La Stangata: Kakegurui

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Cover del primo volume

Yumeko Jabami non è una normale studentessa giapponese [coro: “Noooooo?”]: individua complessi schemi sociali nel giro di poche interazioni, riesce a memorizzare i simboli mimetizzati nel disegno del dorso di 54 carte da gioco ed associarli ai relativi valori in tre minuti, analizza in pochi secondi il corpo di una persona che le sta di fronte individuando piccole anomalie quasi avesse uno scanner biometrico al posto degli occhi.
Ma, del resto, neanche l’Istituto Privato Hyakkao in cui si è appena trasferita è una “normale scuola giapponese” [coro: “Davverooooooo?”]: destinato ai figli dell’elite fonda il suo sistema educativo sul peculiare presupposto che per chi in futuro dovrà “usare il prossimo” non siano rilevanti né sport né educazione, ma la capacità di mercanteggiare, la capacità di leggere gli altri e, più di tutto, la capacità di reggere e trionfare sotto pressione. In poche parole in questo istituto privato gli scommettitori dominano e le scommesse sono alla base di qualsiasi attività non didattica sotto il ferreo controllo di un Consiglio Studentesco che incoraggia la discriminazione e l’oppressione dei perdenti.

Un mare in cui nuotano solo pesci carnivori, con un branco di squali alla sommità, in cui la educata, sorridente, amichevole Yumeko appare fin da subito un pesciolino d’acquario…

Yumeko Jabami

mentre invece si tratta di un’orca assassina.

Kakegurui, traducibile in “giocatore compulsivo” è il manga sceneggiato da Homura Kawamoto e disegnato da Toru Naomura che racconta le avventure di questa giovane e bellissima fanciulla, quasi l’epitome della bellezza giapponese (anche se con misure più abbondanti della media) in quello che è un dichiarato laboratorio-vivaio della società capitalista contemporanea, in cui prestigio e potere si costruiscono appropriandosi di ciò che è altrui senza troppi scrupoli e senza lesinare in scorrettezze in quanto una volta stabilita la gerarchia, i perdenti rimarranno schiacciati e le loro proteste schernite.

Quello che ci viene presentato è la classica “inversione” del manga scolastico: quella che inscena tra le mura della scuola la degenerazione della comunità, elemento fondante della cultura giapponese, in un gruppo chiuso ed opprimente in cui improvvisamente giunge “l’outsider prodigioso” che comincia ad eroderne la (falsa) compattezza fino ad impensierire i manovratori ma, in questo caso, al posto di una anormale capacità nelle arti marziali, sociali o mistiche, abbiamo l’abilità di biscazziere.

Yumeko Jabami

Del resto nella sua abbondante produzione, la narrativa per immagini del Sol Levante è riuscita a creare una epica anche dei giochi da tavolo: dalle decine di milioni di copie di Hikaru No Go che hanno ridato linfa ad uno dei giochi più antichi e complessi, a Un Marzo da Leoni che è riuscito a far appassionare i lettori della vita di un complessato e misantropo giovane professionista dello Shoji fino ad opere decisamente più fantasiose come la serie di racconti, trasposti poi in animazione, No Game No Life che raccontava l’inarrestabile ascesa a “salvatori dell’umanità” di una coppia di fratellastri catapultati in un mondo fantasy in cui ogni cosa, dalle trattative commerciali al destino delle nazioni, è decisa dalle sfide ai giochi.

Non è insomma per niente inconsueto che al posto dello sport, delle arti marziali o dei maneggi psicologici, “l’arma per cambiare il mondo” sia il gioco, in questo manga nella sua versione meno “pura”. Piuttosto, se vogliamo fare un’appunto a quest’opera, è nel titolo che troviamo una grave incongruenza. Apparentemente “giocatore compulsivo” ben si addice alla protagonista, che non esita neanche un secondo ad accettare la sfida e non ha mai timore di puntare valori il cui solo rischio di perdita raggelerebbe altre persone. Anzi: più la sconfitta ispira terrore, più la “temperatura” di Yumeko si alza, scomponendo il suo portamento aggraziato in pose da accalorata ninfomane.

Ma riflettendo più a fondo: nell’uso comune, “giocatore compulsivo” normalmente identifica una vittima: un malato che sprofonda sempre più nella ripetizione di gesti autodistruttivi. Un peccatore che aggiunge peccato su peccato al suo fardello. Un infelice che sfida la sorte sperando di riconquistare un controllo del proprio destino che, in realtà, probabilmente non ha mai avuto.

Yumeko Jabami

Fin dal primo numero emerge invece fin troppo chiaro che Yumeko ha, perversamente, il perfetto controllo del suo destino: non solo in termini di assoluta comprensione di ciò che le accade intorno e di come sfruttarlo, ma proprio come capacità di influenzare gli eventi.
Viene da chiedersi, seguendone le gesta, se essa sia peccatrice o piuttosto demonio venuto a chiedere il conto alla superbia di chi vede il prossimo solo come frutto da spremere: la voluttà con cui si butta nelle sfide si accompagna ad un continuo provocare l’avversario di turno a osare più di quanto inizialmente previsto, eccedere nel peccato ed affrontare conseguentemente il terrore della punizione. Che lo faccia per appagamento personale è evidente, laddove i protagonisti del citato “No Game No Life” davano per scontato che tutti gli avversari barassero e volgevano a loro favore ciò, Yumeko si spinge oltre: accettando solo sfide in cui è evidente che l’avversario bara e contorcendosi di eccitazione dopo aver scoperto il trucco, contemplando la propria imminente vittoria ma anche, senza dubbio, la disperazione altrui. Tant’è che di fronte ad avversari che barano in maniera noiosa o che si ritirano terrificati, il suo volto capace di esprimere innocente gentilezza, famelica ferocia o volgare eccitazione, si congela nell’espressione di una aristocratica che vede uno scarafaggio.

Quale che sia la verità, in questo primo volume della nuova pubblicazione targata J-Pop testi e disegni riescono a rendere molto bene la folle e perturbatrice insospettabile “doppia natura” della protagonista e dell’ambiente circostante, facendo esaltare il lettore di quello che sembra il continuo ripetersi del combattimento di Jotaro Kujo contro D’Arby The Gambler.

Yumeko Jabami

Questo, neanche troppo paradossalmente si traduce anche nel suo principale difetto: eccessivo nei personaggi e nell’ambientazione, Kakegurui sconta eccessi anche nella sceneggiatura, introducendo fin dall’inizio giochi, inganni e conseguenti ribaltamenti troppo barocchi per appassionare veramente il lettore che non riesce ad entrare totalmente in “volontaria sospensione d’incredulità” e non riesce a mettere a tacere la vocina che si chiede che fine abbia fatto la “banale” abilità manuale e conoscenza della prestidigitazione del baro. Stessa cosa il disegno: impagabile nel rendere l’anormalità di Yumeko, si perde a sovraccaricare anche l’ambiente di chine ed effetti speciali, cercando di rendere l’oppressione del contesto ma dimenticando quanto, a volte, possa essere più opprimente un asettico campo bianco rispetto ad una pagina attraversata da ogni parte da linee cinetiche espressioniste.

Questi due difetti fanno temere a chi, come me, si è appassionato di questo primo volume, che il “gioco possa venire rapidamente a noia”. Ma per non insultare la mostruosa protagonista di questo manga, per cui pare esistere solo un presente di continua eccitazione, me ne preoccuperò quando succederà.

Luca Cerutti

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