Io con il signor Ryoichi Ikegami ho un problema…
O, meglio, io con il signor Ryoichi Ikegami avevo un problema, ma ora, grazie a Trillion Game edito per l’italia da Star Comics, il problema non lo ho più.
Ed è a ben pensarci una cosa non da poco se consideriamo che Ryoichi Ikegami è forse uno dei nomi più longevi a campeggiare nel panorama del manga stampato in Italia, forse addirittura il più longevo in assoluto, se si considera che il suo Crying Freeman venne pubblicato dalla Granata Press nel 1986, ad appena un anno dall’azzardato esperimento di pubblicare “a volto scoperto” manga per ragazzi che non fossero “ricolorature” legate alle serie televisive di successo.
Quando cominciarono a cadere quelle prime gocce che poi sarebbero diventate un fiume in piena, Ikegami c’era.
Ed io, che c’ero anche, ebbi da subito un problema con lui. Non mi piaceva.
Certo al tempo ero un imberbe liceale che quello che voleva dai manga erano le botte, le ‘splosioni, le pose ganze e le ragazze bellissime e semisvestite, con l’età sono chiaramente cambiato: mi è cresciuta la barba.
Ma anche crescendo, il problema persisteva: Ikegami non mi piaceva. Nonostante i fisici apollinei rappresentati con dettaglio anatomico inappuntabile, le ‘splosioni, le pose ganze sparate da personaggi “larger than life” appartenenti, quasi sempre, alla “faccia oscura” del Giappone e le donne bellissime non raramente completamente nude, non mi piaceva.

L’impressione che avevo è che Ikegami non si divertisse a fare quello che faceva. O non si divertisse quanto avrebbe dovuto. Il suo tratto di disegno era inappuntabile, apollineo come dicevo, ogni tavola sembrava disegnata a tecnigrafo ed ogni personaggio uno studio scultoreo. Conseguentemente mi sembrava freddo, accademico.
La cosa non migliorava più di tanto con le sceneggiature che sceglieva di rappresentare (Ikegami lavorerà sempre su testi altrui) molto spesso tendenti al melodrammatico e quasi più in linea con la rigida gabbia espressiva delle opere televisive o cinematografiche “popolari” del Giappone. Non a caso le sue opere più rappresentative sono le storie ambientate, come si diceva, nella società parallela della malavita, con protagonisti criminali pronti a morire per onore e per amore ed in cui l’umorismo è accettato sì, ma come alleggerimento rigorosamente dosato.
Insomma, nonostante non possa certamente permettermi di giudicare 66 anni di carriera dalle poche opere arrivate in occidente, secondo me Ryoichi Ikegami una risata non se la faceva quasi mai.

Questo, appunto, fino a Trillion Game. Fin dalla copertina mi trovai a pensare che questo era un Ikegami diverso.
Il tratto più grezzo, il mezzo sorriso ironico del protagonista, il titolo stesso. Trillion Game da subito mi ha fatto pensare ai film con Paul Newman: Il Colore dei Soldi, Lo Spaccone e La Stangata e, sebbene ambientazione e storia siano diverse, di temi in comune ce ne sono.
I protagonisti in questo caso sono Haru e Gaku, apparentemente la coppia più malassortita del mondo: amici fin dal liceo, compagni di Università ed ora a caccia di impiego, sono il primo un atletico fanfarone di enorme carisma ed altrettanto enorme leggerezza, imbonitore donnaiolo e giocatore d’azzardo; il secondo è un remissivo nerd tanto preciso e dotato nel maneggiare strumenti informatici quanto codardo e socialmente inetto.

Eppure sono amici per la pelle all’inseguimento del sogno più ambizioso nel mondo moderno: guadagnare un trilione di dollari con le loro sole capacità. Convinti l’uno e l’altro di essere “l’uomo più egoista del mondo”.
A bloccare loro la strada, abbastanza ovviamente, si erge in tutta la sua potenza la Dragon Bank, l’entità che domina la finanza giapponese come un capomafia domina i suoi adepti, personificata letteralmente in Kirihime (lett. Principessa Kiri), talentuosa figlia del proprietario della banca ed immediatamente attratta da due “della sua stessa specie”.
Su questo soggetto classico, non lontano dalle sue corde, Ikegami preme sull’acceleratore come mai prima ed attinge a tutto l’armamentario filmico, fumettistico e televisivo che si può immaginare per rappresentare una commedia del successo che arriva direttamente dagli anni di Il Segreto del mio successo e Una Poltrona per due: frenetici montaggi muti, monologhi motivazionali, ribaltamento dei ruoli e primi piani su primi piani di facce esasperate, determinate o semplicemente sceme; riempiendo la scena di alleati ed antagonisti fuori dalle righe quanto i protagonisti.
Merito indubbio di Riichiro Inagaki, già alla sceneggiatura del rodomontesco Dr. Stone disegnato da Boichi, che anche in questo caso si diverte a mettere in bocca ai personaggi dialoghi eccessivi e quasi imbarazzanti nella loro quasi totale mancanza di senso comune, compensata da una fiducia abnormale in sé stessi. Questo mentre scienza e tecnologia, un po’ come in Dr. Stone, diventano comodi sgabelli o alti trampolini asserviti al compito di far saltare ai due protagonisti ogni ostacolo gli si pari davanti.
Insomma, è impossibile leggere Trillion Game e non immaginare nella distanza il chiacchiericcio serrato dei due autori che si descrivevano le situazioni, divertendosi un mondo.
E noi, per una volta, con loro.
Se volete rinfrescarvi la memoria sulla sesantennale carriera di Ryoichi Ikegami, qui la nostra scheda.