…E vissero tutti felici e coerenti / 2

Gli universi paradossali di Nathan Never 401, da Adriano a Samuele

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Nell’andirivieni di sceneggiatori del mondo neveriano, tolta ovviamente la banda dei sardi, si è più volte parlato di Stefano Vietti come unico reale showrunner che ha plasmato la materia di partenza secondo un piano di amplissimo respiro; un piano che ha attinto anche ad alcuni dei grandi temi che hanno caratterizzato la continuity del Nathan “della prima ora”, ossia Nemo e i tecnodroidi – lasciando da parte la fratellanza ombra, che aveva in qualche modo esaurito la sua porzione di fabula con i primi tre giganti – e gettando nuovi semi che sono principalmente esitati in un paio di guerre. Tali stravolgimenti su scala globale (e oltre) hanno poi avuto riverberi anche in epoche future che, pur con tutta un’altra serie di problematiche, rivelano un significativo legame con il presente neveriano.

Pur non ignorando la portata di tali sconvolgimenti, negli anni successivi si è assistito ad un sostanziale ristagnare del lascito viettiano – che nel frattempo si è trasferito in quel dell’Erondár: Eccher e Rigamonti, pur fornendo prove anche di livello, non si sono mai avventurati nell’elaborare archi narrativi; Medda ha gettato nel tempo vari semi, che come nella famosa parabola hanno provato a germogliare in diversi terreni, uno dei quali ha portato al germogliare di quella “crisi internazionale” che, orchestrata a quattro mani con Vigna, ha provato a ridare un po’ di brio al personaggio.

Dal canto suo, Vigna sta portando avanti una deriva molto personale e quasi unimodale che, a partire dal “caso Rose”, traccia un percorso (non privo di asperità) che unisce Mr. Alfa, Urania (forse caduta, forse no), Elania, Janine, Darver, Reiser, alieni di vari colori, e altro ancora. È sì un progetto di largo respiro anche questo, ma continua a mantenersi l’impressione che sia leggermente scollato dal resto, e per questo si fa un po’ fatica a seguirlo e a empatizzare con la materia trattata.

Non va infine dimenticato Serra che, prima di appendere definitivamente al chiodo il ruolo di autore ha orchestrato la cosiddetta “saga Omega” nell’arco di circa quattro anni e attraverso varie testate neveriane, per poi concludere letteralmente col botto nella tripla immediatamente successiva al n. 300. È lì che l’uomo quantico arriva al cospetto di entità al limite del divino – il tribunale cosmico, che con ogni probabilità fa una comparsata anche nel team-up tra Flash e Zagor – e fa uno shift di soli, portando quindi nella pratica alla morte dell’universo narrativo che avevamo visto fino ad allora, per ripartire da uno nuovo, leggermente diverso dal precedente. La cosa curiosa è che questo è senza mezzi termini l’evento più apocalittico del mondo di Nathan Never, eppure la coscienza della sua portata da parte degli autori sembra sia rimasta sempre fuori fuoco, quasi a voler negare l’evidenza semplicemente girando la faccia dall’altra parte.

Di nuovo i tre sardi al comando, quindi, ma non più in maniera coordinata come agli albori della serie. Ecco quindi che Adriano Barone si sta facendo strada come vittima e araldo di quell’ “assedio mentale” (leggasi: ossessione) che impone di cercare una scappatoia alla diaspora di spunti, idee e storie. Le sue convinzioni granitiche partono da lontano, lasciando distrattamente cadere qui e là prodromi apparentemente scollegati tra loro: è il caso del n. 0 della miniserie Generazioni (allegato a NN 324) che, dopo quelle a firma di Vigna e Medda, provava a riscrivere le origini di Nathan assecondando le specifiche sensibilità di ciascuno dei tre “papà” del personaggio.

Nello specifico, l’albetto in questione vedeva Serra (qui autore del solo soggetto) e appunto Barone portare in scena un particolare Nathan alle prese con un particolare Mr. Alfa, in un’atmosfera alla Evangelion ottimamente resa da Massimo Dall’Oglio. In quell’occasione si iniziava a parlare in maniera volutamente ampollosa di un meccanismo a difesa dell’ordine interno del tessuto della realtà; quando un universo arrivava ad un livello di crisi per un eccesso di incongruenze interne, tale meccanismo provvedeva a crearne uno nuovo – quasi una sorta di reset – investendo questo particolare Nathan del compito di proteggerlo dalle anomalie, e così via di universo in universo.
Il concetto di multiverso non era qui chiaramente introdotto, nè chiaramente si capiva se “morto un universo, se ne fa un altro”; la suggestione però era interessante, e l’impressione rimase per un po’ che, al di là di essere il trailer della miniserie di cui prima si diceva, fosse in realtà il teaser per qualcosa di più strutturato e ambizioso.

Il passare degli anni ha lasciato solo una sopita eco della curiosità iniziale – parafrasando il poeta “passano gli anni, ma sei sono lunghi”: questa ha però finalmente avuto ragion d’essere, come anticipato, con il numero 401 della serie regolare, con il quale Barone si è presentato in edicola con un intento paradossalmente non troppo dissimile dalla crisi DC del 1986. Se anche il teaser di Generazioni non viene qui apertamente citato, ci si inizia a fare domande sulla tenuta stessa della realtà, quando Liam dell’Agenzia Alfa del futuro si ritrova nell’epoca di Nathan inseguito da un trio di tecnomorfi: da un tempo ad un altro, da una testata (Universo Alfa) ad un’altra, da un autore (Vietti) ad un altro. A questo si aggiunge il peregrinare di David Maas nel tessuto dello spazio-tempo per trovare il modo di portare indietro l’uomo quantico, al secolo William Campbell.

Tali premesse danno la stura a 94 tavole dense come non se ne erano mai viste nella lunga vita editoriale di Nathan, dove si parla con nonchalance di paradossi temporali, nanotecnologia, decoerenze quantistiche laterali e via discorrendo, comprimendo al limite da un lato ambiziose carrellate su fanta-interventi tecnologici, e privando dall’altro di qualsiasi pathos le già difficilmente gestibili sequenze che, in storie come queste, vedono incontrarsi personaggi che in condizioni normali vivono in contesti assolutamente non adiacenti né contingenti.

In questa fiera della sospensione dell’incredulità l’autore cala l’asso rubando a Vigna (o meglio, alla meccanica razionale) il concetto di “sistema olonomico“, che tecnicamente indica un sistema completamente descritto tramite variabili tutte fra loro indipendenti. In altre parole, in un sistema del genere ci sono tante variabili (INDIPENDENTI) quanti sono i gradi di libertà. Per i non avvezzi al gergo ingegneristico, significa che non c’è alcuna generica variabile “a” che dipende da un’altrettanto generica variabile “b”, per cui se pure “b” si modificasse, non indurrebbe cambiamenti in “a”. In un siffatto sistema niente dipende da niente, per cui ogni anomalia può essere risolta senza che avvengano conseguenze sul resto.

È un concetto impegnativo, che nella visione di Barone permette di propinare l’idea di un universo che può permettersi tutte le incongruenze che vuole, salvando apparentemente i proverbiali capra e cavoli, senza però perdere la sua generale consistenza – che già così sarebbe l’apoteosi di tutta la grammatica del cinema di Philip Kaufman, o dell’abitare le pieghe dell’incoerenza di cui la vita stessa si compone. L’aforisma holmesiano in precedenza citato prende così forma completa, e la cosa in sé non disturberebbe nemmeno così tanto, se non fosse che anche una narrazione “fantastica”, la quale dichiaratamente può e deve prendersi delle licenze per asservire al nobile scopo di svellere il grigiume dei pensieri quotidiani, deve pur accompagnarsi ad un tono concorde: nella tripla serriana incentrata su Omega l’uomo quantico arriva di fronte al tribunale cosmico, e in questo si respira il compiacimento dell’autore nel rielaborare characters dell’editoria oltreoceano per inscrivere il suo agente speciale in una vicenda dal sapore smaccatamente cosmico. Quell’avventura volutamente puntava a trascendere il genere sci-fi (che piaccia o no), e l’amore dell’autore per la sua creatura veniva ancora una volta reso manifesto ai lettori.

Di contro, un’operazione di razionalizzazione a tutti i costi, che si prende forse eccessivamente sul serio, rischia di stridere apertamente nel momento in cui si ricorre a stratagemmi simili a quelli prima indicati: in questo caso si plaude alla capacità tecnica di far quadrare il cerchio, ma la sintonia con il lettore latita. A conti fatti, infine, l’escamotage olonomico non è neppure chissà quanto distante dal twist finale del secondo team-up tra NN & MM, che data oltre vent’anni or sono (ed è citato nell’albo in esame): in quel caso il numero di vincoli indipendenti che tenevano insieme il tessuto della realtà erano i martiri di Altrove, per cui sarebbe al limite stato interessante mettere a diretto contatto questi ultimi con l’operato dell’uomo quantico, dato che in fin dei conti si sta parlando dello stesso effetto, seppur prodotto da cause posizionate su una diversa scala (esseri umani da un lato; un essere semi-divino dall’altro).

Ma Barone non è Warren Ellis, evidentemente, e l’eccesso di densità esige il suo dazio.
In più, il fatto di lesinare sui riferimenti a storie precedenti – che in vicende come questa sono preziosi come l’acqua nel deserto – rende questo dazio ancora più aspro, e ingiusto verso il lettore.

Continuando a parlare di densità, la storia si dipana nonostante tutto in maniera efficace grazie alla prova del prolifico Max Bertolini, vera colonna portante della serie negli ultimi anni: il suo è un tratto riconoscibile, nonostante la tenuta grafica della pagina venga messa a dura prova dalla mole di informazioni che i testi veicolano, quasi impedendo che – da una tavola all’altra – il lettore possa prendere respiro. Permane purtroppo un senso di composito che emerge dal suo operato, dove da una vignetta all’altra si passa da semplici passaggi a matita, ad altri acquerellati, a descrizioni di fondali dalla precisione miniaturistica (vedi lo sguardo d’insieme dell’ottavo livello della Città est), all’impiego di immagini tridimensionali inspiegabilmente appiattite per completare altre tipologie di sfondi. I suoi personaggi sono sempre riconoscibili, sebbene la recitazione rimanga sempre un po’ fredda e statica; nondimeno, è un tratto in generale pulito, e ciò si è in ogni caso rivelato utile per controbilanciare come si diceva la “pienezza” della trama.

 

Rimanendo su un piano di assonanza, nel suo Giudizi universali Samuele Bersani diceva: “Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane”. Il pane deve far passare ad ogni morso l’amore che il fornaio ha messo nella sua preparazione; un pane gourmet può correre il rischio di essere solamente un’altra (elevata) voce di costo sullo scontrino di un ristorante stellato.

Come dire: va bene l’esperienza di lettura, e va anche bene la voglia di unire pezzi di puzzle diversi; ma spuntare in continuazione i bordi per mantenere l’idea che anche così si ottenga sicuramente una figura comprensibile ai più… ci ha già pensato Zerocalcare a dare una risposta migliore di qualsiasi olonomia.

Fine

 

Nathan Never n.401 “Paradossi universali”
di Adriano Barone e Max Bertolini
16x21cm, 96 pagine, b/n, 4,90€
Sergio Bonelli Editore, Ottobre 2024

 

 

 

 

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Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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