstedt (vissuta nell’XI secolo) e verosimilmente rappresentata in una famosissima statua all’interno della cattedrale di Naumburg. C’è la componente “mysteriosa”, e qui va dato atto all’autore di essere riuscito ad elaborare uno spunto originale che chiama in causa appunto la mitologia, il “solito” nazismo, la particolare sensibilità di Java e altro ancora: la “summa mysteriana” è quindi anche in questa vicenda rispettata. Ciononostante, saltano ad un certo punto all’occhio alcuni soft spots che abbassano la qualità del giudizio e fanno sospirare, per aver letto ancora una volta il “poco-più-di-un-compitino”, sebbene – lo ripetiamo – sia evidente come l’intenzione di partenza fosse tutt’altra.
Tanto per fare alcuni esempi: diversi passaggi narrativi sanno troppo di “how convenient” per far incedere la trama dallo snodo in cui si trovava, come nel caso del tal personaggio che manco a farlo apposta sembra l’enciclopedia vivente di Naumburg, o del tal altro personaggio che, di volta in volta, dichiara di avere conoscenze proprio nei campi di indagine richiesti in quel momento. In aggiunta, la storia nella seconda parte perde alquanto di coesione: da un lato alcuni passaggi vengono ad essere non efficacemente correlati tra di loro, provocando così un po’ di smarrimento nel lettore; dall’altro, emerge la sensazione che l’intera vicenda sia stata pensata per una foliazione minore, con conseguente necessità di “stiracchiare” la materia di partenza – se così non fosse, ciò comunque sarebbe una prova a carico dell’ancora non compiuta maturità dell’autore, che ancora “non ha nella penna” un plot effettivo da circa 150/160 tavole. Non aiuta infine l’imperfetta gestione della scena madre all’orto botanico, condita dal solito spiegone non richiesto (ma che permette di riempire pagine) e sciorinata a Martin da parte del simil–Orfeo monstrum di turno, mentre tutti gli altri personaggi in scena rimangono semplicemente lì in attesa della fine, senza neanche avere popcorn da sgranocchiare.
Per quanto invece riguarda il comparto grafico, invece, questo agisce con una sorta di effetto a lento rilascio al termine del quale, però, il lettore si sente piacevolmente preso e compreso dalla storia. Va detto in primis che Mattone fa un lavoro eccezionale sugli sguardi del “trio Medusa”, che esprimono una vasta gamma di sensazioni tutte molto intense – dall’avvenenza, all’attrazione, al dolore, alla furia. I personaggi in scena sono sempre pochi, ma tale mise en place paradossalmente rafforza la sensazione di un dinamismo energico, un equilibrio dinamico che ravviva ogni inquadratura e che proprio per questo motivo non abbisogna di eccessivi impreziosimenti. La natura neanderthaliana di Java appare sempre sul punto di esplodere, e nel confronto finale ciò effettivamente avviene, sebbene ciò sia giocato troppo à la Marvel Cinematic Universe – nello specifico, Java quasi come un Hulk che è capace di compiere salti abnormi e di concluderli con il tipico “atterraggio da supereroe”, nonché di lottare a tu per tu senza occhiali con una gorgone. Infine, accanto ad una dottoressa Roth che ha le fattezze di Diane Kruger (anche se l’autore acquisisce progressivamente confidenza con il modello di partenza, per cui il lettore se ne accorge solo a vicenda già avanzata) c’è un Martin non sempre perfettamente a fuoco (ma perché sembra che periodicamente Martin abbia subìto una rinoplastica?).
In conclusione, una vicenda che alterna pollici versi e pollici retti, ma che è in definitiva capace di catturare l’attenzione del lettore in termini sia di trama che di disegni. Come detto, sul versante dei testi la struttura a volte scricchiola anche più del dovuto, mentre su quello grafico la forza primigenia delle tavole sorvola tutte le eventuali défaillances e fa addirittura aumentare il senso di gradimento generale, cosa tutt’altro che scontata.
Solo una domanda rimane: cosa c’entra in tutto questo il riferimento a Biancaneve che entrambi i titoli dei due episodi si preoccupano di rimarcare? Al di là dell’approfondimento (sempre gradito, comunque) a fine albo, la storia si muove su tutt’altri binari.
Sinossi
Doppia storia di Martin Mystère in missione accademica in terra tedesca per far luce sulla scomparsa della statua di Uta di Ballenstedt e sulla scia di morti forse ad essa collegati.
Martin Mystère n.397 “Specchio, Specchio delle mie brame!” e Martin Mystère n.398 “La regina cattiva”
di Davide Barzi e Italo Mattone
16x21cm, 96 pagine, b/n, 4,90€
Sergio Bonelli editore, marzo e aprile 2023