La casa editrice Mimesis ha pubblicato a inizio anno, nella sua collana Il caffè dei filosofi, il libro intitolato La filosofia di Dylan Dog e altri incubi: si tratta di una raccolta postuma di saggi scritti dal filosofo Giulio Giorello, morto nel 2020 per complicanze dovute al Covid-19.
La figura di Giorello costituisce un interessante unicum nel panorama fumettistico italiano: se molti intellettuali si erano già occupati di fumetti riconoscendone la dignità e la valenza artistica e letteraria (come ricordato da Pier Luigi Gaspa nell’interessante prefazione a questo volume), quasi sempre si trattava – a partire da Umberto Eco – di semiologi, saggisti o comunque “critici”: ma mai di filosofi come Giorello, allievo di Ludovico Geymonat e poi suo successore, per quasi quarant’anni, alla cattedra di Filosofia della scienza dell’Università degli Studi di Milano. Un filosofo autore di molti libri e saggi sui più svariati argomenti, ma al contempo un lettore appassionato – tra gli altri – di Topolino e Tex, presi in esame in due suoi libri precedenti e “di cui attendeva l’uscita in edicola con trepidazione […] quasi fanciullesca, per poi discuterne tranquillamente con altri lettori suoi amici“.
Che Giorello fosse un profondo conoscitore del medium me n’ero accorto guardando il film Noi, Zagor di Riccardo Jacopino, di cui ho parlato in questo articolo: la sua descrizione del mondo di Zagor, dei sentimenti che suscita nei suoi lettori e, soprattutto, dell’importanza di Cico come vero e proprio coprotagonista (e non solo spalla comica dell’eroe) lo rendeva davvero uno di noi.
Nelle strisce disegnate, Giulio Giorello vedeva le enormi possibilità di strumento di comunicazione e una straordinaria capacità di trasmettere conoscenza, soprattutto se proposta in maniera ellittica e non – “Guai!”, diceva – didattica o pedante, che si trattasse di vicende avventurose oppure umoristiche. E approfittava di questa caratteristica per impiegarli a pieno titolo e con cognizione di causa nelle sue lezioni universitarie.
(Pier Luigi Gaspa)
La filosofia di Dylan Dog costituisce il secondo – doveroso – omaggio postumo riservato a Giorello in questa collana di Mimesis: rispetto al precedente La filosofia di Tex e altri saggi. Dal fumetto alla scienza, pubblicato pochi mesi dopo la scomparsa del filosofo, il materiale trattato è più omogeneo, tra introduzioni a volumi dedicati a Dylan (e al suo autore, Tiziano Sclavi) e articoli pubblicati dal Corriere della Sera, seguìti da alcuni saggi dedicati ad altri argomenti ma in cui viene comunque citato Dylan Dog. Tutta un’altra cosa, quindi, rispetto al volume dedicato a Tex in cui, purtroppo, le pagine dedicate al ranger erano circa una trentina, mentre gli “altri saggi” – dedicati ad argomenti quali la filosofia della scienza e il liberalismo economico-politico – occupavano molto più spazio. Questa scelta si era resa dolorosamente necessaria, in quanto il rapido peggioramento delle condizioni di Giorello gli avevano impedito di continuare altri approfondimenti da lui ipotizzati sul ranger bonelliano; il volume restava comunque interessante, grazie soprattutto alla postfazione di Gianfranco Manfredi in cui l’autore bonelliano raccontava vari aneddoti risalenti agli anni Novanta, con Giorello che si distingueva dagli altri intellettuali che – in quel periodo di boom dylandoghiano – analizzavano i fumetti in modo talvolta superficiale.
Tornando alla filosofia di Dylan (e di Sclavi), nei vari saggi del volume Giorello evidenzia la critica sociale – rivolta alla società contemporanea – che caratterizza numerosi albi: una società tecnologica, burocratica, industrializzata, in cui i valori predominanti sembrano il denaro e il successo e in cui, naturalmente, un idealista problematico e tormentato come il protagonista non può integrarsi. Giorello sottolinea inoltre l’importanza dell'(auto)ironia che trasuda dalle pagine di Dylan Dog grazie anche all’apporto fondamentale delle battute di Groucho, un personaggio che finisce per mitigare il nichilismo del suo “datore di lavoro”.
Ampio spazio viene poi dedicato alle figure femminili presenti in ogni albo e che costituiscono una vera e propria novità nell’universo bonelliano, fin lì piuttosto “misogino”: basti pensare alle rar(issim)e parentesi rosa in Tex o Zagor ma anche a come sono raffigurate le eterne, pedanti fidanzatine del Comandante Mark e del Piccolo Ranger. Si tratta di “un caleidoscopio femminile che è apparentemente un omaggio al fascino da seduttore del Nostro, ma in realtà è un altro modo di presentare la sua debolezza“.
Un’altra caratteristica messa in risalto da Giorello è l’inquietudine con cui Dylan affronta medicina e biologia: le conquiste della scienza vengono viste con scetticismo, specialmente quando viene descritta la vicenda di Johnny Freak (n° 81) che – sordomuto dalla nascita – è vittima di un crudelissimo accanimento terapeutico. Ma se il finale di quell’albo può apparire edificante, con Johnny che decide di donare il suo cuore al fratello malvagio Dougal, il sequel (Il cuore di Johnny, n° 127) “sembra, invece, dimostrare l’inutilità dell’accanirsi nel Bene“.
Vorrei segnalare in modo particolare l’ultimo saggio della raccolta dedicato a Dylan, che riproduce l’articolo significativamente intitolato “Ritorna Moby Dick, mostro della genetica proiettato nel Settecento” pubblicato sul Corriere della Sera nel 2001. Giorello analizza lo Speciale n° 15, scritto da Tito Faraci, in cui – come già avvenuto in altri albi scritti da Sclavi – lo spunto letterario offre l’occasione per descrivere drammi e paure del giorno d’oggi: in questo caso, la difficoltà di controllare gli esperimenti scientifici che portano il frutto di una manipolazione genetica a ribellarsi ai suoi creatori. Memorabile il modo in cui il filosofo completava questo articolo, che i curatori hanno scelto appunto come ultimo contributo completamente dylandoghiano della raccolta: “Il tempo è un cappio, cioè qualcosa che si chiude in sé stesso, e la memoria una trappola. Credi di immaginarti il futuro: non stai che ripensando il passato“. Curioso come, quasi a mo’ di sberleffo, nella pagina successiva – prima di iniziare la sezione contenente gli “altri incubi” – venga riprodotta una vignetta tratta dal n° 13, Vivono tra noi, in cui una delle infinite figure femminili di cui parlavamo prima liquida il protagonista con uno sferzante “Oh, dai, piantala, Dylan! Risparmiami la tua filosofia del cavolo!” Una battuta che, probabilmente, lo stesso Giorello avrebbe posto come epitaffio alle sue analisi fumettistico-filosofiche, con la stessa autoironia esibita da Dylan Dog.
In conclusione, un volume snello e leggero (piacevolmente leggibile anche da chi non conosce a menadito il personaggio di Sclavi) e un giusto tributo ad un intellettuale unico nel suo genere, purtroppo scomparso troppo presto.
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