Chiarendo subito le cose: Hiromu Arakawa è sicuramente la mia preferita tra i mangaka shonen. Nonostante tre decenni (quasi quattro) di piacevole frequentazione, di tutto quello che ho letto nel campo “fumetto d’avventura per ragazzi”, niente è ancora riuscito a superare FullMetal Alchemist.
Sicuramente ci sono stati manga più carichi di carisma (One Piece), altri più potenti nella gestione dell’azione (History Strongest disciple Kenichi) e altri ancora più forti nel dare spunti di riflessione sul relativismo dei nostri valori e sul fatto che non bastano amicizia e sogni a renderti automaticamente giusto (ahahahah… no, qua non me ne viene in mente nessuno!).
Ma se questi sono i componenti che rendono lo shonen un genere che riesce a comunicare emozioni al pubblico, non solo adolescenziale, solo FMA finora è riuscito a spingerli al massimo livello possibile mantenendoli in mirabile equilibrio. Superiore non per eccellenza in un campo, ma per somma delle parti.
È abbastanza ovvio, di conseguenza, che aspettassi con una certa trepidazione la sua nuova opera a tema “ragazzi che controllano mostri e spiriti della tradizione giapponese per combattere altri mostri e spiriti della tradizione giapponese”: Yomi no Tsugai.
Protagonista della storia è Yuru, un “normale adolescente giapponese” di un tranquillo paesino montano in uno stranamente tranquillo medioevo giapponese, il quale passa le sue giornate andando a caccia, attività in cui eccelle, badando ai campi e tenendo compagnia alla sorellina Asa, confinata per decisione del villaggio in una cella-santuario a “svolgere una missione molto importante”.
Trattandosi di uno shonen non passa manco un capitolo che scopriamo che questo medioevo giapponese non è per nulla tranquillo… e non è neanche medioevo.
Il villaggio viene invaso da una squadra di moderni assaltatori con tanto di elicotteri a fornire copertura aerea e due ragazze dotate di poteri sovrannaturali a fornire una “copertura mistica” a suon di corpi macellati.
Yuru sfugge a questo massacro grazie all’aiuto del mercante itinerante Dera che si scopre essere piuttosto bravo a maneggiare armi da taglio, moderne semi-automatiche e granate a mano, ma soprattutto grazie a Destro e Sinistro, i due Sayu, divinità protettrici del villaggio a lui legate da un patto di sangue.
Grazie a loro riesce a mettere in fuga le due misteriose “streghe” anch’esse in possesso di Tsugai, altro nome dato a questi spiriti anche chiamati “esseri in coppia”, ma nello scontro una delle due uccide sua sorella Asa e contemporaneamente si presenta come sua sorella Asa.
Niente è mai semplice per i “normali adolescenti giapponesi”, non importa dove vivano (o credano di vivere).
La trama di Yomi no Tsugai potrebbe chiamare alla mente il mai troppo elogiato Ushio e Tora, ma a tutti gli effetti ci sono differenze significative.
L’opera di Kazuhiro Fujita, infatti, aveva forti richiami al “buddy movie” classico: due opposti che prima non si sopportano, ma costretti alla convivenza da cause esterne si scoprono affini ed anzi complementari. Il protagonista di Yomi no Tsugai e le due divinità locali Sinistro e Destro, invece, sono immediatamente alleati, anzi vincolati da una delle più consolidate forze della tradizione giapponese, l’On, il “Debito Primigenio” che ogni essere contrae ancora prima della sua nascita (non siamo solo noi occidentali ad imbrigliarci con concetti quali il Peccato Originale, a quanto sembra): loro sono al suo servizio ma a sua volta lui si considera un loro devoto.
Qualche decennio dopo Ushio e Tora, insomma, il punto di vista su queste interazioni tra protagonisti umani e non umani sembra essersi disinteressato alla possibilità di conflitto ed aver favorito quasi immediatamente lo scenario di una relazione simbiotica in cui il contatto “regolato” con queste entità è quasi sempre e solo vantaggioso. Dalla serie di videogames Persona a molti manga shonen “esorcistici” recenti (Mononogatari tra gli altri), questo tema sembra essere diventato dominante e sarebbe interessante vedere se vi siano differenze generazionali alla base.
Non sarebbe poi un’enorme sorpresa scoprire che al positivismo che considerava l’occulto una minaccia da domare o quantomeno ammaestrare brandendo la razionalità e i valori umani contemporanei, pochi decenni dopo sia subentrata una visione sfiduciata che considera spiriti e demoni più affidabili (o perlomeno diretti e sinceri) degli altri esseri umani.
Quale che sia l’origine di questo punto di vista, è indubbio che l’approfondimento del rapporto tra “umani e non” viene portato avanti, ma il motore della narrazione diventa abbastanza immediatamente il mistero su cosa cavolo hanno combinato – e stanno combinando – le varie famiglie giapponesi che hanno relazioni con questi Tsugai e che stanno evidentemente combattendo una sorta di “guerra fredda” le cui conseguenze vengono nascoste agli occhi del grande pubblico.
Soprattutto, e qui è uno dei motivi per cui Hiromu Arakawa è una dei mangaka più interessanti non solo all’interno dello shonen: chi siano “i buoni” è fin dal primo volume piuttosto dubbio grazie al fatto che, con grande maestria, dopo l’adrenalinica introduzione la narrazione si premura di farci seguire i diversi percorsi dei due fratelli in maniera fluida e senza rotture, presentandoci alleati e situazioni che sembrano un po’ più complesse di un Ken il Guerriero a caso.
Per tornare al paragone con Ushio e Tora, è un po’ come se Kazuhiro Fujita avesse alleato subito i due e già dal primo volume concentrato la narrazione sugli scazzi tra babbo Aotsuki e le fazioni interne alla setta di monaci esorcisti.
Entrando poi nel dettaglio della sceneggiatura, si percepisce la crescita di confidenza dell’autrice nelle sue possibilità e l’esperienza accumulata macinando successi: laddove FullMetal Alchemist nei primi volumi aveva traccheggiato in avventurette funzionali alla “introduzione ai personaggi ed al mondo”, rischiando di perdermi, in Yomi no Tsugai i convenevoli iniziali vengono sbrigati non nei primi capitoli ma addirittura nelle prime pagine.
Arakawa mostra immediatamente la sua mano, ovvero il tono che vuole dare al racconto, e impone al lettore di starci o abbandonare il tavolo: la descrizione dei personaggi e del contesto arriverà, con i giusti tempi e modi.
Se dovessimo proprio identificare un difetto evidente fin dal primo volume è che come e forse di più che in FullMetal Alchemist, appena si intuisce il livello di potere a cui i “contraenti” degli Tsugai hanno accesso, viene da chiedersi cosa si disturbino ancora ad esistere i “comuni” esseri umani. Gli acquari (cfr. Darth Von Trier de I400 Calci) che Arakawa costruisce per le sue opere shonen fantasy sono sempre bellissimi, vari e con pesci esotici di grande fascino, in cui però i normali pesciolini sono in realtà galleggianti di plastica messi a far scenografia. Ma, davvero, è più una considerazione a posteriori che non qualcosa che possa infastidire durante la lettura.
Da ultimo, il tratto grafico non si collocherà certamente tra i più avvincenti o originali, ma è da decenni tra i più funzionali alla materia narrata che si vedano in Giappone e non c’è dubbio alcuno che Hiromu Arakawa padroneggi la “regia” fumettistica fin nelle minuzie riuscendo a dare alle sue tavole la scansione temporale ed emotiva utile ad evocare le emozioni desiderate.
Insomma, dopo il graditissimo Silver Spoon che l’ha vista raccontare di qualcosa che conosce molto bene e che assolutamente mai avremmo pensato di veder rappresentato in un fumetto (o in un’opera narrativa qualunque) e l’impegno sul remake di Arslan, classico del manga fantasy, vederla cimentarsi nuovamente con uno shonen completamente suo è una gioia e una conferma.