Dylan Dog: legami di sangue nel castello della paura

Una storia doppia "100% Sclavi" sulle orme della dama in nero

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In questa “seconda panoramica” dei fumetti evergreen, cioè di quegli albi pubblicati nelle collane di collaterali che mi sono piaciuti in modo particolare, non poteva naturalmente mancare Dylan Dog. Ho già spiegato in questo articolo i motivi del mio innamoramento per il personaggio di Tiziano Sclavi, che aveva suscitato la mia curiosità di ventenne grazie a un fumetto decisamente fuori dai consueti schemi di altri personaggi bonelliani – che mi piacevano, beninteso, ma che avevo abbandonato da qualche anno. Scegliere una storia particolarmente rappresentativa del primo periodo dylaniato e che rispettasse i “paletti” posti da questa rubrica è stato semplice: parafrasando un famoso detto, “la prima storia doppia non si scorda mai”. Seguitemi dunque, sulle tracce della famigerata dama in nero…


Dylan Dog viene ingaggiato dalla bella Petulia, una degli eredi – insieme ad altri cugini – del detestato Lord Blendings, trovato morto nella sua camera chiusa dall’interno. Ma è stato davvero ucciso dal fantasma della dama in nero? Oppure il colpevole è qualcun altro che si aggira nel cadente castello di Blendings, allo scopo di eliminare gli eredi per vendetta… o per aggiudicarsi la favolosa (e inaspettata) eredità? Dylan cercherà di scoprirlo…
Una sarabanda infernale di colpi di scena e citazioni per la prima storia doppia apparsa nella collana mensile: Sclavi giganteggia per quasi duecento pagine, tessendo abilmente le fila di una trama che non concede un attimo di respiro, limitando per una volta le tirate esistenziali che avevano contraddistinto le prime avventure dell’Indagatore dell’Incubo.

 

Quando bevo, vedo tante di quelle cose… a volte, quando ho proprio bevuto tanto, vedo perfino una società diversa, dove addirittura non esistono i poveracci come me e la piccola Amabel… e dove tutti sono felici.

(Il maggiordomo Desmond)

Gennaio 1988. Appare in edicola l’albo n. 16 della collana mensile di Dylan Dog, il personaggio di Tiziano Sclavi che – partito in sordina – sta iniziando ad avere un successo travolgente e inaspettato grazie a una miscela di citazioni, tirate filosofiche ed esistenziali, storie in cui l’orrore serve (quasi sempre) a parlare d’altro. Ma stavolta la storia è suddivisa in due parti, quindi l’autore può dispiegare appieno un’atmosfera più “classicamente” horror, proponendo una ricchissima serie di topoi: il castello decadente in cui si aggira (?) un fantasma; la maledizione su un antico assassino e su tutti i suoi eredi; l’assegnazione dell’eredità (gigantesca) a chi resterà vivo dopo una settimana; diversi delitti in camere (apparentemente) chiuse; l’uccisione, uno dopo l’altro, di (quasi) tutti i protagonisti; apparizioni e scomparse inspiegabili…

A questi solidi elementi – che già basterebbero a imbastire un’ottima trama dell’orrore – Sclavi aggiunge quelle caratteristiche che hanno decretato il successo dei primi albi di Dylan: dialoghi scoppiettanti al servizio di una galleria di personaggi perfettamente delineata fin dalle prime pagine; tormentoni di vario tipo (a iniziare dagli schiaffi che l’odiosa Mildred rifila alla cameriera Amabel); il controfinale che rovescia l’esito della vicenda, come accaduto in quasi tutti gli albi precedenti; la maestria con cui l’autore maschera le sue mosse, cosicché il lettore non si ferma a pensare “Accipicchia, se c’è un assassino in giro, perché i protagonisti non stanno tutti insieme invece di farsi sorprendere e uccidere costantemente da soli?” – è lo stesso Dylan, ma solo oltre la metà del secondo albo, a rimarcarlo…
Certo, come dicevo all’inizio la trama più tradizionalmente horror limita al minimo le tirate esistenziali che tanto mi (ci) avevano affascinato nei primi albi e di cui avevo parlato in questo articolo su un altro capolavoro del trio Sclavi / Montanari / Grassani, La zona del crepuscolo: ma, con un colpo di genio, il buon Tiz le sostituisce con un’inarrestabile sequenza di esilaranti (anche se talvolta amarissimi: si veda la citazione qui sopra) soliloqui proletari del maggiordomo Desmond, un “nemico dei padroni” che avrebbe fatto sembrare il vecchio Mario Capanna un po’ troppo spostato a destra 🙂

E poi c’è l’elemento femminile: se, nei primi albi, le “clienti” di Dylan – o comunque quasi tutte le protagoniste femminili – finivano per andarci a letto (e non avete idea di quanto fosse una novità epocale, per i fumetti Bonelli, quasi quarant’anni fa…), qui ci sono ben tre donne a subire il suo fascino, anche se va detto che per l’erede americana si tratta soltanto di un veloce bacio. Sotto questo aspetto, è ancora un Dylan – e uno Sclavi – genuinamente ruspante, che non si pone problemi di political correctness nei confronti del genere femminile: come diceva il filosofo Giulio Giorello nei suoi saggi sull’Indagatore dell’Incubo, “si tratta di un caleidoscopio femminile che è apparentemente un omaggio al fascino da seduttore del Nostro, ma in realtà è un altro modo di presentare la sua debolezza”.

Certo, il lettore più scafato avrebbe probabilmente – già all’epoca – intuito chi fossero i “colpevoli” dei delitti attribuiti alla dama in nero e quale fosse la spiegazione realistica dietro gli eventi apparentemente soprannaturali: Sclavi semina qua e là una serie di piccoli ma ben precisi indizi (soprattutto sul ruolo di Groucho, ma mi perdonerete se continuo a non parlare nel dettaglio della trama, a favore di chi non avesse mai letto questa storia), però il lettore che si fosse lasciato trasportare – come successe a me – dall’atmosfera e dai continui colpi di scena si sarebbe entusiasmato tout court, senza soffermarsi troppo nel tentativo di scoprire la verità dietro l’apparenza e godendosi la storia.

Montanari & Grassani sfornano una prova eccellente, incarnando appieno il concetto di “disegno popolare” che – a quel tempo – non era (ancora) diventato un elemento negativo nella valutazione di un fumetto. Sebbene sulle stesse pagine di Dylan Dog si fossero già visti disegni, chiamiamoli così, più “d’autore”, quali ad esempio quelli di Stano nel primissimo albo, il contributo dell’affiatata coppia è perfetto per questa storia: personaggi perfettamente caratterizzati in ogni loro dettaglio, estrema pulizia del segno in modo che il lettore non debba soffermarsi su particolari poco chiari, una resa omogenea su tutte e duecento le pagine… e, soprattutto, la sensazione opprimente e sempre costante che i due autori riescono a conferire alla location, quel castello di Blendings che diventa quasi protagonista a sua volta. Un risultato davvero ottimo.

Questa storia è apparsa negli albi 16 e 17 della collana mensile di Dylan Dog (gennaio / febbraio 1988). La versione che consiglio fa parte del collaterale intitolato Dylan Dog – Viaggio nell’incubo pubblicato dalla Gazzetta dello Sport tra il 2019 e il 2020, una collana in 80 volumi dedicata al personaggio di Sclavi in cui ogni albo propone due (o più) storie abbinate tra loro da una tematica comune oppure, come in questo caso, riproponendo una storia apparsa originariamente in due albi. Ogni volume è introdotto da un editoriale di Maurizio Colombo, che analizza il “tema comune” presentato (in questo caso, i castelli del terrore) e dalla rubrica Oltre l’incubo di Fabio Licari. La copertina inedita è disegnata da Bruno Brindisi. Il titolo scelto per la pubblicazione nel collaterale, francamente, non mi sembra azzeccatissimo: avrei preferito qualcos’altro di meno generico al posto di Legami di sangue, anche se la presenza in copertina della dama in nero – già apparsa sulle copertine dei due albi mensili – non lasciava alcun dubbio sulla storia ristampata. Una versione a colori e in gran formato di tale storia è inoltre disponibile nel n. 6 di un altro collaterale, la Collezione Storica A Colori di Dylan Dog (Repubblica), in cui è contenuto anche il n. 18 della collana mensile (Cagliostro!) a completare la foliazione dell’albo.

LEGAMI DI SANGUE
Testi: Tiziano Sclavi / Disegni: Giuseppe Montanari & Ernesto Grassani
In: Dylan Dog – Viaggio nell’incubo
Numero 45, 26 maggio 2020
Editoriali di Maurizio Colombo e Fabio Licari
Brossurato, bianco e nero, 208 pagine

 

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