Trentennial Park
Il Mondo di Rat-Man

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Presentato in anteprima a Lucca Comics & Games 2024, è arrivato anche nelle edicole Trentennial Park, il numero speciale di Rat-Man per le celebrazioni del trentennale della Panini Comics.

Soffermarsi a parlare del più improbabile dei super (?) eroi è impresa gravida di periglio e di tempo estorto; più intrigante appare invece soffermarsi su un aspetto che – almeno per chi scrive – è balzato chiaro agli occhi solo ora.
Rat-Man ha concluso da tempo la sua cavalcata “ufficiale” nel mondo dei comics italiani, congedandosi con onore circa una decina d’anni or sono, salvo poi apparire come guest star (sebbene non sempre esplicitamente indicato come tale) in molteplici opere successive firmate Ortolani (al plurale).
La verve comica dell’autore è ovviamente fuori discussione, e la sua cifra stilistica è riconoscibile ovunque: forse proprio per questo, avendo letto per così tanti anni di un Ortolani autore fondamentalmente di Rat-Man, in ogni sua produzione successiva (leggi: nell’ultima decina di anni) è sempre sembrata filtrare la volontà di smarcarsi dal suo pupillo, mantenendo però al contempo praticamente inalterati registri narrativi e modalità di scrittura, sia che si trattasse di personaggi originali, sia nel caso di parodie di opere preesistenti.

Intendiamoci: non si può chiedere ad un autore, per quanto camaleontico, di riuscire a incarnare stili diversi di scrittura: forse solo pochissimi, tipo Alan Moore, sono capaci di tanto. È però lecito aspettarsi che opere diverse inducano e richiedano diverse declinazioni delle proprie capacità e attitudini: a tale proposito si pensi ad esempio a Tito Faraci, capace da un lato di asservire il proprio mestiere alle peculiarità di un personaggio (si veda qui, solo per fare un esempio), ma anche al contrario di punteggiarne il carattere in maniera non convenzionale rispetto al canone classico (è il caso di molte storie in salsa dramedy di Topolino, pur costruite su un impianto di tipo poliziesco).
Da questo punto di vista, Ortolani sembra quasi un attore ingabbiato per anni in uno stesso personaggio, tanto da rendere difficile allo spettatore immaginarlo in un ruolo diverso: è da ricordare il caso di Bryan Cranston, fortemente voluto da Vince Gilligan per il suo Breaking Bad e inizialmente osteggiato dai produttori, che invece avevano dell’attore la sola immagine di “papà buffo” nella sitcom Malcolm in the middle.

Ecco: Ortolani è un Cranston che non ce l’ha (completamente) fatta, a differenza dei suoi dinosauri. In ogni sua produzione post-Rat-Man è stato praticamente inevitabile per il lettore ricercare Deboroh, Arcibaldo, Cinzia e compagnia cantando, fenomeno tra l’altro alimentato dal fatto che i suoi personaggi sono sempre stati rappresentati come varianti dei character originari presenti nelle storie del ratto, e in più con un tratto grafico assurto – nel bene e nel male – come unico nel suo genere. Unica eccezione a confermare la regola è con ogni probabilità Venerdì 12 che, nascendo anch’esso come parodia di vari generi (ma soprattutto essendo coevo delle prime fasi di vita editoriale di Rat-Man), è emerso con una potenza che quasi rivaleggia con quest’ultimo. Le due graphic novel incontrate su Cinzia e Bedelia testimoniano da par loro la connessione tra questi due masterpieces.

Se quindi si dà per buona la tesi dell’autore rimasto incastrato nel suo personaggio, tornare in maniera “ufficiale” a leggere una storia di Rat-Man significa rituffarsi in una comfort zone a lungo, lunghissimo anelata. Per questo stesso motivo si è disposti a perdonare qualsivoglia debolezza in sede di trama, cosa che altrove verrebbe invece additata che manco Game of Thrones. Da un punto di vista strettamente tecnico, abbiamo un’ennesima parodia – stavolta tocca a “Jurassic Park – declinata in una chiave talmente volutamente meta-testuale che quasi la figura stessa del nostro risulta vagamente pretestuosa – sebbene ciò non sia poi tanto infrequente in operazioni come questa.

Anche qui, soffermarsi su Plazzi/Attenborough, o Pratt/T-Rex sarebbe solo un esercizio accademico; come anticipato, invece, Ortolani si fa forte della sua libertà di movimento per pestare a fondo sull’acceleratore della “critica sociale” che tanto gli viene bene sin dai tempi del Ragno, infilandosi per l’ennesima volta in prima persona in un gioco di specchi e rimandi (e anche clonazioni, a questo punto) che ci fa rendere conto di come è l’autore stesso a non avere la volontà/la necessità di differenziarsi, perché è in fin dei conti una sorta di apripista così come – in tempi e modi diversi – sarebbero stati Gipi e Zerocalcare, e di contro così come mostri sacri come Eisner o Pratt (appunto!) sono stati prima di lui.

È un campionato a parte, dove la squadra che vince non si cambia, anche se il colore della casacca, o quello dello stadio, cambiano per esigenze legate a logiche altre. A riprova di ciò, il tocco da maestro è la sequenza finale, che riprende a aggiorna quella piccola gemma de La storia finita, che segnava un primo traguardo (ma con meno fanfare) circa una ventina di anni fa.
Se cerchiamo Rat-Man, cerchiamo Ortolani. Se cerchiamo Ortolani, troviamo Ortolani (al plurale) e il suo universo immaginario che, come quello reale, si espande pur non prescindendo da alcuni punti di riferimento.

È vero o non è vero allora che i nostri muscoli sembra siano sempre sul punto di flettersi?
È quello che vogliamo, dunque? È quello che ci meritiamo? O è più prosaicamente quello che ci illudiamo di aspettare?

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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