Lorenza Ghinelli, per il suo esordio su Dylan Dog, sceglie di lasciarsi ispirare dalle trame di The Last Winter di Larry Fessenden contaminando gli smaccati riferimenti alla pellicola con le suggestioni di The Terror. L’autrice, però, non riesce a rievocare né le atmosfere della pellicola, né a valorizzare le influenze dell’opera di Dan Simmons. Il contributo di Giovanni Eccher in sceneggiatura, da parte sua, finisce per dare una dimensione quasi mystèriana a Dylan.
Dylan Dog, in trasferta artica nella regione del Nunavut, è intento a far luce su alcuni brutali e apparentemente inspiegabili omicidi. Questa componente investigativa risulta pretestuosa per esplorare prima le tematiche ambientaliste e poi i miti e le filosofie della mitologia inuit. Eppure il tema ambientale viene smaccatamente sciorinato nella più banale e reiterata delle situazioni. Si badi bene, tale attenzione alle tematiche ambientaliste è sicuramente interessante e in linea con il personaggio, ma diviene qui così retorica e futile da non produrre alcun risultato degno di nota, finendo per riproporsi in maniera tanto naif da risultare stantia.
Anche l’affascinante esplorazione dei miti inuit (il Tuunbaq ripreso da The Terror), seppur interessante, rimane poco intensa e non permette una sua reale esplosione di forza all’interno della dinamica del racconto: il terrore che lo spirito del Tuunbaq dovrebbe imprimere alla trama avrebbe dovuto essere dirimente per il climax dell’avventura.
La storia, comunque, scorre grazie ad una sceneggiatura di mestiere pur senza emozionare, finendo per tenersi in piedi – più che per la curiosità dello svelamento del giallo (abbastanza telefonato) – quasi esclusivamente per i disegni di Marco Nizzoli che amplificano l’idea, questa sì interessante, del bianco e della neve come luogo / situazione di silenzio assordante in quella che è una declinazione artica riuscita del celebre claim “nello spazio nessuno può sentirti urlare”.
Così, tra citazioni di Jack London e la poesia di Edgar Alan Poe come trait d’union (forzato) del racconto, quello che ci viene proposto è un horror che non spaventa, una riflessione sull’ambiente che non smuove gli animi, un dramma familiare che non fa entrare in sintonia con i personaggi e una cultura inuit che non affascina come vorrebbe.