Martin Mystère n.414-415
L’indignato di Pietroburgo

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Diciamolo subito: quello che maggiormente salta all’occhio in questa nuova fatica a firma di Eccher è l’eccessiva disinvoltura con la quale lo sceneggiatore fa interagire il BVZM con l’FSB (ex-KGB) e con un oligarca russo, sfiorando non poche volte in entrambi i casi i confini del macchiettismo.

Va bene il conflitto – doverosamente riportato in un paio di passaggi; va bene che il clima sovietico difficilmente può scrollarsi di dosso l’immagine che i media (non sempre a torto) gli hanno cucito nel tempo addosso, ma non sono pochi i luoghi comuni vetero-anni ‘80 che sembrano perdurare nelle due parti di cui si compone la vicenda. Per questi motivi, la pretesa di realismo di cui la testata ha sempre fatto vanto rovina clamorosamente, inducendo il lettore a chiedersi più di una volta come Martin l’abbia potuta fare franca, se si volesse tener conto del modo con cui si comporta con individui di una certa risma. Ancora una volta, va bene la rabbia che emerge nell’apprendere del destino della sua amica Nastja – quello sì, davvero triste e crudele – ma gettare il proprio sarcasmo e la propria indignazione in faccia a chi ti punta una pistola contro non è la più brillante delle sue trovate.

Al netto di ciò, il mystero che ruota attorno alla “camera d’ambra” fatta costruire dalla principessa Sofia Carlotta di Hannover non è privo di derive interessanti. Senza voler entrare troppo nei particolari, va però ammesso che al tema del confronto tra ciò che è reale e ciò che è illusorio non viene dato il giusto peso nell’economia della storia: partendo dal mito di Narciso per arrivare a Stuart Turton, passando per Philip K. Dick, gli interrogativi in merito si sprecano: cosa accade quando due esseri perfettamente uguali si confrontano, l’uno di fronte all’altro? La coscienza è una, bina o molteplice? Chi è il “doppio” ha davvero coscienza di esserlo? Ciò quali implicazioni (pratiche/etiche/morali/etc.) comporta? Quali sono i confini del concetto stesso di “verità”?

Eccher accarezza sì queste riflessioni ma, come si diceva, propende alla fine per una risoluzione della vicenda che ricorda più da vicino, per certi versi, il finale di Contrappunto, scherzo e fuga, senza contare l’ennesima dea-ex-machina (stavolta senza fucile) che si degna di interagire con gli astanti. Il finale della vicenda, poi, appare assai raffazzonato, con spiegazioni chiaramente tirate via per approdare in qualche modo alla conclusione di rito.

L’ordito grafico si dipana su binari consolidati, e nonostante la sceneggiatura prevedesse un paio di sequenze più d’azione la regia si è mantenuta nel complesso sul mestierante andante. Accanto a ciò, è un peccato che sia proprio la qualità delle tavole a non essere spesso all’altezza: Michela Da Sacco, giovane autrice ma già versata in casa Bonelli, sembra posizionarsi sulla scia di Paolo Ongaro – o almeno della sua produzione dell’ultima ventina di anni – proponendo delle fisionomie dei personaggi non sempre all’altezza. Con specifico riferimento ai characters principali, Java è l’unico a mantenere una coerenza grafica e recitativa, ma lo stesso non si può dire di Martin, e men che meno per Diana, mal caratterizzata pur nelle poche pose in cui compare. Per il resto, il tratto è abbastanza netto, con un limitato uso di mezze tinte qui e là che però non fa la differenza.

Tralasciando quindi il trito e ritrito mantra sul “non è rimasto ormai granché su cui argomentare”, Eccher si dimostra comunque capace di condurre la barca in porto, producendosi stavolta in una vicenda che per certi versi riecheggia anche Il grande gioco. Rimangono le perplessità già espresse, relative al comportamento di Martin e al tema del “doppio”: laddove in alcuni momenti i due spunti sembrano finalmente convolare, l’aspetto action provvede a smorzare il tutto, e ciò che avrebbe potuto essere rimane solo un riflesso che scompare come il giovane amore dell’architetto Rastrelli.

P.S.: simpatico quanto involontario divertissement tra i titoli delle seconde parti di questa storia e di quella precedente. Lì erano anime, ma digitali. Qui sono “solo” immagini, però viventi. Vogliamo approfondire la questione? #maancheno.

Martin Mystère n.414 “La camera d’ambra”
Martin Mystère n.415 “Immagini viventi”
di Giovanni Eccher e Michela Da Sacco
16x21cm, 96 pagine, b/n, 4,90€ cad.
Sergio Bonelli Editore, Agosto – Settembre 2024

Oscar Tamburis

Da sempre convinto sostenitore della massima mysteriana "L'importante non è sapere le cose, ma fare finta di averle sempre sapute"

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