Riflessioni sulla prima mini-serie dedicata all’Agente Speciale Alfa
La pioggia ha un ruolo non secondario nella città (e nella vita) di Nathan Never. L’innovazione apportata con il micro-clima controllato nelle varie parti della Città Est non ne diminuisce il fascino nostalgico e decadente, anzi aggiunge un ulteriore elemento di tristezza e – quasi – di ineluttabilità: controllare la pioggia dovrebbe poter significare anelare ad un sempiterno cielo privo di nubi, e invece si pasticcia con gli elementi come farebbe un Dio di quart’ordine, con il risultato di aumentare il disagio in chi quelle gocce deve sopportarle pur sapendo che qualcuno da qualche parte potrebbe evitare di farle cadere.
La pioggia cade sulle teste e sulle vite, e questo Nathan Never lo sa bene: durante questo suo primo quarto di secolo di vita editoriale ha mostrato ai lettori una natura tanto malleabile da consentire, in pratica sin dall’inizio, lo sviluppo di multiversi, cross-over, epiche saghe autoconclusive, svolte epocali e altri stravolgimenti vari pur rimanendo sempre un corpo (abbastanza) omogeneo e fedele a se stesso; ciononostante la sua personale ricerca di felicità in quanto essere umano si è – anch’essa da sempre – articolata lungo percorsi contorti, deviazioni non del tutto cercate ma comunque volute e perseguite (un nome su tutti: Sara McBain) ma anche cercate sebbene mai completamente volute (un nome su tutti: Janine Spengler), molteplici cambi di rotta in questa ed altre dimensioni spazio-temporali, peccati commessi, pentimenti, e finanche nuovi comandamenti aggiunti all’originale lista mosaica: tutti eventi vissuti calando sul tavolo la carta della speranza di riscatto sempre nella mano sbagliata.
Ognuno sta solo sul cuor della terra, e su di lui si fa sera, e in più piove.
Ma di quale Nathan stiamo parlando?
La mini-serie di sei numeri “Anno Zero” ha un po’ costituito la punta di diamante nell’ambito dei festeggiamenti dei primi 25 anni della testata, proponendosi di raccontare di nuovo l’origine – o almeno “una” origine – di Nathan Never. Vigna ha condotto un sofisticato e complesso esercizio stilistico che sfocia apertamente nel pensiero laterale di deboniana memoria, introducendo inoltre all’apparenza la testata al complesso dinamismo proprio dei reboot (stile Ultimate Marvel), così come tra l’altro specificato in prefazione dallo stesso editore: Anno Zero non è quello che sembra, bensì un palcoscenico in cui alla fine anche il lettore sarà chiamato a recitare un importante ruolo. Un palcoscenico su cui si consuma una rappresentazione teatrale priva stavolta di qualsiasi “deus-ex-machina”, al cui interno si può ravvisare una struttura in due atti, relativi ai primi e gli ultimi tre numeri di cui la mini si compone.
Atto I: feeling like ret-con
Nei primi tre albi Vigna e De Angelis ci portano a rivivere gli esordi di Nathan, aggiungendo agli elementi già noti al lettore le vicende del protagonista come sergente di polizia.
1. Giorni oscuri: siamo ai primi mesi del Callaghan Act, la legge con la quale il governo permette a soggetti privati la creazione di agenzie di sicurezza e vigilanza da affiancare alle forze dell’ordine. (Ri)troviamo quindi Edward Reiser impegnato nella costituzione della Agenzia Alfa, con particolare rilievo ai numerosi intrighi politici che mette in piedi per riuscirci; nel frattempo Nathan si trova a indagare su un traffico illegale di organi che potrebbe coinvolgere il Professor Hicks, primario del Cook Hospital.
2. L’inizio della notte: l’inchiesta di Nathan prosegue fino ad attirare le attenzioni di qualcuno ai cosiddetti “Piani alti”, che di conseguenza si adopera per mettergli i bastoni tra le ruote.
3. La vera fine di Ned Mace: scopriamo l’identità di colui che avevamo creduto essere finora il responsabile dell’assassinio di Laura.
Nel complesso i tre albi sono avvincenti, hanno un ritmo incalzante e l’indagine di per sé è godibilissima. L’effetto nostalgia inoltre completa l’immersione nella vicenda, che affascina e scorre veloce e interessante. Dal punto di vista della coerenza con la serie regolare, nei primi due albi si ha l’impressione di leggere tutt’al più una sorta di retcon (stile Untold Tales of Spider-Man o Fear the Walking Dead); solo nel terzo capitolo le vicende si allontanano maggiormente dalla storia che già conosciamo, i dubbi di trovarsi di fronte ad un qualcosa di nuovo si palesano, e si iniziano a porre le basi per il twist (?) della seconda parte.
Atto II: tearing which life apart?
4. Agenti Alfa: i giochi politici di Reiser divengono manifesti e le sue pedine si dispongono sulla scacchiera, pronte ad attuare il suo piano; intanto i nuovi Agenti Alfa sono impegnati in missioni sempre e comunque connesse alla trama principale.
5. Crisi Internazionale: tutti i fili sino ad ora seminati vengono raccolti e si prepara il terreno per l’epilogo. Per la prima volta nella mini-serie il ritmo rallenta: una direzione narrativa che appare naturale in vista del finale, e utile soprattutto per portare tutti i lettori alla piena consapevolezza di ciò che sta accadendo; ciononostante, lo stile a volte eccessivamente didascalico corre il rischio di “annacquarsi” dietro alle numerose vicende talvolta oltremodo dettagliate.
6. L’ultima verità: tutte le “verità” finalmente si scoprono. L’indagine di Nathan si conclude e vengono alla luce le macchinazioni di Reiser; lo stesso Nathan svela il suo dramma, con l’amara ed angosciante presa di coscienza che ne deriva; i lettori trovano la risposta alle loro domande e riprendono in qualche modo il loro ruolo di “deus-ex-machina”.
Qui il gioco reboot/retcon/universo parallelo viene inevitabilmente allo scoperto, portando con sé una dose immancabile di fascino: il periodo forse più cupo e significativo di Nathan acquisisce uno spessore totalmente nuovo sotto il sapiente gioco di luci (o meglio, di ombre) condotto fino alla scena finale, e di certo ripaga l’attesa del lettore anche se contemporaneamente gli pone ulteriori quesiti.
Ma quindi cosa abbiamo letto?
La domanda “ma alla fine cosa abbiamo letto?”, che riprende quella precedente, è scontata e doverosa. La risposta, per quanto laconica, non può che essere: abbiamo letto di Nathan Never, di una parte della sua vita, del suo cercare risposte alle più banali e terrificanti domande che ogni uomo può porsi, ossia “chi sono io?”, “dove vado?”, “qual è il senso della mia vita?”.
La particolarità sta nel fatto che, una volta tornato al timone della narrazione, il lettore ha paradossalmente ben più di una risposta da fornire idealmente al personaggio. Giocare a questo punto la parte dei puristi ha ben poco senso: i sostenitori di un (se esiste) “canone neveriano” hanno e avranno sempre negli occhi l’addio di Ann Never assieme a Gabriel, o la silhouette di Nathan davanti alla tomba di Laura, tanto per citare alcuni dei momenti topici dell’esistenza dell’agente speciale, e magari la mini sarà sempre e solo un “divertissement”, sebbene di alto livello; per gli altri continuerà a trattarsi sempre e solo di Nathan, “figura di carta” che assomma in sé le suggestioni e le stravaganze dei suoi tanti genitori i quali, se pur concordi nel fornirgli indicazioni all’interno di una sorta di piano educativo predefinito, hanno comprensibilmente indugiato su alcune minuzie del suo carattere quale preciso segno di riconoscimento.
Abbiamo quindi assistito ad un esempio di meta-fumetto (ossia di fumetto che parla in qualche modo di se stesso)? Come detto prima, lo spunto di partenza è originale, almeno all’interno della Bonelli (anche se abbastanza lontano dai picchi di Napoleone del quale, come in questo caso, ci venne mostrata la reale dipartita). Anche qui, la risposta è ancillare: abbiamo letto una nuova (vecchia) storia di Nathan, ben scritta e ben disegnata, in grado di scorrere in maniera piacevole anche se forse un po’ prevedibile, troppo svelata in alcune fasi, ma ben ritmata tra personaggi, emozioni e azione; una storia che richiede una discreta suspension of disbelief – ma impreziosita dal fascino di un Reiser mai così cattivo (tanto per usare un eufemismo) – e capace di lasciare con il fiato sospeso bene o male fino all’ultimo. Anche qui, gli esegeti del suddetto canone punteranno il dito contro la velocità della narrazione, che sacrifica in parte il fascino di alcuni avvenimenti narrati nella testata nel corso dei 25 anni, e qui liquidati con troppa leggerezza, ma è un male minore se considerato alla luce della limitata lunghezza complessiva del progetto.
Il merito di mantenere alta l’attenzione dei lettori è da attribuire per grande, grandissima parte al comparto grafico ad opera di De Angelis: un lavoro durato circa quattro anni (e per stessa ammissione dell’autore, buona parte delle tavole dei primi numeri sono state ritoccate o ridisegnate in fasi successive, così da mantenere una cifra stilistica quanto più possibile omogenea), e forse l’opera con il maggior numero di tavole disegnate da uno stesso autore nell’ambito dell’intera produzione bonelliana. Ad essere sinceri, gli aggettivi per descrivere questo magnum opus si sprecano, e comunque non riuscirebbero mai a dare l’idea della portata immane dell’impatto grafico che la mini porta con sé. Vale quindi la pena soffermarsi solo su alcuni elementi distintivi:
1) l’onnipresente pioggia, che forse mai come adesso è stata capace di veicolare nell’immaginario il senso di “futuro plumbeo” nel quale Nathan si muove. Senza dover necessariamente scomodare le solite frasi quali “nei primi numeri la pioggia era molto più presente”, o divagazioni sulle “ascendenze e reminiscenze bladerunneriane”, va concesso che il senso di metereopatia indotta, tanto forte nei primi anni della serie, e tanto necessario per conferirle una specifica identità, è scemato nel corso degli anni e delle moltiplicazioni dei pani e delle pubblicazioni del personaggio, da Agenzia Alfa in poi – eppure, un’immagine parimenti toccante risale al num.22 (Demoni), nella quale Nathan si affaccia al balcone del suo attico e contempla lo skyline della Città alla luce del primo mattino, pensando che in momenti come quelli anche un agglomerato urbano di quel genere poteva sembrare persino bello;
2) tecnologia e architetture, ossia soprattutto macchine e palazzi, con una menzione particolare per la Rolls Royce di Reiser, la ripresa esterna del carcere di Blackwall e l’ardito design dell’Alfa Building (forse il migliore tra quelli avvicendatisi fino ad ora). Le inquadrature giovano spesso di campi lunghi e la costruzione della tavola non è mai scontata, con l’effetto finale di ritmo costante che stimola il lettore a procedere pagina dopo pagina. Accanto a ciò, De Angelis usa anche per gli interni una forte dose di scuri, e in molti casi si serve di prospettive distorte che rendono un progressivo senso di straniamento (è il caso del già citato carcere di Blackwall). Va da sé che nessuna tecnica di colorazione avrebbe potuto conferire atmosfere più potenti di quella venute fuori con il “semplice” b/n;
3) i volti: nell’arco della storia della serie, i momenti di flashback nei quali compare un Nathan con i capelli tutti scuri e privo di barba sono sempre stati relativamente pochi, quindi questa mini ha dato tra le altre cose anche l’occasione di confrontare con maggior cognizione di causa le due versioni del personaggio. Il risultato è l’aver compreso una volta di più come la tragedia vissuta da Nathan (vera o presunta che fosse) abbia apportato nella sua figura un cambiamento che la diversità dell’aspetto estetico può solo suggerire. Accanto a lui, vediamo il già citato Reiser, e un Sigmund che si ricollega al suo “aspetto originario” molto più di quanto faccia invece Legs, che qui appare forse troppo ringiovanita, anche e soprattutto se immaginata in relazione alla buona dose di spiacevoli esperienze della sua vita pre-Alfa. Discorso a parte merita Sara, che De Angelis è sempre riuscito a rappresentare in maniera stupenda, e che adesso non manca di rimarcare il suo peso specifico nella vita di Nathan mostrando un fascino davvero senza pari;
4) le cover: la composizione delle singole copertine a formare un mosaico di più ampio respiro è una trovata di ottimo gusto, ed in questo caso l’uso del colore ne esalta la finalità. La composizione delle inquadrature è pertanto subordinata a tale scopo, ciononostante tra la prima e l’ultima il confronto tra i due aspetti di Nathan appare forte e chiude idealmente il cerchio dell’intera opera.
Trarre due righe di conclusione non è semplice, anche e soprattutto perché è l’intera vicenda in sé a non avere tecnicamente una conclusione. Ciò che si può pensare è: dopo 6 numeri e quasi 600 pagine si può ben dire che l’opera nel suo complesso raggiunge alcuni dei punti più elevati dell’intera letteratura neveriana di questi primi 25 anni di vita editoriale. Rimane l’idea di una Sara zombie, di un Nathan uxoricida e che tutto quello a cui ci siamo appassionati fino ad ora non sia la realtà “reale”…forse è questo a generare quel senso di amarezza a fine lettura? E se è così, allora questa mini-serie iniziata e conclusa sulle tracce di un asfalto battuto dalla pioggia ha davvero raggiunto il risultato che si proponeva?