Gag a gogò

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Quando ho lavorato in Francia come assistente di lingua italiana, nell’anno scolastico 1989-1990, uno dei miei passatempi preferiti nelle ore di “buco” tra una lezione e l’altra era quello di saccheggiare le biblioteche delle scuole in cui insegnavo, che erano fornitissime di BD. Certo, dovevo un po’ adattarmi perché – naturalmente – il target di riferimento era un pubblico di bambini o, al massimo, preadolescenti: e quindi leggevo un sacco di albi di Asterix e Iznogoud… ma anche di Gaston Lagaffe, un personaggio popolarissimo Oltralpe che invece, in Italia, era praticamente sconosciuto.
Gaston era stato creato dal fumettista André Franquin, a fine anni Cinquanta, come “spalla” nelle avventure di Spirou e Fantasio: è infatti una sorta di fattorino tuttofare – anche se sarebbe meglio l’attributo nullafacente – proprio nella redazione del popolare giornale Spirou. Dotato di fervida fantasia, nonché inventore di macchinari improbabili, Gaston è soprattutto un incorreggibile pasticcione che crea, invariabilmente, giganteschi disastri.

È stato con questo personaggio che ho fatto la conoscenza di un particolare formato, quello delle tavole umoristiche autoconclusive (poi raccolte nei consueti cartonati da 48 pagine circa): ogni “exploit” di Gaston, infatti, occupava esattamente una tavola con il culmine – a sorpresa, per quanto spesso prevedibile – nell’ultima vignetta. Un ampliamento, insomma, della struttura tipica delle strisce umoristiche autoconclusive, di cui riprende tutti gli stilemi compresi i “tormentoni” che vengono riproposti ciclicamente, pur mantenendo conclusa ogni striscia in sé: basti pensare alla reiterazione di situazioni tipiche, quali ad esempio la vigliaccheria del fiero alleaten Galeazzo Musolesi nelle Sturmtruppen di Bonvi o le disavventure sportive di Charlie Brown nei Peanuts di Schultz. L’unica differenza è appunto nella lunghezza della gag, che nella striscia è giocoforza limitata: la tavola autoconclusiva permette invece uno sviluppo meno stringato e una maggiore caratterizzazione dei personaggi in gioco.

Ben presto scoprii che questo formato era molto diffuso nel mondo delle BD: una delle altre serie di cui feci conoscenza all’epoca era Les femmes en blanc, di Cauvin & Bercovici, in cui viene allegramente messo alla berlina tutto ciò che succede all’interno di un ospedale (le “femmes en blanc” sono le infermiere) tramite una scoppiettante e infinita sequenza di gag pubblicate dai primi anni Ottanta e che continuano ancora ai nostri giorni. E questa caratteristica si applicava anche a numerosi altri “àmbiti lavorativi”: negli anni successivi, i miei ormai ex-alunni hanno continuato a segnalarmi altre serie umoristiche monotematiche in cui le tavole autoconclusive riguardavano, volta dopo volta, le disavventure dei meccanici di un’officina in Garage Isidore, le imprese dei “celerini” preposti all’ordine pubblico in CRS = Détresse, le acrobazie eroticomiche dei personaggi di Innocence, il mondo del rugby con i giocatori di Les rugbymen (poi approdato anche in un collaterale del Corriere dello Sport) e naturalmente, in mio “onore”, le peripezie degli insegnanti vessati dai loro alunni in Les Profs… e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Durante i miei viaggi in Francia e le visite alla FNAC di cui ho parlato anche in altri articoli di questa rubrica, mi concentravo in genere su ben altre BD – XIII, Jeremiah, Largo Winch ecc. – ma nelle occasioni in cui avevo un po’ più di tempo a disposizione non mi dispiaceva sfogliare anche alcuni di questi albi, che proprio per la loro natura non richiedevano necessariamente di essere letti con attenzione dall’inizio alla fine: ho così scoperto un’altra deliziosa serie composta da tavole autoconclusive, Les blondes di Gaby & Dzach, che ha debuttato nel 2005. Come si potrà facilmente immaginare dal titolo, la categoria presa di mira è quella delle bionde, raffigurate in situazioni dalle quali affiora invariabilmente, fin dalle copertine, lo stereotipo della loro stupidità: ai giorni nostri tutto ciò potrebbe suonare un po’ offensivo (oltre che, appunto, stereotipato), ma non nascondo che – ogni tanto – un po’ di sana political incorrectness mi diverte.

La BD a tavole autoconclusive di maggior successo degli ultimi trent’anni, tuttavia, è senz’altro Titeuf: creato nel 1993 dallo svizzero Zep (pseudonimo di Philippe Chappuis) per Glénat, il pestifero ragazzino dall’enorme ciuffo biondo è diventato rapidamente un vero e proprio fenomeno di costume, grazie anche alla sua trasposizione a cartoni animati – quattro stagioni per centinaia di episodi.
Il successo di Titeuf è legato ad una speciale alchimia, magistralmente dosata dal suo autore: la caricaturizzazione estrema dei disegni, il particolare linguaggio usato dai personaggi (farcito di parole in argot e/o storpiate), l’impertinenza sfacciata e al contempo ingenua del protagonista ma soprattutto le tematiche affrontate, in particolare tutto ciò che riguarda l'(in)educazione sessuale vista con gli occhi di un ragazzino di dieci anni e dei suoi compagni di scuola e di giochi.
Titeuf si pone continuamente domande sul mondo che gli sta intorno, proprio come faceva Mafalda, ma se i due hanno in comune l’inadeguatezza degli adulti – genitori e insegnanti in primis – che spesso non sanno fornire risposte ai protagonisti, ben diversi sono gli intenti dei due autori: come spiegava Luca Raffaelli nella sua presentazione del volume 55 della Serie Oro di Repubblica, laddove Quino ha voluto contrapporre [Mafalda] al mondo adulto per rivelarne la cattiva coscienza, Titeuf invece è un normalissimo ragazzino, più intento a risolvere i già esorbitanti problemi della sua età che a criticare genitori, società e sistema capitalistico.
Per chi (ancora) non conoscesse Titeuf, il volume di Repubblica è un’ottima base di partenza per entrare nel mondo delle tavole umoristiche autoconclusive: non se ne pentirà.

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Marco Gremignai

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