Futuro vintage: Atom the Beginning

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Cover del primo volume

Ormai ci stiamo abituando: film, musica, eroi e supereroi tornano a distanza di decenni, quasi mai meno di tre, ed i riflettori sono subito su di loro capitalizzando l’attenzione. Da una parte ci sarebbe da interrogarsi su quanto questo sia un indizio di debolezza creativa dei contemporanei che non sono in grado di inventare nuove “mitologie” in grado di affascinare una generazione oppure, ancora peggio, non vogliono farlo decidendo di ridurre i rischi con operazioni nostalgia o giocandosi il nome di culto (“Blade Runner”, “Alien”, “Ghostbusters”); dall’altro questo è indubbiamente la consacrazione di quegli eroi, di quegli ambienti, di quelle situazioni, in una parola di quelle narrazioni così forti da sopravvivere al loro decennio ed in molti casi, purtroppo, ai loro stessi creatori. Superata la condizione di “successo”, superata l’etichetta di “cult”, diventano nella loro totalità “archetipi”. Non sembra essere neanche un fenomeno esclusivo della moderna società mediatica, se fanno fede le decine di reinterpretazioni e trasposizioni oggi diremmo “transmediatiche” ad opera di teatranti, cantastorie, scrittori e pupari dei classici omerici, virgiliani e poi i cicli cavallereschi carolingi e quelli della Tavola Rotonda. Gli eroi dei nonni vengono riproposti ai padri mirando ai nipoti.

Ma forse la sto prendendo troppo lunga, certo è che non è facile razionalizzare il fatto che nel 2015 si sia sentita l’esigenza di narrare nuovamente le origini di quel Tetsuwan Atom con cui Osamu Tezuka catapultò il manga (1952) e l’animazione giapponese (1963) nel futuro degli esseri artificiali e nei dilemmi sulla sottile separazione tra umano e inumano.

I nostri eroi in camice da genio.

Dopo il più che pregevole tentativo di Naoki Urasawa: Pluto uscito nel 2003 per celebrare i 40 anni dall’anime, ora esce in Italia, a due anni dall’inizio pubblicazioni in Giappone, Atom – The Beginning, che comincia la narrazione ben prima dei fatti narrati dal primp Atom, quando il gentile e impacciato umanista Hiroshi Ochanomizu condivideva con il sarcastico ed egocentrico Umataro Tenma il “laboratorio dei rifiuti” dell’Università Statale di Nerima.

Due fuoricasta generalmente derisi per il loro carattere, il loro aspetto e la generale stramberia del loro approccio alla robotica, diventata “materia fondante” del nuovo mondo, diversissimi tra loro ma uniti dal progetto comune di creare la “nuova generazione” di robot senzienti, grazie al loro progetto A10, giunto con il metallico Six alla sua sesta incarnazione.

Attorno a questo terzetto di personalità (il fulcro della ricerca dei due è, infatti, dare alla macchina dei sentimenti) girano altri personaggi che costruiranno il futuro mondo di Atom: la giovane e taciturna Uran Ochanomizu, l’altezzoso genio prodigio Tsutsumu Moriya e la sorella Motoko, ape regina attratta da Ochanomizu forse solo per capriccio, la famiglia Ban. Ma soprattutto ruota un mondo proiettato ad un futuro di confronto tra uomo e macchina, tra paludati studiosi, avventati esploratori, ciarlatani, umanisti e sfruttatori. Con presentazioni universitarie e tornei di combattimenti tra robot.

Come si capisce, contrariamente al Pluto di Urasawa che metteva la fama di Atom al servizio di una storia di cui lui era uno dei protagonisti, al pari degli altri comprimari, l’opera di Masami Yuki alla sceneggiatura e Tetsuro Kasahara alle chine è invece un totale omaggio al soggetto di Osamu Tezuka ed ai suoi personaggi.

A10 beniamino delle folle

Questo non solo nei testi che si concedono il lusso retrò di dialoghi didascalici e personaggi roboanti, ma anche nei disegni: impregnati della grafica naif degli anni ’60, dei suoi occhi enormi e abuso di volti caricatura come il nasone trapezoidale di Ochanomizu piazzato su un viso perfettamente tondo o il volto fatto solo di spigoli di Tenma. Il tratto è grezzo quasi fosse stato realizzato a matite, carboncini e biro ma si coglie fin troppo bene il fatto che ci sia un lavoro certosino nel cercare questo effetto, visto che quando si passa alle scene d’azione, entra in gioco il moderno armamentario di trucchi del mestiere per ottenere una dinamicità che non sembri ingenua o quasi incomprensibile al lettore moderno.

Volendo criticare questa pubblicazione J-Pop si potrebbe proprio stigmatizzare questa ossessiva ricerca del “fanservice” mirato ai nostalgici, questa patina vintage stesa in abbondanza. Personalmente però mi sono divertito: la storia scorre liscia, tra siparietti comici e momenti d’azione e arriva a fine volume facendo venire la voglia di continuare.
Sfacciato, sì, debitore di un grande nome, certo, ma non noioso o, ancora peggio, incompetente. Un esordio che merita almeno un po’ di fiducia.

Luca Cerutti

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