Come raccontavo in un articolo scritto ormai qualche anno fa (in epoca pre-pandemia, quando ancora sfruttavo i viaggi presso le sedi dei miei clienti francesi per visitare le FNAC nelle vicinanze…), avevo fatto la conoscenza di Jacques Ferrandez in modo completamente casuale. In questi ultimi anni ho recuperato alcune sue opere – prima o poi mi occuperò dei suoi Carnets d’Orient – ma ho anche ampliato le mie letture con altri fumetti che parlavano dell’Algeria e del periodo storico che, tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta, è culminato con l’indipendenza di questa nazione dalla Francia (apro velocemente una parentesi extra-fumettistica: se non avete mai visto La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, fidatevi del mio consiglio e fatelo prima possibile).
Ma torniamo ai fumetti sulla questione algerina: uno di quelli che mi è piaciuto di più è Una maglia per l’Algeria (Un maillot pour l’Algérie), one shot di oltre cento pagine scritto da Kris e Bertrand Galic e disegnato da Javi Rey, originariamente pubblicato da Dupuis nel 2016 e poi meritoriamente tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice ReNoir. La storia della decina di calciatori algerini, professionisti in Francia, che “fuggono” pochi mesi prima della Coppa del Mondo in Svezia del 1958 – cui alcuni di essi potrebbero partecipare come componenti della squadra francese – per comporre una “nazionale algerina” non riconosciuta dalla FIFA si basa su una storia vera e sui resoconti delle partite che disputarono per quattro anni, prima dell’indipendenza finalmente raggiunta dall’Algeria.
Una storia vera – anche se, naturalmente, alcuni passaggi sono leggermente romanzati – che gli autori gestiscono in modo impeccabile, avvalendosi delle testimonianze dirette di alcuni di quei calciatori oltre che delle cronache dell’epoca: se la parte più “militante” sembra restare un po’ in secondo piano, l’epopea dei protagonisti nella loro lunga tournée in esilio all’estero per pubblicizzare la difficile situazione algerina coglie nel segno, grazie anche alle relazioni che si instaurano all’interno dello spogliatoio e che rispecchiano fedelmente quelle familiari a chiunque abbia rincorso, nella sua vita, una palla rotonda per prenderla a calci e infilarla in fondo alla rete del portiere avversario.
Una storia vera che scorre in modo gradevole anche grazie alla leggerezza di alcuni episodi: memorabile il passaggio della frontiera di alcuni dei “fuggitivi”, fermati dai doganieri che escono tutti dall’ufficio per congratularsi e chiedere loro l’autografo… proprio mentre alla radio viene trasmessa la notizia della loro fuga e la richiesta di bloccarne l’espatrio. Ma, come scrivevo sopra, il fulcro della trama è costituito dal cameratismo che si crea tra i calciatori: la sensazione di rappresentare un’intera nazione con le loro partite, ma anche di essere una squadra di calcio a tutti gli effetti e quindi con le piccole, normali diatribe legate al gioco, alla concorrenza interna, ai rimproveri indirizzati al portiere o all’attaccante che sbagliano, alle trasferte in alberghi scalcinati…
L’epilogo è magistrale: se, da una parte, l’indipendenza finalmente raggiunta dall’Algeria nel 1962 decreta la fine di otto anni di durissima guerra e permette i festeggiamenti riservati da Ben Bella (vero e proprio padre della patria algerina) ai calciatori non più in esilio, dall’altra pone loro una domanda… cosa fare, adesso? La maggioranza, naturalmente, sceglie di restare in Algeria ma il talentuoso Rachid Mekhloufi si sente ancora un calciatore e non un eroe, decidendo di tornare a giocare in Francia – nel Saint-Etienne, di cui è ancora tesserato – con il timore di essere osteggiato dai suoi ex sostenitori. E in effetti, all’inizio, deve affrontare il silenzio ostile del pubblico: ma bastano una serie di dribbling e un gol da cineteca di Rachid per far cambiare idea ai tifosi, che tornano ad acclamarlo come quattro anni prima.
Una storia vera, una storia sullo sport che si fa veicolo di una possibile pacificazione, una storia gradevole da leggere, una storia ben documentata e “impegnata” senza diventare un pamphlet a tema. Una storia che vi consiglio di recuperare.
————————
BD MON AMOUR – tutti gli articoli