Sarebbe relativamente semplice sparare ad alzo zero su questo “mystero italiano” ambientato nuovamente in quel di Torino, d’altronde di motivi se ne possono ascrivere ben più d’uno: tralasciando ormai il trito e ritrito “innesco” – un perfetto sconosciuto approccia Martin (stavolta al telefono) ventilandogli una non meglio specificata storiella sul sovrannaturale, e dicendosi sicuro che il BVZM si fionderà in aeroporto per raggiungerlo, come poi puntualmente accade – il vero problema sta nella calibrazione delle varie parti di cui la vicenda si compone: fino a pagina 60 o giù di lì (per una storia che si conclude poco dopo la pagina 80) Martin e un sedicente astrologo di nome Galileo fanno a gara di erudizione a chi ce l’ha più lungo sul tema della tradizione dello spiritismo nella penisola italiana. Mirko Perniola, non nuovo alle atmosfere mysteriane, infila (va detto, con buona capacità acrobatica) una serie di momenti attraverso i quali il suddetto scontro dialettico si consuma, ed è evidente il lavoro che deve esserci stato dietro alle parti di raccordo per mantenere vivo il tono del discorso.
Pagina dopo pagina, peró, la curiosità/perplessità del lettore comprensibilmente cresce, anche e soprattutto perché ci si trova di fronte ad una storia che si esaurisce in un unico numero. La risposta non tarda ad arrivare e, come si paventa, il tutto si risolve in una (anche qui) infilata di intuizioni brillanti che permettono a Martin, Java e Galileo di: arrivare alla famosa X sulla mappa del tesoro, avere l’ennesima esperienza ultraterrena, e sfuggire rocambolescamente all’allagamento di una galleria nel sottosuolo del capoluogo piemontese.
Un finale sì compresso ricorda molto da vicino l’epilogo della “saga dell’armageddon”, culminata all’inizio dell’anno 2000, che vedeva Martin e Orloff alle prese con l’incombente accensione di una “macchina-di-fine-di-mondo” nascosta in tempi remotissimi nel sottosuolo dell’isola greca di Lefkada: anche in quel caso, una serie di opportune reminiscenze e di – ma và? – intuizioni brillanti alla bisogna consentirono al dinamico duo di evitare l’apocalisse per un soffio. In aggiunta, l’autore riesce anche a inserire l’ormai archetipica “ragazza con la pistola” che svolge un ruolo critico per la risoluzione della faccenda. L’uso del particolare aggettivo non è casuale, dato che lo stesso meccanismo era già stato usato dal sodale Giovanni Eccher nella doppia in salsa Winchester pubblicata solo pochi mesi prima.
Come per la vicenda del re cigno, e comunque in ossequio all’abbiccì del personaggio, anche qui il soggetto presenta un congruo fardello di spunti; la compressione di cui sopra ne sminuisce però in più di un caso la portata. È il caso in particolare del famoso “limbo” in cui le anime appena trapassate soggiornano prima del definitivo salto verso l’aldilà (un po’ come accade ai protagonisti di Lost nel finale dell’ultima stagione). L’esistenza di questa dimensione venne scoperta dal prof. Aldridge (“zio” di Diana Lombard quando questa conobbe l’allora giovane Martin) nei numeri 164-165 e il tema fu efficacemente ripreso da Castelli e Morales nell’Almanacco 2002 – dove la presenza di Mr. Jinx contribuì ad incasinare non poco le cose, lasciando però aperta la porta ad un seguito che forse non leggeremo mai.
Nel nostro caso, Martin torna ad interfacciarsi con questo differente piano di realtà (attraverso un artificio musicale che pure rimanda alla menzionata saga), ma appunto in una maniera così veloce da lasciare forte la sensazione di un buono spunto palesemente sprecato. Lo stesso dicasi, sebbene in misura minore, per la stessa Torino: a Martin torna alla mente la “lacrima di Toth” nascosta da qualche parte sotto la città, ma oltre questo nessuna eventuale connessione viene approfondita, quasi sia una cosa normale che la “Torino di sotto” pulluli di portali dimensionali, pietre venute dallo spazio, o altre amenità del genere.
Fortunatamente, a impreziosire il tutto c’è la ruvida eleganza del tratto di Italo Mattone, che qui conferma la sua già ottima precedente prova, e quasi accompagna la compressione dei testi con un più forte accento sui chiaroscuri, dando a volte l’impressione di una tavola costruita con una logica da cinemascope – vedasi a tale proposito la sequenza del tram. Il fatto poi che la costruzione delle tavole rimanga in genere entro gli stilemi classici esalta se possibile ancora di più l’insito nervoso dinamismo del suo tratto.
Sparare allora ad alzo zero? La tentazione è forte soprattutto per la collocazione editoriale di questa storia e di quella precedente: laddove l’una è troppo allungata, l’altra è troppo ristretta; è quasi come se la foliazione del Martin Mystère bimestrale avesse cambiato le carte in tavola in maniera così radicale, che ancora oggi in molti casi si faccia difficoltà a regolarsi nuovamente sui “tradizionali” spazi (tra l’altro diminuiti pur a parità di prezzo: è l’inflazione, signora mia!).
Martin Mystère
n.411 “La terza grotta alchemica”
di Mirko Perniola e Italo Mattone
16x21cm, 96 pagine, b/n, 4,90€
Sergio Bonelli Editore, Maggio 2024