Barbara Baraldi dona a Davide Furnò la possibilità di divertirsi e sbizzarrirsi in un eccellente miscellaneous di rappresentazioni che vanno dall’onirico all’horror passando per il metafisico e l’allucinato.
Se l’esile idea alla base di questo racconto (i déjà vu come sottile traccia rimanente di sogni “troppo pericolosi” cancellati da una X organizzazione) fosse stata il pretesto per la realizzazione di un Artwork dell’artista allora sì, l’insensata sequela di avvenimenti e il randomico mutare delle situazioni qui sciorinate avrebbe acquisito una finalità.
Purtroppo invece questo albo, oltre a mostrare l’eccelso talento di Furnò, vuole anche raccontare una storia. Una storia che però scorre vacua e, come già accaduto in passato, è caratterizzata da avvenimenti episodici privi di qualsivoglia guizzo di interesse se non, come anticipato, il piacere del disegno di Furnò. Eppure si percepisce, tra le pieghe della sceneggiatura, in alcune situazioni, una certa cifra dell’autrice. Una sorta di atmosfera che, probabilmente, se fosse emersa, avrebbe potuto incuriosire e affascinare il lettore.
A non migliorare la situazione, oltre a quanto sopra, abbiamo una serie di piatti personaggi secondari del tutto slegati dalla narrazione, che non hanno la forza di smuovere il benché minimo coinvolgimento. Nel mezzo ci sono un Dylan particolarmente avventato e dogmatico, che si lancia a capofitto nella ricerca del torbido (avanzando nella sua indagine grazie a indizi improbabili e svelamenti alquanto fortuiti) e un Groucho fuori fase che sciorina battute inusitate alla povera Violet, la scialba (non graficamente) cliente di turno.
Eppure sono proprio Groucho e Violet – a fine albo, in un cortocircuito metafisico – ad offrire la summa perfetta del pensiero del lettore:
Groucho: <<Mi sento come se stessi toccando il fondo.>>
Violet: <<Non è possibile, tutta questa fatica per niente!>>
pagg. 96-97