Blue Giant
di Shinichi Ishizuka

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L’annuncio dell’uscita tra poco meno di un mese, il 6 marzo, nelle sale cinematografiche francesi (per quelle italiane non è dato sapere) del film d’animazione giapponese Blue Giant, diretto da Tachikawa Yuzuru (regista nominato agli Anime Awards per le serie Mob Psycho 100, 2016-2022 e Deca-Dence, 2020), fornisce l’occasione di soffermarsi sul manga dal qual è tratto, l’omonimo Blue Giant scritto e disegnato da Shinichi Ishizuka (premio Shogakukan 2016 e Japan Media Arts Festival l’anno successivo, senza contare le due nomine al Festival d’Angoulême nel 2019 e quest’anno), il cui secondo arco narrativo (su quattro) è attualmente in corso di pubblicazione in Italia per i tipi di J-POP Manga.

La storia segue i primi passi di Day Miyamoto, giovane liceale giapponese nativo della “provinciale” Sendai (quasi due milioni di abitanti, ma l’ambientazione non è tokyoita – e il dettaglio ha una sua importanza,) che dopo aver ascoltato per puro caso del jazz grazie ad un amico di uno dei club che strutturano il doposcuola nipponico, decide di diventare nientepopodimeno che… il miglior sassofonista di jazz al mondo.

Trova allora un maestro e fonda un trio che arriva alle soglie di un riconoscimento locale e nazionale (primo arco narrativo, Blue Giant) ; decide però di lasciare tutto e di confrontarsi con la dura realtà del musicista andando in Europa, dove fonda un quartetto assieme a coetanei di diversa nazionalità e cultura, anche musicale (tedesca, polacca e francese), realizzando – dal punto di vista musicale – un amalgama che porta l’ensemble a prodursi nei più grandi festival continentali (secondo arco narrativo, Blue Giant Supreme); ma nuovamente lascia tutto per andare laddove tutto è nato e dove, forse, si compirà il suo destino, gli USA (Blue Giant Explorer, inedito in Italia; un quarto arco narrativo, Blue Giant Momentum, è attualmente in corso in Giappone).

Tramite una felice scelta narrativa, sappiamo sin dal primo tomo che Day riuscirà nel suo intento: ogni volume si conclude con una breve intervista temporale avanti negli anni nella quale, a mo’ di documentario, amici, musicisti o semplici passanti raccontano ciò che significò l’incontro – anche passeggero – con Day, nel frattempo divenuto una celebrità mondiale. Il tema, cioè l’emancipazione e la riuscita individuale tramite il “sacrificio” della collettività (Day impara a lasciare tutto, dagli amici alla famiglia, ai musicisti con i quali suona assieme), benché diametralmente opposto al diktat di una società come quella giapponese dove l’individuo letteralmente si fonde all’interno di un obiettivo comune, è ricorrente sia nei manga che negli anime. Inoltre, il tratto di Ishizuka non si distingue dalla produzione in corso. La novità, narrativa e grafica, risiede piuttosto nella maniera di rappresentare visivamente la musica: i suoi effetti, il suo impatto, la sua energia.

La musica non è certo un mondo estraneo al fumetto, poiché i personaggi di carta suonano e cantano da sempre; tanto per rimanere in tema, basti pensare al balletto-pantomima jazz di Krazy Kat (1922). Non mancano poi biografie di musicisti: Reinhard Kleist ha raccontato i tormenti di Johnny Cash e Nick Cave, Regis Penet l’aura romantica di Beethoven, in area manga Yoji Fukuyama ha trasposto Mozart al femminile, mentre in àmbito bonelliano la foresta di Darkwood è stata tradotta musicalmente dal rocker romano ed esegeta zagoriano Graziano Romani (senza dimenticare le “mysteriose” storie musicali recentemente raccolte nell’antologico Musica, Maestro! di Martin Mystère).

Sono questi rapidi esempi di una produzione ben più vasta. Ma altro è rendere visualmente la musica… e difatti, al massimo si ritrae lo strumento accompagnandolo con un estratto di spartito musicale (si vedano le “riflessioni” al clarinetto di Dylan Dog).

Ai miei occhi, solo Gipi è riuscito a rendere l’energia disperata e piena di vita di quattro adolescenti che si spolmonano in una sala prove (Questa è la stanza, 2005, Premio Micheluzzi 2006 come miglior disegnatore). Ishizuka va oltre, e non sembri un’eresia. Non si vuole qui mettere in discussione il maestro riconosciuto che è Gipi (appunto) e l’officiante che resta Ishizuka.

Eppure quest’ultimo, applicando le “classiche” linee cinetiche giapponesi non all’azione ma al concerto, riesce là dove gli altri si fermano: a trasmettere tutta l’energia della musica, a farla letteralmente “sentire”.

Non so dire se altri l’abbiano preceduto, la mia conoscenza non mi permette di affermarlo con sicurezza. Ma l’effetto è lì. In un sapiente gioco di inquadrature, pur inframezzate e a volte appesantite da riflessioni sul suono e sul ritmo che mai un musicista potrà fare pena perdere concentrazione e iterazione musicale, Ishizuka passa dal dettaglio a quadri generali, dal palco al pubblico, e ci restituisce tramite le linee cinetiche la magia di suonare e di ascoltare musica.

Le pose di Day fanno immaginare assoli capaci di riunire in una sola improvvisazione Charlie Parker, Ornette Coleman, Sonny Rollins e John Coltrane (!). Il trailer del film, sapientemente dosato, promette di tradurre tutto questo in realtà, grazie alla scrittura e al suono di Hiromi Uehara (composizione e arrangiamento) e Tomoaki Baba (sax tenore), astri consolidati della scena jazz nipponica.

Blue Giant, il manga, ha suscitato in Giappone un rinnovato interesse per il jazz: almeno sulla carta, per quanto ci riguarda, Day Miyamoto ha già realizzato il suo sogno.

Vasco Zara

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