Nel titolo Randagi troviamo l’essenza stessa del manga di Keigo Shinzo: la parola riesce definire la condizione esistenziale dei due protagonisti.
Il randagio è colui che non ha né famiglia né una casa, costretto a vivere la vita in un limbo di sofferenza. I due protagonisti sono il vice ispettore Yamada e la piccola Shiori: entrambi, per motivazioni diverse, vengono abbandonati dal mondo. Diventano due anime erranti in una società che sa soltanto sfruttarli.
A cambiare l’esistenza di questi due personaggi sarà il loro incontro casuale e fortuito. Non è facile per i due avvicinarsi e legare, a causa della grande sofferenza causata dal loro passato. Col tempo, però, impareranno a rimarginare le proprie ferite, stringendo contemporaneamente un legame sempre più forte. A completare questa incalzante metafora sui randagi è la piccola gattina Gara, l’unica certezza nella solitudine della piccola Shiori: nel momento in cui vede soffrire la gattina, la ragazza si rivede in quel piccolo animaletto perché entrambe sono nella stessa identica condizione.
Shinzo mette in scena questa storia con grande delicatezza, raccontando momenti che riescono a riscaldare il cuore del lettore strappandogli un caldo sorriso e restituendo un senso di dolcezza, anche grazie al suo stile morbido e leggero.
Allo stesso tempo, però, tratta anche tematiche molto difficili e forti, come in alcuni flashback in cui mostra il passato dei due protagonisti. In questi casi il disegno cambia completamente, il nero diventa preponderante nella tavola e le linee diventano sempre più spesse e marcate, portando il lettore in una dimensione ansiosa e scioccante.
A fare da contorno alla storia tra l’ispettore e la ragazzina, Shinzo aggiunge una sferzante critica alla società giapponese. Il bersaglio più importante di questa critica è la gestione del sistema di protezione dei minori, un’organizzazione sovraccarica per i troppi casi di minori che vivono in condizioni difficili, di cui lo stato sembra non rendersi conto, costretto quindi a dover ignorare i ragazzini più grandi per aiutare quelli più piccoli.
Anche la polizia non ne esce bene, per via dell’insabbiamento dei crimini di uomini con i ruoli più importanti e dimostrando così la grande differenza all’interno dell’organizzazione, che dovrebbe invece occuparsi di proteggere le persone.
Il finale è molto toccante. Rispetto alla conclusione sperata dai lettori, quella scelta da Shinzo è più sincera. Interessante la scelta dell’ultimo capitolo di seguire una reporter che studia il caso qualche anno dopo gli avvenimenti: questo espediente riesce a portare un punto di vista apparentemente oggettivo e permette di vedere l’evoluzione dei personaggi nel futuro.
Shinzo crea un’opera autentica e schietta, una vera e propria montagna russa tra tristezza e felicità. Riesce nell’intento di far emozionare i lettori pur rimanendo molto reale. Il mangaka porta alla ribalta delle persone, i randagi, dimenticati dal mondo intero: una denuncia efficace ad una società sempre più cieca e corrotta in tutti i suoi aspetti, in primis verso i poliziotti e gli assistenti sociali che dovrebbero proteggere i minori da situazioni così drammatiche. Una piccola perla nel panorama manga giapponese.