Quando (alcuni dei) British Invaders vanno in pensione

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E dopo la tempesta, è l’arcobaleno a fare il gesto dell’ombrello

Parafrasando un passaggio dello stesso Alan Moore, non ci sono parole sufficienti per esprimere la complessità di quest’opera…quindi non le useremo. 

Non è tanto una scusa per un appropinquarsi semplicistico alla voragine pop (e non solo) partorita dal duo britannico, quanto più un’ammissione del fatto che il tentativo di esaminare e valutare un’opera così multiforme e stratificata richiederebbe banalmente di mettere in piedi un lavoro di eguale portata. Ecco perché tutta una serie di chiavi di lettura ed elementi interpretativi andranno necessariamente dati per scontati, anche e soprattutto perché facilmente rinvenibili attraverso un semplice giro nella Rete.

La tempesta. La lega degli straordinari gentlemen
di Alan Moore e Kevin O’Neill

Parlando di banalità, è superfluo sottolineare che per una comprensione un minimo più circostanziata de “La Tempesta” risulti praticamente indispensabile fare un binge–reading partendo da Black dossier, passando quindi per Century, per poi concludere con i tre spin-off centrati sulla dinastia Nemo. Non è sbagliato pensare che primi due volumi dedicati alle gesta degli straordinari gentlemen sarebbero anche potuti passare come altrettanti monumentali “stand–alone” attraverso i quali Moore e O’Neill si cimentavano (ovviamente da par loro!) in gustosi pastiche che vedevano interagire diversi tra i più noti personaggi letterari della letteratura di epoca vittoriana. 

Già però la run “Century” (sebbene pubblicata in Italia molto prima di “Black dossier”, e quindi inevitabilmente ostica ai fini della comprensione di alcune dinamiche) andava da un lato ad allargare indefinitamente la portata degli eventi, dando così l’idea di un universo molto più vasto, le cui radici affondavano ben prima della fine del XIX secolo, e che era proiettato in un futuro ancora di là da venire; dall’altro, portava impietosamente in scena le vicissitudini del trio Mina/Allan/Orlando (sopravvissuti alla Lega originale) dopo il classico “happily ever after” delle fiabe, e di come queste alla fine si intersecassero con (e influissero su) una nuova minaccia di livello estinzione, come si usa dire.

La citata difficoltà di lettura e comprensione della stessa run, al di là di quanto detto prima, era inoltre dovuta all’alternanza di ogni capitolo con una puntata di un romanzo in stile letteratura di anticipazione anni ‘30, attraverso il quale Moore racconta una precedente avventura di Mina, quale agente di Prospero Duca di Milano, apparentemente slegata dal contesto circostante. 

Più agevole, per così dire, la lettura dei tre spin–off, che si soffermano su un particolare ramo dell’universo di cui sopra, ambientando le vicende in tre epoche diverse e prendendo a modello per ciascuna di esse un potente riferimento narrativo (la dimensione lovecraftiana, l’immaginario di Metropolis, le suggestioni de I ragazzi venuti dal Brasile), il tutto ovviamente innaffiato da una miriade di altre citazioni, al solito ritmo di circa una per vignetta.   

“La Tempesta” si pone quindi il non semplice obiettivo di portare a compimento i fili delle numerose trame lasciate in sospeso (ivi comprese quelle seminate nel “Black dossier”, nel frattempo pubblicato anche in terra nostrana) aggiungendo nel calderone nuovi elementi, necessari per amalgamare tutti quelli che si rivelano alla fine essere solamente “ingredienti” di un unico piatto che, seppur vantandosi nella sua essenza distillata di non voler 

ricercare l’originalità a tutti i costi, si offre però al lettore con una preparazione ed un impiattamento da tre stelle Michelin, scardinando così le difese da questi erette intorno alle proprie papille gustative dell’immaginario (un po’ come la ratatouille dell’omonimo film Pixar). 

Il risultato è l’atto finale di un universo estremamente coeso, nel quale il gioco del sollevare sempre più l’asticella della grandeur e della suspension of disbilief viene condotto senza la divertita foga e irriverente ostentazione di un Warren Ellis o di un Mark Millar con “Authority”, bensì con un livello di nonchalance che può essere proprio solo di chi è ormai settato su un livello talmente fuori scala, che può giocare con la densità della materia narrativa al pari di una divinità che si balocca a inventare le leggi della fisica che caratterizzeranno sempiternamente l’universo cui sta con amore dando forma e armonia.

La sintesi miniaturistica di O’Neill

Va specificato che l’opera fuori scala di Moore si rende presente e comprensibile ai nostri poveri sensi solo grazie all’apporto altrettanto fuori scala di O’Neill, che come un miniaturista traduce la mole di indicazioni del bardo di Northampton in vignette tecnicamente perfette (da intendere filologicamente nel senso che portano completamente a termine l’opera di traduzione delle suddette indicazioni) capaci di riempire il campo visivo pur senza appesantirlo, in un continuo miracolo di sintesi che, seppur inevitabilmente tradendo una certa stanchezza, riesce con classe a spaziare attraverso il caleidoscopio di soluzioni grafiche (dalle dime novels, ai domenicali inserti a fumetti dei quotidiani, fino alla “golden age” dei fumetti di super-eroi e al 3-D, e tanto altro ancora) richieste per caratterizzare l’opera. A tale proposito, un doveroso plauso va fatto alle Officine Lettering che hanno affiancato la Bao nella rielaborazione visiva di alcune vignette: dato che in diversi casi lo stesso testo è stato rappresentato da O’Neill come parte integrante del tessuto narrativo, è stata operata una vera e propria riproposizione grafica di quel medesimo tessuto, usando la traduzione italiana dei testi coinvolti.

Il più grosso grattacapo di sempre

Non si può a questo punto ragionare in termini di “valutazione di un risultato”: in primis, come già detto e ripetuto, la densità totale dell’opera è tale che non esiste un vero inizio, né una vera fine. È possibile (come tra l’altro è già stato fatto) abbozzare una cronologia degli eventi, ma l’interpretazione della Lega (e questo vale per tutti i volumi che la compongono) sotto il profilo temporale è poco utile, laddove addirittura impropria, data la mole enorme di rimandi interni, tale che alcuni passaggi didascalici si rendono necessari perfino per lo stesso Moore, il quale magari si era reso conto di avere sfondato un po’ troppi paletti lungo la strada dell’esoterismo (inteso come qualcosa di accessibile a pochi, se non pochissimi). In second’ordine, al major plot twist, che conduce ad un ribaltamento definitivo del contesto iniziale, viene in fin dei conti assegnato uno spazio sostanzialmente limitato, eppure ciò non ne depaupera il senso, o la portata, visto che l’intera opera si svolge in un universo alternativo che si rende al lettore già come plot twist di per sé, ovviamente in una misura sempre più compiuta e consapevole man mano che si procede lungo i vari volumi/capitoli. Ciò comporta di conseguenza che il già citato giochino dell’ “innalzamento dell’asticella” si sviluppa in maniera non–sequenziale, per cui il lettore non viene bombardato con batterie di fuochi sempre più esplosive, bensì viene portato “dentro” la scatola da dove partono i fuochi stessi, mutandone così perpetuamente la prospettiva d’ingaggio; questo è l’ultimo, vero colpo di genio della premiata ditta, che si accomiata infatti dal suo pubblico ripercorrendo l’intera storia della Lega “da dietro le quinte”, in una sorta di parallelo con l’altrettanto straordinaria sequenza che vede Sogno degli Eterni accompagnare Lucifero che chiude tutte le porte dell’Inferno, prima di lasciarsi tutto alle spalle. E se lì Lucifero investiva Sogno del più grosso grattacapo di sempre (a chi consegnare le chiavi degli Inferi?), qui più prosaicamente Al e Kev continuano metafumettisticamente ed anticlimaticamente a battibeccare, sicuramente lasciando più d’uno a chiedersi se non ci siano altre pagine che evidentemente non sono andate in stampa. Nossignori: è solo un (poderoso) pezzo della British Invasion che chiude baracca e burattini, e vi prende per il naso per un’ultima volta. Finis

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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