Aristotele Skotos: i prodromi del villain

//
5 mins read

Guardare indietro per guardare avanti: il cammino verso le tre terne dedicate al primo nemico di Nathan Never

Un’analisi coerente della recente “terna di triple” con la quale Bepi Vigna ha passato in rassegna le origini di Aristotele Skotos, creando un vero e proprio mosaico che abbraccia circa un ventennio di storia neveriana, richiede di prendere in considerazione in maniera preventiva diversi elementi che caratterizzano la testata.

Il tempo

Dal punto di vista diegetico, Nathan uccideva Skotos con un catartico colpo di pistola in piena fronte, quasi un anticlimax nello showdown tra i due in quel della cittadella spaziale fatta costruire dall’onnipotente predicatore, e destinata invece a diventare una sorta di mausoleo negli anni a venire. Ad assistere, volutamente impotente, Neos, primo tra i tecnodroidi, figlio di Selena e July Frayn, necessario anello di congiunzione all’epoca tra gli apocalittici futuri disegnati da Antonio Serra nei primi giganti, e la cosmogonia immaginata da Vietti – unico reale contraltare alla banda dei sardi nella storia della testata, per durata temporale e impronta narrativa. Quella storia si concludeva con l’autoesilio di Neos, lasciando così in sospeso una (nonostante tutto fondamentale) sottotrama del Nathan che fu.
Dal punto di vista tecnico, la storia editoriale di Nathan vede una prima importante cesura con il Nathan Never n. 50 “La biblioteca di Babele”, che introdusse in chiaro una qualche datazione, facendo il paio con il coevo Almanacco “Storie di un futuro passato” che gettava luce sul catastrofico passato della Terra. Nessun altro esplicito riferimento temporale era stato più adottato. In questa saga, invece, sin dalla prima tavola gli anni trascorsi vengono dichiarati tutti, sfidando apertamente una delle principali leggi non scritte del fumetto, ossia quell’aleatorietà temporale entro la quale i personaggi si rifugiano per sfuggire all’invecchiamento. È pur vero che la storia del medium è costellata di opere in cui la pretesa di realismo è stata bellamente ignorata per i più svariati motivi, ma per i personaggi seriali il trascorrere del tempo è uno stigma per quanto possibile da esorcizzare, in maniera più o meno lecita. Rimanendo in casa Bonelli, i due casi emblematici sono, da un lato, Martin Mystère e l’escamotage delle misteriose “pillole”, lascito dello zio Paul; dall’altro, Nick Raider che da agente diventa tenente, si incanutisce leggermente e affronta invece il succedersi delle primavere a testa alta e muso duro.

Di Direzioni e Direttori

Dopo la saga incentrata su Omega, praticamente il testamento letterario di Antonio Serra sul personaggio, per circa quattro anni le gesta di Nathan e soci sono state quasi esclusivamente appannaggio di nomi quali Eccher, Gualdoni, Perniola e Rigamonti (in doveroso ordine alfabetico), con qualche sporadica sortita di Vigna. È solo intorno al 2019 che i sardi superstiti sono tornati alla ribalta, imprimendo una grossa sferzata all’ondivago corso degli eventi e restituendo una trama orizzontale dall’ampio respiro, in sintonia con quanto presentato sin dagli esordi – la prima incursione degli uomini ombra risale al Nathan Never n.7 “La zona proibita”.
Viviamo però in un’epoca di forte “marvellizzazione”, dove i mega eventi si susseguono a catena: per Nathan, ciò si traduce in una sempre maggiore preponderanza di aspetti di fantapolitica in stretta continuity, quasi a voler chiudere i conti con le sottotrame in lista d’attesa, o rinvigorirle alla luce di nuovi criteri e nuovi parametri. “Continuità nel rinnovamento”, diceva Darver alla fine della cosiddetta “saga Alfa” che per prima andò a sconquassare le fondamenta del modo neveriano; forse proprio per imparare dagli errori del passato (la mai ben spiegata transizione da Reiser a Darver, nonostante le pezze successive), il gioco degli equilibri di potere a capo dell’Agenzia Alfa viene come azzerato in quel di Tergeste, e si arriva al tanto atteso quanto temuto momento in cui Nathan prende una volta per tutte le redini dell’Alfa – anche grazie al beneplacito dei “superiori occulti” su cui altri fiumi di inchiostro sarebbero da versare.

Completismi, revisionismi e origin stories

Ogni eroe si definisce (anche) grazie alla sua nemesi. Ogni eroe non può prescindere da una origin story, che aiuta il pubblico a meglio identificarsi e compenetrarsi con il personaggio. Nella corrente epoca di inclusività, anche il villain richiede di essere, se non proprio accettato, almeno compreso. L’equazione “cattivo = buono che ha subìto un trauma” può però sempre funzionare? La dualità yin/yang è un fattore imprescindibile? È ancora lecito pensare che c’è anche chi commette il male senza altro fine, se non il male stesso?
Skotos ci è sempre stato presentato come un avversario di spessore, che incarnava perfettamente l’ipocrita dicotomia “predicatore moralista/affarista e assassino senza scrupoli”, in fin dei conti in linea con tanta altra letteratura del genere. La complessità dei suoi piani si è disvelata lentamente, e ha assunto proporzioni sempre più mastodontiche, tanto quanto il dispiego di tecnologie e la possanza delle sue dimore – basti pensare alla sua “cittadella” in mezzo ai ghiacci, senza far menzione della sua bladerunneriana magione nella Città Est, dotata tra l’altro di un “ascensore per l’inferno” che la collegava con i più infimi recessi della megalopoli. Timide esplorazioni dei suoi pensieri sono state anche tentate, ma senza mai giungere ad una vera e propria decostruzione psicologica, per il semplice fatto che questa particolare derivazione narrativa non era ancora salita alla ribalta (quantomeno in Italia, e quantomeno per un certo tipo di fumetto mainstream).
Skotos/personaggio figlio quindi del suo tempo, e in quanto tale l’esigenza si sarà verosimilmente manifestata agli autori di riproporne una lettura “aggiornata”, andando a scavare nelle (a inventare delle) pieghe del suo passato per aumentarne post-mortem lo spessore, e continuare a usarlo come macguffin per garantire a Nathan e soci una simil-minaccia tale da poter continuare l’opera di cesellatura della squadra degli eroi. Tra l’altro, in questa stessa ottica sembra stare definendosi anche la figura di Mr. Alfa, all’epoca carismatica eminenza grigia intenta a contemplare la Terra (e anche un po’ di galassia intorno) come suo personale laboratorio di esperimenti, ed oggi inquadrata in maniera più prosaica all’interno di un complesso “grande gioco” di equilibri di potere.

Agenzia… con quali agenti?

Nonostante i tentativi fatti nel corso del tempo – vedi la pubblicazione del balenottero “Agenzia Alfa” già nel lontano 1997 – la tanto decantata coralità della serie si è sempre ridotta al trio Nathan/Legs/Sigmund, con buona pace degli altri agenti avventizi che hanno assunto incarichi operativi per periodi più o meno lunghi (un nome su tutti: Al Goodman). Se pure Andy Havilland ha avuto una sua dolorosa evoluzione (anche questa lasciata in sospeso da qualche parte), ben altri sono gli esempi di agenti Alfa lasciati a macerare nel loro ruolo fino a perdere di consistenza: è il caso di Link, Branko e May. Tornando alla triade capitolina, solo per Sigmund c’era stato finora modo di esplorare la complessità del suo operato e delle sue “reali” motivazioni, legate a doppio filo con quelle di Edward Reiser. Il suo “lato in ombra” è emerso quando il vaso di Pandora è stato aperto, e in un momento successivo si è anche gettato uno sguardo a quando (con un sapiente gioco di ret-con) quell’artefatto lo si era metaforicamente costruito. L’ambiguità del polacco ha quindi raggiunto il picco con la citata saga di Omega, ed è forse stato l’elemento più interessante in uno scenario altrimenti troppo inverosimile (e, anche qui, le cui ripercussioni sono rimaste in sospeso da qualche altra parte). Analogamente a quanto espresso prima, la regola della dualità esprime il suo fascino sia quando è esercitata sul villain, sia quando viene calata nella squadra degli eroi, i quali manifestano così la loro caduca umanità, e si consegnano al pubblico vulnerabili, forse esecrabili, di certo nudi. Ebbene, un percorso del genere per Nathan non è praticamente mai stato tentato: nonostante il suo personaggio, quale eponimo della testata, sia il fulcro dell’approccio intimistico progettato dai sardi, anche qui non ci si è mai spinti troppo oltre lo smarmellamento del didascalismo. Se su un Nathan “ferito” si è costruita una mitologia che va avanti alla fin fine da più di trent’anni, allora anche per lui un “lato oscuro” può esistere? E in questo caso, il seme dell’ombra in quale dei terreni della parabola evangelica avrà attecchito?

Sullo stesso argomento:
Ricordando Skotos, pt. I
Ricordando Skotos, pt. II
Ricordando Skotos, pt. III

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

Articolo precedente

Crossover. Supereroi in torre

Prossimo Articolo

I consigli di uBC Fumetti | 18 agosto 23

Ultimi Articoli Blog

Quiz: Ken Parker

Quanto sei preparato sul personaggio di Ken Parker e sul mondo creato da Giancarlo Berardi e…