L’Espadon di Blake e Mortimer:
una vendemmia tardiva

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L’articolo su Blake e Mortimer pubblicato la scorsa settimana (in cui veniva specificato, fin dall’introduzione, che avrebbe mostrato TRA IL SERIO E IL FACETO i motivi per cui alcuni non riescono ad apprezzare questa BD) ha avuto il merito di invogliare alla lettura uno dei nostri redattori, finora schierato tra quelli che NON erano riusciti ad affrontare questo capolavoro: ecco le sue interessanti considerazioni dopo la lettura del Segreto dell’Espadon.


I percorsi che ci conducono a una lettura, a una visione, a un luogo, così come anche a un individuo (per tacere di noi stessi) possono essere i più vari: ed è quanto rende la vita interessante da vivere.

Di recente, nel corso di una discussione con gli amici di uBC a proposito di Blake e Mortimer, uno dei veri e propri “monumenti” della Bédé, è emerso che starei “diventando decisamente vecchio”, assunto che al contempo mi ha divertito e ha stimolato le riflessioni che andrò a fare sulla prima avventura dei due personaggi creati da Edgar Pierre Jacobs. Il divertimento e l’innesco delle riflessioni stanno nel fatto che si tratta di un’affermazione errata: concettualmente e basicamente, quindi profondamente. Come è infatti ben testimoniato dal “6” che precede il secondo numero della mia età, vecchio lo sono già. Ciò significa che sono sopravvissuto a innumerevoli eventi; che ho tanto, davvero tanto letto, visto, conosciuto: compulsivamente; che di ciò che ho letto, visto ecc.ecc. tanto, davvero tanto ho apprezzato, e altrettanto disprezzato – e ho apprezzato anche quello che ho disprezzato; e quest’ultima è una delle più preziose lezioni che pervengono con l’età. L’ingordigia intellettuale è forse il mio primo ricordo, e continua inesausta, perché, se l’età – e dunque la vecchiaia – mi ha ulteriormente insegnato qualcosa, è a non accontentarmi. Recentemente, la leggenda del tennis Novak Djokovic, che da un punto di vista atletico è vecchio almeno quanto io lo sono da quello anagrafico, e che ha vinto praticamente tutto quello che si può vincere nel suo sport, ha detto di sentirsi ancora “affamato”. È un sentimento che, fatte le dovute differenze, comprendo assai bene: un’altra cosa che gli ormai non pochi decenni vissuti mi hanno insegnato è che, a parte i casi di reale “ingiovibilità” (per capirci e fare un paio di esempi legati al campo del fumetto: Brendon o Brad Barron) o vera e propria idiosincrasia, spesse volte è il momento esistenziale sbagliato a non farci apprezzare un libro, un film, una serie TV. O appunto un fumetto.

Al di là delle facezie sul gigantismo dei suoi balloons, B&M è da decenni uno di quei Moloch che avevo senza dubbio approcciato in un frangente inadatto, e ambiguamente accantonato nel settore degli “in attesa dell’occasione giusta”. Per le occasioni giuste ci possono volere mesi, oppure anni, e inevitabilmente so che per alcuni libri o saghe (o viaggi) l’occasione non si concretizzerà proprio. In certi casi possono volerci decenni: la recente discussione sopra accennata mi ha fornito infine l’occasione per ritentare con Jacobs a distanza di oltre due decenni e mezzo dal primo, infruttuoso tentativo, e dunque per vendemmiare tardivamente l’Espadon.

Sgomberiamo subito la stanza dall’elefante: i famigerati balloons ammazzavignette non risultano di alcun intralcio per la lettura. Vuoi perché sono certamente tanti e sono fitti, eppure meno di quanto si immagini e di quanto in qualche modo si percepisca erroneamente dall’esterno, senza una vera sessione di lettura; vuoi, soprattutto, perché la maestria compositiva, architettonica di Jacobs ne fa degli elementi perfettamente armonizzati nella scenografia e, appunto, nella composizione di tavole e vignette, dilatandone il tempo di scansione visiva. Si crea in tal modo un ritmo di lettura senza meno diverso da quello che in genere attribuiamo o pensiamo per il fumetto, un ritmo che si rivela particolarmente adatto a questo che, nei fatti, è più una sorta di diario di eventi, raccontato per immagini e testo, che non arte sequenziale.

Da un punto di vista meramente grafico, del disegno, Jacobs è altrettanto straordinario, forse anche di più: se gli stipatissimi balloons paiono leggeri alla lettura, non poco merito va ascritto all’ariosità dei disegni che accompagnano l’occhio del lettore attraverso vignette e tavole di impeccabile precisione, cesellate in punta di pennino come studi dettagliati di imponenti palazzi neoclassici. Le silhouette umane come i paesaggi riarsi o marini; le macchine futuristiche come le esorbitanti scene belliche; i volti resi espressivi con mirabile economia di tratti come le ricche scenografie d’interni o i colori netti: tutto è studiato e realizzato per condurre il lettore a un ritmo di lettura confacente: riflessivo, disteso, attento. Un ritmo puntuale per introdursi in una storia dalla concezione colossale, epica; un racconto primordiale di scontri titanici, furia belluina, pura malvagità, limpida nobiltà d’animo; sceneggiato con sapienza narrativa e, una volta di più, con estrema attenzione a dare alla storia quella cadenza da diario per immagini con voce fuori campo a narrare gli eventi.

Dunque mi sono divertito alla grande? In verità confesso che mi sono annoiato a morte, pur sottoscrivendo tutto quanto detto sin qui. Il fatto è che ho trovato i personaggi inesorabilmente piatti, e particolarmente Blake e Mortimer: dei puri meccanismi narrativi, di una storia che è sì concettualmente grandiosa, magnificamente disegnata e costruita in modo registicamente perfetto; ma è altrettanto schematica, manichea e perfino puerile nei suoi contenuti sostanziali, nel suo processo narrativo. Jacobs muove come detto i suoi eroi eponimi a mo’ di meccanismi elementari, puramente funzionali a passare dall’evento A all’evento B e poi all’evento C: nella prima parte dell’avventura, dopo che i Cattivi, ovvero l’Impero Giallo (una sorta di Mongolia “tibetizzante”), hanno nuclearizzato o qualcosa del genere tutte le città più importanti del mondo, Blake e Mortimer non fanno altro, ripetutamente, che sfuggire alla caccia loro data da Olrik, nel frattempo menando gramo come non ci fosse un domani: tutti coloro che li aiutano, infatti, a parte Nasir, fanno una pessima fine senza che B&M neppure dedichino loro un mezzo pensiero.

Nel secondo, lungo episodio la coazione narrativa trasla dalla fuga continua alla impellente necessità della liberazione di Mortimer, e poi alla lotta contro il tempo per realizzare l’Espadon (anzi, GLI Espadon), ovvero l’arma di fine di mondo dei Buoni da usare per spazzare via le armi di distruzione di mondo dei Cattivi (e in generale i Cattivi). Le apocalittiche scene finali mettono in rilievo la figura dell’imperatore dei Gialli, il Cattivissimo in capo, la cui ossessione di impadronirsi di tutto il mondo (certe sue battute le ho lette avendo in mente il tono e le parole del Dottor Zero di Fantaman…) si tramuta, nel momento in cui questo gli è ormai divenuto impossibile, in puro e folle delirio di distruzione. La scena, nuovamente, è grandiosa: dal punto di vista scenografico è vivida e pittoresca, con un tocco grandguignolesco ben stemperato dall’eleganza del disegno; ma è anche involontariamente comica: l’imperatore è talmente invasato, sconnesso e demente da muovere all’ilarità, caratterizzato come è da Attila macchiettistico e draculesco (e in tal modo passa completamente in secondo piano che Mortimer possa farci pensare a una delle anime nere del XX secolo, John von Neumann, o che l’eroico indiano Nasir è nei fatti un collaborazionista anglofilo).

Contrapposto alle figure di questo pazzoide megalomane, e dei due Espedienti Narrativi, il solo personaggio che appaia possedere una scintilla di vita propria è Olrik: incarnazione programmatica del Male e della Nemesi dei Buoni, in realtà è l’unico che sembri evadere da una rappresentazione monodimensionale, avere un’agenda (che con abilità Jacobs suggerisce appena) fornita di motivazioni reali e non puramente narrative, pur restando egli una perfetta e granitica personificazione della malvagità. È inevitabile finire per provare una certa simpatia per questo personaggio, unico a dar mostra di avere sangue umano nelle vene; e perfino fare il tifo per lui durante l’estenuante caccia a Blake e Mortimer nel primo episodio, quando Jacobs gli getta contro qualunque possibile sfiga affinché i due pesci lessi gli sfuggano tra le dita.

In conclusione, Blake e Mortimer sono una lettura che continuerei, affrontandone i volumi successivi? Di certo rappresenta una sfida affascinante con questa nettissima dicotomia tra la bellezza esteriore del suo impianto grafico (e dell’ambizione, e ancora più del respiro della narrazione) e l’ottusità dei personaggi e del racconto. La certosina dedizione che traspare da ogni tavola, da ogni singola vignetta è invero molto attraente; d’altronde l’idea di lunghe immersioni in storie ripetitive popolate di personaggi inerti è respingente. Non credo che vi tornerò a breve, ma più in là mi darò sicuramente un’altra occasione di incontro con Jacobs.

Blake e Mortimer nella rubrica BD Mon Amour

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