La Passione di Rat-Man

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Inevitabilmente, avendo recuperato il pezzo esegetico di Daniele su quella che resta una delle quadrilogie più pregne prodotte da Leo Ortolani, occorre ricordare l’articolo da cui iniziò tutto.
Quindi, ecco a voi, “La Passione di Rat-Man”

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I Sacrificabili

Tutto ebbe inizio così, con una mail in una sera di maggio:

ho appena finito di leggere l’ultimo Rat-Man… in realtà ho appena finito di leggere per la QUARTA volta in circa 4 ore l’ultimo Rat-Man. Ho intervallato il tempo tra una lettura e l’altra a chiedermi: “Ma chi glielo fa fare?”.
Ma chi glielo fa fare a Leo Ortolani di rischiare di essere messo all’indice quando poteva fare quelle belle storie di una volta che si rideva tanto HAHAHAHAHA (cit.)?
Se fosse solo per avere successo, probabilmente gli ci vorrebbe molto meno impegno.
Se fosse solo per i soldi, basterebbe aumentare un po’ il merchandising di Rat-Man: fai come Lupo Alberto e Jovanotti e guadagni solo dei biglietti di auguri e della SIAE che t’arriva per ogni matrimonio in cui il tastierista canta “Serenata Rap”.
Se fosse solo per avere notorietà con provocazioni gratuite… beh, ci sarebbe stato bisogno di molto meno.

E invece…

E invece ha scodellato 60 pagine di un fumetto che trasuda talmente tanta azione tamarra che ad un certo punto mio cuggino ha dovuto uscire a sconfiggere a mani nude un reparto scelto di agenti del KGB per non sfigurare. E se non avesse indossato le manone di gommapiuma del Topolino di EuroDisney per aumentare la difficoltà, mi sa che sfigurava comunque…
E invece ha scritto 60 pagine talmente piene di gag che dopo quattro ore che ho la bocca piegata in un sorriso, mi hanno ricoverato pensando che ho avuto un ictus (il che non depone molto a favore del mio sorriso, ammetto…).
E invece è riuscito per 60 pagine a raccontare qualcosa (non tantissimo, ma nemmeno poco) della figura immensa di Gesù mettendo sul ridere solo le piccolezze di coloro che lo seguono senza una vera decisione.

E la cosa più difficile da credere è che le pagine, alla fine, sono solo 60, mica 180…

Insomma, alla fine l’unica risposta che mi viene in mente, è che nessuno gliel’ha fatto fare. Del resto, anche Caparezza, che è credente, perchè poi si va a crear problemi con pezzi come “Il dito medio di Galileo”, “Sogno Eretico” e “Messa in moto”. Brutto dirlo, ma nel periodo sfortunato in cui viviamo, se voleva scandalizzare, far ridere e tirar su quattrini, gli bastava andare a “Porta a Porta” e cantare una canzone sulle flautulenze. Ed invece Caparezza deve fare Caparezza ed Ortolani deve fare Ortolani… mica facile essere al servizio del proprio talento.

Non è consuetudine di questa testata rivelare troppo dei retroscena che stanno dietro alla costruzione di un articolo, ma era impossibile, nel rendere omaggio all’ultima opera del “più grande autore Marvel vivente”, non citare il puro, sincero, stupore che aveva colto non solo chi scrive ma lo staff tutto di uBC alla lettura del terzo numero della quadrilogia dei “Sacrificabili”.

E qualcuno morirà

Di fronte alla morte.
Il sermone del Colonnello Angelo

Così inizia la saga dei Sacrificabili. Soldati scelti. Persone che la guerra ha trasformato in bestie. Uomini che di fronte ad un bivio hanno scoperto che una strada era sbarrata e l’altra pure. Mercenari con un sogno. Criminali condannati a scendere là in fondo, là dove qualcosa del mondo si è rotto e qualcuno deve andare a ripararlo, non importa a che prezzo.
Guidati dal Colonnello Angelo vogliono riprendere alla morte il loro commilitone.
Solo i migliori, solo i sopravvissuti possono far parte di questa missione: Bum Bum il più spietato, Dillon il sergente addestratore, Chat Morris la leggenda vivente e… e poi c’è il Negro muscoloso che poi fa una brutta fine.

Alla squadra manca un solo componente. Ha lasciato, non uccide più e vive assieme al Crocefisso: Ratto, il secondo uomo ad entrare nei Sacrificabili.
Ma la natura di un uomo non si cambia (e neanche quella di un Lemmings o del Cane Inutile Norvegese… ma questa è una questione secondaria) e ben presto la squadra sarà completa e pronta ad affrontare La Morte con l’aiuto dell’unico uomo che l’abbia mai sconfitta: Gesù.

I Dimenticati

Questo è quanto Leo Ortolani ci racconta in quattro volumi, dal numero 82 al numero 85 di Rat-Man.
Nella sua lunga serie di parodie cinematografiche, Ortolani ha normalmente tenuto due approcci.
In un caso ha mantenuto l’impianto narrativo originale e lo ha fatto interpretare al suo personaggio che, in quel caso non era “IL Rat-Man” ma “un Ra-tMan”; stiamo quindi parlando di Star Rats, Il Signore dei Ratti, 299 + 1 e Avarat.
All’estremo opposto si collocano le parodie di cui l’interprete è “IL Rat-Man” e l’impianto narrativo originale viene stravolto di conseguenza: ricordiamo con piacere Rat Max, il ciclo de La Fuga di Rat-Man e la storia che iniziava il ciclo narrativo terminato con questa quadrilogia: Ratto.

Il filo rosso che accompagna queste narrazioni è molto simile: Rat-Man è bloccato, separato forzatamente dalla sua natura di personaggio, strappato alla sua città. Che sia a causa di un incidente, di una prigionia o di un viaggio organizzato (forse la situazione peggiore), contrariamente ai personaggi delle “semplici” parodie, in questo caso Rat-Man è sicuramente lui e nel contempo non può essere lui. Qualcosa è stato spezzato.
Così Leonardo Ortolani inscena l’ennesima, sofferta, resurrezione del suo personaggio.
Prima obbligandolo ad espiare le sue colpe, a mostrare tutta la sua mediocrità, come del resto non ha mai mancato di fare.

Ma se facesse solo questo, alla fine ci troveremmo di fronte ad una narrazione di scarso valore, invece Ortolani “pesta duro” su due fronti che apparentemente sarebbero incompatibili.
Da una parte attinge ai miti dei film d’azione, orrore di ogni critico snob.
Con precisione fotografica, più che caricaturale, ci mostra il Silvester Stallone di Rambo, uno Steven Seagal in grande spolvero (nonostante i kili di troppo), un Chuck Norris uscito direttamente dal sito “welovechucknorris”.
Scomoda persino i grandissimi del genere proponendo una tripla citazione di Clint Eastwood, armato della stessa risoluzione di Walt Kowalsky il roccioso pensionato di Gran Torino, con lo stesso disgraziato carattere di Frankie Dunn l’allenatore di Million Dollar Baby ma dotato dell’autobus corazzato di L’uomo nel mirino.

Steppan Dranjavic
Il primo dei dimenticati!

Ovviamente anche i “cattivi” non sono da meno: abbiamo un implacabile Arnold Schwarzenegger direttamente uscito dalla giungla di Predator nei panni del primo dei Sacrificabili e primo anche dei “Dimenticati”, coloro che commisero atti talmente orribili da dover essere cancellati persino dai Sacrificabili.
Al suo seguito abbiamo un Jean Claude Van Damme, qui rinominato come Bel Pupone e, di fatto, distrutto ferocemente da Ortolani, che lo dipinge come iroso, invidioso, superficiale e inetto… non sta a noi giudicare, ma effettivamente non è che la filmografia del palestrato kickboxer aiuti a rivalutarlo.
La vena surreale di Ortolani poi si dispiega negli altri due “malvagi”, da una parte Godzinga il mostro di gommapiuma che terrorizza da decenni i giapponesi, dall’altra il Grande Jim, amico di mille avventure, ma falso e plasticoso.

Lo scontro tra le due parti non risparmia nessuno dei clichè del genere, dal cattivo che prende in ostaggio la famiglia del buono, allo scontro “uno contro uno e senza armi”, il tutto però rivisitato dall’umorismo spietato che conosciamo.

Battaglia a Gerusalemme

Ma è sul secondo fronte che, forse, Leonardo Ortolani combatte una grande battaglia senza esclusione di colpi. Il fronte “alto”, forse il più alto che si possa toccare in un’opera, quello della religione.
Come premettevamo nello scritto di genuino stupore che apre questa recensione, Leonardo Ortolani è un cattolico praticante. Che in questa lunga narrazione fa quello che, a memoria, in Italia aveva fatto solo Giovannino Guareschi, altro scrittore umoristico di grande cuore: mette in scena Gesù.
Se vogliamo qui la differenza tra Ortolani e Guareschi è che il secondo chiariva che Gesù non era “quello vero” ma la voce della sua coscienza, su cui nessuno aveva diritto di dire, il primo invece fa chiarire da uno sconcertato Ratto che “è proprio lui”, ma chiarisce anche che la voce della sua coscienza è e resta Rat-Man.
Ed è tramite il suo personaggio che Ortolani ci dipinge la reale difficoltà, la completa inadeguatezza, con cui una persona comune si confronta con Gesù Cristo.
Come sempre il ritratto è feroce e partecipato: da una parte Ortolani non risparmia staffilate al vetriolo ai ritualismi che svuotano il vivere la religione di significato, nè al volontario perdersi dietro a distrazioni mondane allontanandosi da una fede avvertita a volte come “ingombrante” e “esigente”; dall’altra partecipa alla decisione sofferta di Ratto di far sì che il sacrificio di colui che, davvero, si sacrificò per tentare di riparare il mondo avvenga. Perchè se no niente avrebbe più senso.

Rat-Man, uomo di fede…
ma senza esagerare, eh!

Ed il nero muscoloso che poi fa una brutta fine?

Non abbiamo ancora finito. Restano le conclusioni e poi ve lo diciamo.
Ma concludere non è per nulla facile.
Restano di questa storia frasi epiche che bucano il foglio di carta come le frasi di un duro da film d’azione bucano lo schermo e le ripeti ai tuoi amici per giorni.
Resta la commistione pseudostorica da film d’azione di serie Z, in cui il capo del Sinedrio Caifa viene dotato di vesti di velcro, così che possa stracciarsele per l’indignazione e la rabbia a ripetizione senza disturbare il sarto, o il Bus corazzato che attraversa la Gerusalemme sottomessa dai romani, o sempre Caifa che, ad una radio da campo, credendo di parlare a Gesù, chiede “Dacci le tue coordinate, che veniamo a prenderti.” e dall’altra parte è John Rambo a rispondergli: “Caifa. SONO IO CHE VENGO A PRENDERTI!” .
Restano il rispetto e la passione che dalle pagine escono e si fanno percepire dal lettore, che non dimenticherà tanto facilmente quello che ha letto e quello che ha pensato.

Ah! Giusto.

E che fine volevate facesse…

 

Luca Cerutti

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