Dopo l’articolo iniziale di questa rubrica dedicato al mio fumetto preferito da sempre (l’Eternauta) e dopo la serie di articoli dedicati alla preparazione del nostro Pesce d’aprile e ai voti dei naviganti per la rubrica Zagor Top 5, torna l’appuntamento con i fumetti Evergreen, cioè quelli che (secondo il parere insindacabile del sottoscritto) “non passano mai di moda e sono ancora godibilissimi” – e, soprattutto, hanno il pregio di essere apparsi ad un prezzo assolutamente appetibile in una delle tantissime collane di collaterali apparse in edicola negli ultimi vent’anni.
Ricordo velocemente le “regole del gioco” che mi sono imposto per scegliere i protagonisti di questa rubrica: un UNICO albo per volta che contenga un’UNICA storia completa o un UNICO arco narrativo compiuto. La formula perfetta, come scrivevo nel primo articolo della rubrica, per i graphic novel… e infatti questo secondo appuntamento lo dedico al miglior graphic novel che io abbia mai letto.
Rego Park (New York), primi anni Ottanta: il fumettista Art Spiegelman decide di raccogliere i ricordi del padre Vladek, sopravvissuto alla prigionia nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Il racconto di Vladek mostra il progressivo inasprimento delle condizioni di vita degli ebrei polacchi prima della guerra, per poi concentrarsi sulle vicissitudini e sulla lotta quotidiana per la sopravvivenza nella famigerata Auschwitz fino all’insperata salvezza e al ricongiungimento con la moglie Anja.
Uno straziante percorso nei ricordi di un’immane tragedia, alternato a brevi spaccati di vita contemporanea in cui affiora spesso il difficile rapporto tra padre e figlio.
La Civiltà Occidentale è finita ad Auschwitz. E noi non ce ne siamo ancora resi conto. Me compreso, che me ne sto qui seduto, a scrivere e disegnare mentre mia figlia dorme al piano di sopra, come se ci fosse un mondo dopo Auschwitz.
(Art Spiegelman)
Cosa potrei dire per invogliarvi a leggere (se ancora non l’avete già fatto) questo capolavoro assoluto, pubblicato in origine a puntate – tra il 1980 e il 1991 – sulla rivista statunitense RAW e poi raccolto in due volumi – 1986 e 1991 – che hanno valso al suo autore il prestigiosissimo Premio Pulitzer nel 1992?
Beh, potrei dilungarmi sulle scelte stilistiche con cui Spiegelman racconta l’indicibile, caratterizzando graficamente con vari animali – topi i maltrattati ebrei, gatti gli aguzzini tedeschi, maiali gli ambigui polacchi – i protagonisti delle vicende narrate. Oppure concentrarmi sull’enorme successo avuto da Maus, dovuto all’elaborazione di un argomento così “difficile” come l’olocausto in un’opera a fumetti e non in un saggio o un’autobiografia. O ancora alla sua importanza nella diffusione del genere “graphic novel”, per quanto – come scrivevo in precedenza – fosse nato in realtà come pubblicazione a puntate di lunghezza variabile.
Potrei dilungarmi… ma non lo faccio, in quanto non riuscirei minimamente a raggiungere la profondità di analisi dei numerosi editoriali e saggi che hanno descritto quest’opera. Mi limito quindi a descrivere le due caratteristiche che mi hanno colpito maggiormente.
La prima la chiamerei “la banalità del male” (recuperando il termine entrato nell’uso comune dal titolo del libro di Hannah Harendt) con cui i nazisti applicavano le direttive che puntavano allo sterminio del maggior numero possibile di ebrei, in modo incomprensibile e completamente aleatorio per i perseguitati le cui vite erano costantemente appese ad un filo – o meglio, ai capricci del caso e dell’aguzzino di turno: il racconto di Vladek è esemplare in tal senso, nella sua continua altalena di speranze, tragedie, illusioni, piani andati in fumo, scherzi del destino…
La seconda è costituita dalla magistrale gestione dei rapporti tra padre e figlio alla fine di ciascun volume. Il legame tra i due Spiegelman è problematico, segnato dagli eventi luttuosi (in particolare il suicidio di Anja, madre di Art e moglie di Vladek, avvenuto nel 1968) e dal carattere “impossibile” di Vladek, come testimoniato dalle sue continue ossessioni e dai conflitti quotidiani con la seconda moglie Mala: il culmine viene raggiunto alla fine del primo volume, quando Art scopre che il padre ha distrutto i diari di Anja (“Cristo! Conservi quintali di cretinate […] Dio ti fulmini! Tu – tu assassino! Come diavolo hai potuto fare una cosa così?”). La frattura si ricomporrà solo alla fine del penultimo episodio del secondo volume, quando Vladek consegnerà al figlio alcune foto dei suoi familiari, ritrovate in modo imprevisto: l’ultimo episodio potrà così concludere l’intera vicenda in modo finalmente pacificato, con Art che – poco prima di morire – racconterà come ha ritrovato Anja dopo anni senza sue notizie.
Questa versione integrale di Maus costituisce l’esordio del collaterale Graphic Novel di Repubblica – una collana pubblicata nel 2006, che si avvaleva della collaborazione della casa editrice Coconino Press – dopo che il primo volume dell’opera di Spiegelman era già stato proposto in un precedente collaterale di Repubblica intitolato I classici del fumetto (penalizzato, però, da un formato ridotto). Un ulteriore motivo d’interesse per il recupero di questo albo è costituito dagli interessanti editoriali di Luca Raffaelli e Paolo Interdonato, completati da uno scritto di Spiegelman – datato 1988 e pubblicato per la prima volta in Italia – intitolato “Looney Tunes – Sionismo e questione ebraica”.
Buona lettura!
MAUS (edizione integrale)
Testi & Disegni: Art Spiegelman
In: Graphic Novel (Repubblica)
Numero 1, 4 novembre 2006
Editoriali di Luca Raffaelli e Paolo Interdonato
Brossurato con alette, bianco & nero, 314 pagine
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