La drammatica escalation della situazione in Ucraina mi ha spinto a rileggere un fumetto che Hermann pubblicò nel 1995, Sarajevo Tango (ambientato durante la guerra nella ex Jugoslavia), che gli valse l’attribuzione del Premio Oesterheld nel 1996. Un fumetto di denuncia, come altri che propongono temi forti legati all’attualità o ad avvenimenti storici reali, ma che – quando lo lessi per la prima volta – mi aveva lasciato piuttosto perplesso. L’ho riletto ponendomi la stessa domanda che, a suo tempo, mi posi per fumetti come Maus o Persepolis: erano bei fumetti perché denunciavano la follia del nazismo e l’avvento della rivoluzione islamica… oppure erano bei fumetti tout court? E Sarajevo Tango era un bel fumetto “solo” perché denunciava l’assurdità di una guerra che si protrasse per anni, in mezzo all’Europa, nell’indifferenza del resto del mondo?
Ho riletto Sarajevo Tango nella versione Euracomix, che ristampò a inizio 1997 la versione pubblicata a puntate sui numeri da 7 a 11 della XXII annata di Lanciostory, nel 1996: l’Eura Editoriale riservò a Hermann l’uscita numero 100 della collana tuttocolore, impreziosita dalla dettagliata prefazione di Philippe Vandooren – all’epoca direttore editoriale della collana Aire Libre per le edizioni Dupuis – e da un accorato sfogo dello stesso Hermann.
Come spiegato in quelle pagine introduttive, l’autore voleva manifestare la sua indignazione per i tentativi frustrati di aiutare Ervin Rustemagic, fondatore dell’agenzia di fumetti Strip Art Features, che rimase bloccato – insieme alla sua famiglia – per un anno e mezzo nella città assediata, riuscendo a comunicare con Hermann e altri fumettisti in modo avventuroso, principalmente via fax. “Hermann contattò molte persone importanti“, scrive Vandooren. “Costoro promisero, dimenticarono, chiusero le orecchie mentre Hermann inviava senza successo in tutto il mondo urgenti richieste di intervento per aiutare Ervin Rustemagic e la sua famiglia. Queste richieste spesso non ebbero neppure il cortese riscontro di una risposta, fosse pure negativa.”
Ho riletto Sarajevo Tango… e la mia perplessità è rimasta. La storia raccontata – il recupero, da parte di un mercenario, di una bambina nella città assediata – è poco più di un pretesto per scatenare l’accusa di Hermann, diretta in maniera durissima contro le Nazioni Unite (e, più in generale, contro l’Occidente) che si limitano a blandi indici accusatori contro le violenze e la pulizia etnica attuate dai Serbi. E questa accusa viene esplicitata rappresentando parodisticamente il Palazzo di Vetro sotto forma di gigantesco formaggio con i buchi, oppure trasfigurando le facce di una “tipica” famiglia occidentale davanti alla TV.
Dopo l’avventurosa fuga della famiglia Rustemagic, che riuscì a salvarsi in Slovenia, l’indignazione di Hermann si trasformò in rabbia: così l’autore decise di lanciare il suo j’accuse con Sarajevo Tango. Intento lodevole ma attuato non raccontando la storia dei Rustemagic, bensì quella del mercenario Zvonko Duprez che “va a Sarajevo solo per denaro, non per qualche nobile sentimento”. Purtroppo, come dicevo prima, il recupero della bambina è soltanto il pretesto per caricaturizzare “i pezzi grossi delle Nazioni Unite con aspra ironia”… e poco più.
Cosa manca? Presto detto: qualsiasi forma di empatia. L’empatia che ti fa invece immedesimare con il padre di Art Spiegelman in Maus o con Mariane Satrapi in Persepolis, l’empatia che ti fa seguire con grande interesse le loro (dis)avventure, l’empatia che ti appassiona immediatamente. L’empatia che, forse, Hermann avrebbe suscitato raccontando la storia di Rustemagic… e difatti mi ha sempre convinto di più Fax da Sarajevo, un altro graphic novel in cui Joe Kubert raccontò nel 1996 l’epopea di Rustemagic, proprio attraverso quei fax inviati in maniera sempre più rocambolesca e drammatica, ricevuti anche da Hermann.
Sarajevo Tango resta invece (sempre secondo il mio modesto parere, naturalmente) un pamphlet a tema, con tutti i pregi e i difetti di questo tipo di opere: per chi si “accontenta” dell’atto d’accusa e della messa alla berlina dei pezzi grossi, l’obiettivo è sicuramente centrato. Per chi, come me, avrebbe preferito una minore manicheizzazione e un fumetto appassionante, resta un po’ di delusione.
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