Classici di Walt Disney I Serie n.57
“Paperinik il diabolico”

Le storie degli anni '70 che hanno creato il mio immaginario fumettistico

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Da ragazzino, non stravedevo più di tanto per i fumetti Disney: il Topolino settimanale mi sembrava infatti troppo “pieno” di pagine extrafumettistiche, con articoli e rubriche che il più delle volte saltavo a piè pari. Questo non mi impediva, naturalmente, di leggerlo grazie agli scambi continui di giornalini tra il sottoscritto, Butch Walts e i nostri compagni di classe (i fratelli maggiori erano già “troppo grandi” e ben più interessati ai tascabili per adulti della Edifumetto che a topi e paperi…), tanto è vero che nel prosieguo di questa rubrica segnalerò alcune storie che mi sono rimaste impresse.

Discorso diverso, invece, per i Classici di Walt Disney, veri e propri mallopponi contenenti SOLO fumetti – parzialmente in bianco e nero – in cui venivano ristampate storie legate da una cornice (spesso sceneggiata da Gian Giacomo Dalmasso e disegnata da Giuseppe Perego, come nell’albo di cui parlerò in questa Short Review).

Vista la mia predilezione per Paperino e il suo alter ego Paperinik, che gli permetteva di prendersi qualche bella rivincita contro i parenti e la sua cronica sfortuna, questo Classico mi entusiasmò: vi erano infatti raccolte quattro delle prime storie dell’eroe mascherato, a partire naturalmente dall’epocale esordio Paperinik il diabolico vendicatore firmato da Elisa Penna & Guido Martina e disegnato da Giovan Battista Carpi.

CHIUNQUE l’abbia letto ricorda ancora oggi, dopo oltre cinquant’anni, la “disgustosa ostentazione di plutocratica sicumera” e altri passaggi politicamente scorrettissimi contenuti in due pirotecniche tavole consecutive (Paperino incapace di “derubare un sordomuto cieco e paralitico”, zio e nipote che si malmenano al grido di “Dentro, spazzatura” e “Fuori, iettatura”…), prima di essere talvolta attenuati nelle successive ristampe.
La carica eversiva di questo personaggio era strabordante, genuina, apprezzatissima dai lettori: peccato che si sia persa presto per strada, a favore di una “normalizzazione” rassicurante ma troppo spesso anonima.

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