E se Paperino diventa Thor? Abbàsteno

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Or non è guari che, non paghi di aver scatenato la guerra civile interdimensionale dei Paperoni (Zio Paperone e il decino dell’infinito su Topolino 3579), l’associazione Marvel&Disney ci ha ammannito la trasformazione di Paperino in Wolverine (su Topolino 3585): ed eccoli ora a propinarci questo versatile Donald Duck che si trasforma in Thor e viene ad “arricchire” questa sequenza di cocktails tra i personaggi di due dei più importanti mondi del fumettoverso (su Topolino 3590).

In comune con le due storie che l’hanno preceduta, questa mantiene il carattere della completa inutilità. La mescolanza di universi narrativi tra loro lontanissimi – per stile, immaginario, costruzione dei personaggi, finalità narrative e numerosi altri aspetti – dà vita a creazioni inevitabilmente blande, spesso del tutto insipide: la necessità di contemperare, infatti, impone necessariamente di smussare qualunque sfaccettatura narrativa possa mettere in contrasto i due universi ed esclude la possibilità di lavorare in profondità su quegli universi e sui personaggi; e così, inevitabilmente, non possono che sortirne dei racconti inutili, che nulla aggiungono ai personaggi coinvolti, e anzi frequentemente sottraggono loro qualcosa, perché già in partenza debbono fare a meno di caratteristiche anche fondamentali dei personaggi stessi. Marvel e Disney, in particolare, sono così tanto distanti che queste festose commistioni risultano perfino fastidiose alla lettura, perché la loro inconciliabilità salta all’occhio del lettore in ogni pagina, in ogni vignetta in cui i due mondi si toccano.

Diversamente dal precedente team-up con Wolverine e dal Decino dell’infinito, la storia scritta da Riccardo Secchi a partire da un soggetto di Steve Behling e disegnata da Lorenzo Pastrovicchio mostra un tentativo, anche riuscito e convincente, di far comunque funzionare narrativamente un oggetto pleonastico per sua natura. Senza strafare (in senso marvelliano), Secchi muove il protagonista Paperino in un racconto lineare, molto semplice, che però ha il pregio di limitare al minimo gli ammiccamenti verso un pubblico nerd, e di rendere omaggio ad alcuni dei temi fondanti dell’Universo Papero. Troviamo dunque i paperini alle prese con un viaggio in Norvegia sulle orme dei vikinghi, alla ricerca di loro reperti archeologici: un incidente, dovuto alla sua goffaggine da contratto, condurrà accidentalmente Paperino a scoprire il gravissimo pericolo di un’invasione del nostro pianeta da parte di malvagi anatroni di pietra provenienti da Saturno e, successivamente, a imbattersi per caso nel bastone che, nell’universo marvelliano, una volta percosso si trasforma in Mjolnir (il martello del Dio del Tuono) e trasforma l’individuo che l’ha percosso nel Dio del Tuono in persona: Thor.
La prosecuzione e conclusione del racconto sono ovvie e ovviamente intuibili, ma condotte appunto con garbo, senza eccessi. D’altronde, se il lavoro più specificamente testuale di Secchi sacrifica in qualche modo il coté marvelliano del racconto e lo mantiene per quanto possibile autenticamente disneyano, la parte grafica interviene a riequilibrare l’impianto narrativo. Quel che la sceneggiatura perde inevitabilmente dell’epicità del Thor marvelliano è infatti recuperato nei disegni di Lorenzo Pastrovicchio, che – ancora una volta senza strafare – riesce a rendere credibili, maestose ed emozionalmente colorite le scene di trasformazione e più genuinamente supereroistiche e al contempo non snaturare la più generale ambientazione disneyana.

Nel film Borotalco di Carlo Verdone, tra le numerose scene ancora oggi scolpite nella memoria degli spettatori, ve n’è una in cui il protagonista Sergio Benvenuti (interpretato dallo stesso Verdone) chiede l’intermediazione di un bizzarro, greve sacerdote, forse cappellano del carcere, per poter parlare con “Manuel Fantoni”, rinchiuso in prigione a Regina Coeli. Il sacerdote riferisce del successo della sua missione e quando Sergio fa per andarsene gli dice, con marcatissima cadenza romanesca: “‘Ndo vai? Nun me dai gnente?” Quando il malcapitato Sergio gli mostra un biglietto da cinquantamila lire e dice di non avere altro, sottintendendo che ovviamente la somma è spropositata rispetto all’incarico svolto, il patibolare prete gli fa di rimando: “Abbàsteno“.

Ecco, anche queste tre storie “abbàsteno“.

In effetti ne bastavano anche di meno; idealmente bastava proprio non farne. Tre è a ogni modo, è noto, numero perfetto: sarebbe ottimale fermarsi qui, tanto più che questo terzo capitolo dell’incontro tra Marvel e Disney è perfino dignitoso. Ma a quanto pare non sarà così, e già incombe la minaccia di Minnie tramutata in Capitan Marvel.

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