Il Dylan Dog n.456, Colui che divora le ombre di Alessandro Bilotta e Corrado Roi, ha generato pareri decisamente contrastanti in redazione, con una recensione dai toni decisamente delusi di Pasquale. Questa invece è la recensione dallo spirito e dalla visione più positivi di Vincenzo.
Scrivere oggi un fumetto “popolare” che rispetti l’umore correttissimo di questa nostra magagnata epoca e, al contempo, racconti una storia intellettualmente onesta, emotivamente vigorosa e letterariamente di elevata fattura non è impresa facile. Ci vuole un autore vero, che conosca il suo mestiere e sappia con precisione cosa e come vuole scrivere, e cosa e come intende comunicare del proprio mondo interiore. Ci vuole un autore che voglia e sappia farsi ascoltare dai lettori. Un autore come Alessandro Bilotta, di quella categoria di scrittori autentici, ormai pressoché estinta presso quella che ne fu un tempo la dimora naturale: la Sergio Bonelli Editore (ormai li si conta d’avanzo sulle dita di una mano di Topolino).
Abbiamo imparato da Dylan, ormai quasi quarant’anni fa, che i mostri siamo noi; o forse, più correttamente, che i mostri abitano dentro di noi e che se permettiamo loro di farlo divorano la nostra anima un pezzo dopo l’altro fino a lasciarcene privi, a lasciare dei gusci vuoti che – la natura aborre il vuoto – accolgono qualunque cosa venga a sostituire l’anima. In quasi quarant’anni di vita editoriale, Dylan Dog ha affrontato forse ormai centinaia di questi gusci vuoti farciti solo delle loro paure, ansie, rancori, dolori. Rabbia. Tutti quei sentimenti – quei mostri – che divorano l’anima e trasformano alcuni in relitti che attraversano la vita inconsapevoli e sconfitti, e altri in predatori o vessatori dei propri simili.
Per quasi quarant’anni, più istintivamente che con piena consapevolezza, Dylan Dog ha rappresentato una continuativa seduta terapeutica per almeno un paio di generazioni di lettori – ovviamente per quelli tra loro che volessero ascoltare davvero. Caratteristica che è stata e talvolta è ancora dei suoi racconti: i migliori, certo, che sono comunque decine e decine nonostante l’ “impegno” editoriale dell’ultimo ventennio, teso in apparenza a divorare l’anima del personaggio e sostituirla con esercizi di stile, banale sperimentalismo fuori tempo massimo, orrori e mostri di maniera e derivativi; o semplicemente storielle prive di ispirazione e caratteristiche realmente perturbanti.
Con nonchalance, quasi distrattamente, Bilotta riassume questo intero ordine di senso del personaggio e della serie in una singola tavola, una battuta a pagina 44 del giovanissimo protagonista dell’albo, Timothy, che nella semplicità delle parole di un bambino dice che “(Dylan) libera le persone dalle cose malvagie che le perseguitano”. E Dylan libererà anche Timothy dalle cose malvagie che lo perseguitano, o più esattamente, come un bravo terapeuta, lo aiuterà a liberarsene da solo.
Lo farà ribaltando la prospettiva quarantennale di noi tutti come mostri, e dei nostri mostri interiori che ci divorano dall’interno mutandoci in involucri apatici o, peggio, saturati da quelle emozioni e quei sentimenti che ci rendono loro schiavi. Come un bravo terapeuta, Dylan farà focalizzare Timothy sui propri mostri, sul proprio dolore, il senso di abbandono, il risentimento; lo accompagnerà a canalizzarli in positivo per contrastare il suo progressivo ritiro dalla vita declinato in remissività sociale, ipersensibilità, rifugio in un mondo-guscio di fantasie più o meno morbose. Anche ribaltando la prospettiva finiamo forse per essere ancora noi i mostri, sebbene in positivo: l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, “colui che divora le ombre” ricapitola Dylan Dog.
I nostri mostri, dunque, se affrontati e non rimossi, possono essere ricondotti alle dimensioni di gestibili problemi quotidiani. Esattamente come Timothy farà anche con i teppistelli che lo bullizzano a scuola e che per questo lo picchiano duramente: la terapia non è mai indolore, anzi; e tuttavia, se realmente si trovano le risorse per affrontare i propri “bulli” interiori, la paura e il dolore – seppure non scompaiono mai – trovano una collocazione positiva nel funzionamento di ogni individuo, e la rabbia scema di intensità liberando energie per la vita (così come i bulletti reali si fanno espellere da scuola e al loro posto si incontrano degli amici reali). Il nostro mostro può finire per divorare le ombre che impediscono che la nostra vita si colmi di luce.
Colui che divora le ombre è una storia dunque semplice, solo apparentemente complessa, ma è una storia tutt’altro che semplice da scrivere nel modo in cui Bilotta l’ha realizzata. Gli argomenti trattati, in particolare quello del bullismo, ma non meno quello dei bambini e ragazzi praticamente abbandonati a sé stessi da genitori emotivamente e materialmente latitanti, così come quello di un sempre più profondo e radicato disagio spirituale dei giovani, si prestano in genere al più corrivo moralismo e alla più professorale pedanteria nozionistica in ossequio a quella “correttezza politica” che sta portando al declino della riflessione critica (chi ha detto Julia?).
Alessandro Bilotta rispetta, in fondo, la forma richiesta da questo sentire dei tempi, questo Zeitgeist malato, e racconta una storia formalmente “corretta”, ma lo fa a modo suo: tralasciando moralismi e omelie e andando invece a fondo dei problemi reali della nostra psicologia, del rapporto che costruiamo con l’immagine di noi stessi e con l’immagine di noi che vediamo riflessa negli altri. Lo fa lasciando che emerga alla nostra coscienza l’apporto fondamentale dei sentimenti negativi, della rabbia, del dolore, nella costruzione della nostra personalità; e di come vadano affrontati affinché non ci distruggano. Lo fa, infine, con una asciuttezza di scrittura oggi dimenticata dalla gran parte degli autori bonelliani.
Corrado Roi è maestro di un horror epidermico, istintuale, suggestivo e costruito per accumulo di impressioni; conseguentemente è stato perfetto nelle sequenze più propriamente oniriche e fantastiche della storia, nella visualizzazione degli incubi di Timothy e di Dylan. Funziona meno con una dimensione più concreta dell’orrore come è quella del tema portante del racconto bilottiano: è però un disegnatore tanto navigato e abile da cavarsela anche con la necessità di dare corpo a una narrazione sostanzialmente lontana dalle sue corde artistiche.
Per fortuna che Alessandro c’è: perché anche nel deserto possa spuntare ogni tanto un fiore.
Sinossi
Timothy ha nove anni e sta vivendo un incubo sia a scuola che a casa. A scuola è costantemente bersaglio dei bulli, ma a casa la situazione è ancora più terrificante: un mostro si nasconde nell’armadio della sua cameretta. Il mostro lo terrorizza ma nessuno vuole credergli, così ingaggia Dylan Dog, l’Indagatore dell’Incubo, perché lo aiuti e lo protegga. Nonostante la sua iniziale riluttanza, Dylan è costretto a prendere in carico il caso quando il mostro inizia a colpire i compagni di classe di Timothy.
Dylan Dog n. 456 “Colui che divora le ombre”
di Alessandro Bilotta e Corrado Roi
16x21cm, 96 pagine, b/n, 4,90€
Sergio Bonelli editore, settembre 2024
Se te lo sei perso: un altro punto di vista su questo albo nella recensione di Pasquale