Dopo Haiti, Luigi Mignacco torna sulle pagine di Dampyr e porta i nostri eroi nel cuore dell’Africa, in Sierra Leone. Per questo ritorno nel continente nero, l’autore sceglie di ripescare uno dei primi maestri affrontati da Harlan, il Dio Pantera Omulù.
Mignacco ne descrive così un breve passaggio, ambientato a metà del diciottesimo secolo, che ne corrobora il fascino già ampiamente espresso nei Dampyr n.6 e n.7, confermando che sì (purtroppo), la sua prematura dipartita è stata un vero peccato, soprattutto per il valore aggiunto che avrebbe giovato non poco alle storie africane del Dampyr.
Se Arturo Lozzi è sempre impeccabile con il suo tratto definito e realistico, la sceneggiatura di Mignacco incaglia in maniera quasi ingenua i nostri eroi in una discutibile e insensata scelta degli alleati. Viste le premesse, i segnali e i personaggi tagliati con l’accetta, risulta alquanto paradossale la “stupidità” con cui Harlan, Kurjak e Tesla scelgono di fidarsi della compagine di soldati al soldo della multinazionale che è lì, chiaramente e ovviamente, a fare scempi. Il twist finale quindi non sorprende ma, piuttosto, fa esclamare al lettore un imbarazzante “e meno male”.
E così, con i nostri eroi che finalmente capiscono ciò che era ovvio e già scontato al lettore, si compie il doveroso e necessario “lieto fine”.
Ottime le premesse, spettacolari le ambientazioni, a dir poco naïf lo svolgimento, necessario il finale.