Qual è la giusta frequenza del revisionismo?
Intrigo Internazionale. Nathan Never n. 343 – 351
È passato molto tempo da quando ci si è occupati a queste coordinate delle vicende legate all’Agente Speciale Alfa: le saghe di ampio (e anche di più) respiro, quasi tutte ad opera di Vietti, andavano ancora per la maggiore; gli sconvolgimenti dell’assetto dell’universo neveriano erano quasi all’ordine del giorno; l’Agenzia Alfa si ergeva come baluardo della legge e dell’ordine entro e oltre i confini planetari, e le vicende stesse dell’Agenzia interessavano un arco temporale di diversi secoli; in aggiunta, Solomon Darver conduceva una carriera politica in ascesa che manco Spadolini nei tempi migliori.
Come eravamo
Dopo l’epilogo della cosiddetta “Guerra dei mondi”, però, la velocità si è fatta più contenuta, per quanto la portata degli eventi da raccontare fosse ancora importante, dato che – appunto – c’era mezzo sistema solare le cui sorti andavano risollevate, e nel quale il fuoco di nuove problematiche già covava sotto la cenere ancora fumante sollevata dai tripodi marziani.
E così Nathan si è reinventato cambiando (per un po’) abbigliamento e automobile; la non più cristallina condotta di Sigmund (assieme alla sua ritrovata balbuzie) ha colorato il personaggio di nuove venature; defezioni (e successivi ritorni) e nuovi acquisti non sono mancati tra le fila dell’Alfa, e casi di levatura più “ordinaria”, per così dire, si sono succeduti alle precedenti apoteosi.
L’universo di Nathan si è comunque sempre distinto per una ricerca, pur con i suoi alti e i suoi bassi, di una continuità nell’evoluzione del personaggio che rispecchiasse a sua volta l’evoluzione del contesto circostante, in special modo dal punto di vista dell’assetto (geo)politico: basti menzionare il deserto radioattivo del “Territorio”, o gli equilibri delicatissimi tra le varie popolazioni del Margine, zona quest’ultima martoriata da un plurisecolare inquinamento, e sulla cui bonifica il padre di Nathan ha giocato a suo tempo un ruolo assolutamente non secondario.
È per questo motivo che i nove numeri lungo cui si è dipanato l’ “intrigo internazionale” a firma di Medda e Vigna si allineano perfettamente con lo spartito del personaggio. Ciò che però stona è questa nuova esigenza di rispondere ad una moderna regola narrativa non scritta secondo la quale il personaggio principale e tutto ciò che lo circonda devono sottostare ad una periodica forma di dichiarato revisionismo.
Come già prima accennato, Nathan e il suo mondo non hanno mai avuto un carattere “statico”: basti pensare alle vicende legate alla Fratellanza Ombra, che hanno fatto capolino già entro i primi dieci numeri della serie regolare, dando origine ad un filone di fondamentale importanza legato alla storia futura (o almeno ad una delle possibili storie future) di Nathan. E giusto per dovere di cronaca andrebbero citati Martin Mystère (con Atlantide e Altrove); le origini dell’Agenzia Alfa con Sigmund e Edward Reiser, e le loro connivenze con Mr. Alfa; l’alba dei Tecnodroidi e il destino di Aristotele Skotos, e via andare.
In tutti questi casi, le esperienze subite hanno apportato dei cambiamenti non da poco nel generale tessuto narrativo, eppure non si era mai sentita più di tanto l’esigenza di sbandierare il tutto con frasi ad effetto sulla falsariga de “…e nulla più sarà come prima!”.
Intrigo Internazionale
Tornando all’intrigo internazionale, l’intera vicenda si sforza di mantenere un equilibrio tra due registri diversi: da un lato la spy-story da blockbuster hollywoodiano, e dall’altro l’hard boiled di chandleriana memoria. Detta così, sembrerebbe indice di una mancanza di coerenza di fondo nell’impianto dell’intera vicenda (la quale di certo non è esente da difetti) ma, come nelle nostre vite i fili delle vicende, private o professionali che siano, a volte richiedono molto tempo prima di annodarsi e acquistare senso, così nella narrazione del mondo neveriano, vicende apparentemente slegate tra di loro possono in realtà celare in nuce la chiave per interpretare eventi ancora di là da venire.
I due papà superstiti di Nathan provano entrambi a trattare queste due facce della stessa medaglia. Da un lato emerge tuttavia chiaramente un maggiore (in proporzione) intervento di Medda sull’aspetto legato alla spy story, nonché su quello legato all’approfondimento dell’attuale assetto geopolitico nello scacchiere del Margine (e non solo di questo); dall’altro lato, Vigna indulge maggiormente sui toni noir, senza però rinunciare a immergersi per l’ennesima volta nel mare magnum dei ricordi e delle esperienze di Nathan per tracciarne l’ennesimo bilancio, ma soprattutto senza rinunciare a mettere in campo quello che è stato uno dei suoi più fondamentali contributi al complicato arazzo degli equilibri di potere in scena sul palcoscenico interplanetario.
Il ritmo procede in maniera altalenante: i due numeri di apertura scorrono con velocità e tensione e lasciano immaginare un crescendo grandioso – grazie anche a toni meno politically correct rispetto al passato, e alla scrittura di Medda che affonda i denti dalle parti del tarantinismo in termini di ritmo e brillantezza – per poi concludersi con una cesura dall’effetto volutamente esasperato.
Ad accentuare tale enfasi ci pensano i disegni di Francesco Mortarino nel primo numero e quelli di Simona Denna nel secondo. Il forte realismo del tratto, la delicata attenzione al mecha design e soprattutto la violenta forza espressiva del loro tratto sottile, ben corroborano la sceneggiatura sia nelle fasi action sia in quelle più drammatiche.
Poi il totale cambio di tono: il Nathan Never “private eye” deve fondamentalmente contare sulle sue sole forze per risolvere dei casi, senza avere le spalle coperte come un tempo. Nel frattempo, fili sparsi iniziano debolmente ad annodarsi fino a rimetterlo sulle tracce di una pista da tempo smarrita, per poi arrivare ad uno showdown finale molto lontano dalla Terra.
Vigna fatica un po’ di più a mantenere una sua identità di stile, inseguendo in più di un caso quei toni da action brillante che, a differenza del suo compare, non sono mai stati davvero una delle frecce al suo arco, ritrovando tuttavia se stesso nel finale.
Qui mostra maggiore libertà e forza, fondamentali per condurre in porto l’intero racconto, puntando sulle già citate peculiarità della sua scrittura e del suo apporto all’economia dei villain che popolano la galassia dell’agente speciale.
Anche il comparto grafico, in questa seconda parte, tenta di allinearsi al mood della storia, esaltando tutte le peculiarità di Tropical City. Se Gino Vercelli (sebbene non al top della forma) valorizza la notte, puntando con forza sulle ombre e su poche e confuse espressioni violente, Emanuele Boccanfuso prima e Luca Maresca dopo ne sottolineano invece l’ambiguità ed il sudore con una matita all’apparenza più pulita ma che non manca di aggravare il tratto nei momenti clou.
Più introspettivo il lavoro di Ivan Fiorelli. Affascinante e perfetto nel sottolineare ogni aspetto della vicenda, ogni sguardo, ogni paesaggio. La cura per le espressioni, per le luci e per gli ambienti gli permettono di valorizzare ogni singola tavola, ogni singola emozione.
Il capitolo finale, affidato a Massimiliano Bergamo, è sopra le righe per composizione e forza. Esagera con i retini, con i chiaro scuro e con lo spazio, riuscendo a regalare forza e movimento ad ogni inquadratura. Anche nelle vignette più banali non manca un dinamismo eccezionale o la ricerca del bello quando, seppur raramente, la storia lo permetta.
Più in generale, invece, il lavoro più introspettivo poggia sulle spalle di Sergio Giardo. A lui il compito di scuotere e far riflettere Nathan Never. Il suo registro, marcato ed intenso, ben si sposa infatti sia con la sceneggiatura di Medda sia con quella di Vigna. Che siano vignette senza dialoghi o passaggi dettagliati da lunghi spiegoni l’autore torinese è sempre in grado di valorizzare in toto il ritmo delle emozioni dei personaggi.
Tirando le somme
Se volessimo leggere questa saga (come piace tanto definirla ai curatori della testata nei vari redazionali) come prodromo per qualcosa di nuovo che avverrà nel futuro, allora la chiusura compressa in un unico albo può anche avere ragion d’essere; contrariamente, i nove numeri sembrano abbondare di fill-in, e la pista stessa che vede Nathan da un lato, e l’Alfa dall’altro, alla ricerca del terrorista Yasser Zaghal, assume in più di un’occasione le connotazioni di un MacGuffin.
In nove mesi di avventure sono tanti i punti in cui al lettore è richiesta una considerevole suspension of disbilief per coprire i bruschi movimenti di trama. Lo stesso effetto anamorfico su cui pure ci si è voluti soffermare, rischia di rimanere annacquato dal lento incedere della trama orizzontale, e spesso e volentieri il lettore rimane più colpito dalla qualità della sceneggiatura del singolo numero, che non dalla capacità di mantenere comunque vivo il legame tra i singoli numeri e di conseguenza l’interesse per la trama orizzontale.
In aggiunta, la citata cesura alla fine del secondo albo, per quanto voglia essere presentata come “punto di non ritorno”, rivela in realtà la conclusione telefonatissima della saga stessa.
Un Nathan realmente fuori dalle fila dell’Alfa per un periodo di tempo più o meno lungo, dovrebbe essere presentato e trattato al pari di quanto fatto a suo tempo con Legs, richiedendo anzi in questo caso agli autori un coraggio non da poco nel portare avanti una testata, in realtà priva del suo protagonista eponimo.
È questo però il vero giro di vite che nessuno penserebbe mai di mettere in scena.
Il meglio che si può fare è quindi quello di esplorare e colonizzare nuovi scenari, sparpagliando i comprimari senza realmente allontanarli – una cosa del genere a dire il vero è stata fatta, con Asteroide Argo – e giocare a mettersi alla prova con un parterre di personaggi risicato ma mai privato del tutto di qualcuno di essi: una formula sostanzialmente gattopardesca, realizzata fortunatamente in maniera quantomeno stiracchiata, anche a scapito di una coerenza interna che però, dopo quasi trent’anni, mostra inevitabilmente delle crepe.
È però anche questo il Nathan che conosciamo, che continua a mettersi seriamente in gioco, a fare revisionismo, sia che lo dichiari sia che non lo faccia, sempre entro i limiti di una comfort zone, seppur ragionevolmente ampia. I cosiddetti autori “storici” continuano a (cercare di) rigenerare il personaggio, attorniandosi certo di altri sceneggiatori la cui influenza si sta alla lunga facendo sentire, tuttavia riservandosi di mantenere la guida del vascello, dopo le esperienze passate che lo hanno spinto troppo oltre e con troppa frequenza.