Era da tanto tempo che Vittorio Giardino lavorava alla nuova avventura di Max Fridman.
Se si guardano i numeri scritti in piccolo presenti su ogni pagina / tavola del fumetto, si può notare come l’ultima risalga al 2023. Nel frattempo – e durante la lavorazione di quest’opera – Giardino ha fatto uscire Il sorriso dell’eros – Little Ego, Eva Miranda e altre seduzioni (2023), ultimo suo lavoro di “recupero”, come anche Tratti in salvo (2022), una serie di storie brevi e disegni inediti, poi l’attesa…
Ci troviamo a Vienna, nel mese di aprile del 1938 ed è da qui, da questa prima didascalia che tutto inizia. Già dalla prima tavola Vittorio Giardino ci porge il benvenuto: delle divise con il dettaglio della svastica stanno muovendosi nell’intento di dipingere la stella di David sulla vetrina di un negozio per far capire ai passanti che lì lavora un ebreo.
La scansione del tempo da parte del maestro bolognese è a dir poco eccezionale. Ogni mese, giorno, ora e minuto viene utilizzato come se quel tempo indicato fosse parte di noi, del nostro quotidiano, quasi a farci sentire in colpa per i ritardi o le mancanze dei protagonisti. Questo incedere costante del tempo è gestito per rafforzare la narrazione lungo i mesi che la costituiscono.
Ci troviamo a ridosso della Seconda Guerra Mondiale e, da un punto di vista di continuity del personaggio, a pochi mesi dall’esperienza in Spagna di Max Fridman con No Pasaran.
Ma fermiamo per un attimo il tempo che scorre altrimenti l’ansia, inesorabilmente, diventa incontrollabile.
Nel suo editoriale, Giardino ci “avvisa” di un aneddoto (con base storico-sociale) riguardante una valigia. Codesto oggetto ha assunto e assume un valore importantissimo nella storia dell’essere umano, soprattutto nel Novecento, arrivando ad essere utilizzata per emigrazioni ed espatri senza eguali. L’autore ci invita a riflettere proprio sul senso di <<cosa mettereste nella valigia se da un momento all’altro doveste partite?>> Riflessione quanto mai attuale che ci introduce nella storia de I cugini Meyer.
Il maestro Giardino torna a scrivere una storia del suo anti-eroe Max Fridman dopo quasi vent’anni, ma il tempo (che nel racconto è pressoché importante) rimane invariato da un punto di vista narratologico. Giardino ambienta le avventure del suo agente segreto negli anni a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, affascinato da quel momento storico-politico.
A differenza delle tre storie precedenti, qui si intravede un’intimità differente, sicuramente figlia dell’esperienza: il fumettista decide di raccontarla dal punto di vista umano e familiare, lasciando da parte servizi segreti, la “Ditta” e cospirazioni varie.
Per rendervi partecipi di questa suggestione, considerate che il protagonista, Max Fridman, debutta nella storia dopo circa 80 tavole (!), lasciando così al lettore non solo la curiosità di scoprire questa entrata in scena ma – e soprattutto – facendoci vivere la quotidianità assurda della famiglia Meyer durante l’occupazione nazista a Vienna. Ecco, sarà solamente nelle seconda parte del fumetto che l’alter-ego di Giardino partirà da Ginevra per arrivare nella capitale austriaca, per aiutare i cugini a preparare un piano di fuga dalla città visto e considerato che il regime nazionalista e parte dell’Europa intera (Italia inclusa) aveva emanato leggi razziali e decreti assurdi nei confronti degli ebrei.
Una storia, questa, che si fa carico dell’animo personale per raccontarci con coralità un periodo devastante dell’Europa dei primi anni ‘40 del Novecento.
Giardino, tra l’altro, riesce a mettere in scena attori che hanno una forte carica personale, non lasciando alcuna sfumatura al caso bensì denotando una forte ricerca di studio, sia da un punto di vista caratteriale che scenografico, oltre – ovviamente – a quello storiografico. Basti solo pensare che incentra alcune situazioni durante la Notte dei Cristalli o, ancor di più, all’Anschluss, il giorno dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista.
È importante partire da avvenimenti storici reali per contestualizzare la parte di fiction messa su dal fumettista. Senza di essa, la storia potrebbe risentire di buchi di sceneggiatura o, a dirla tutta, non risultare veritiera. Così, il tappeto steso dalla Storia diventa, da solo, portatore di vite vissute.
Da un punto di vista, grafico le tavole del maestro bolognese rappresentano una conferma visiva importante. È chiaro oramai che il suo tratto è più che riconoscibile, non solo per il disegno di personaggi, luoghi o contesti ma anche per l’uso del layout nella costruzione della “gabbia”, dove riesce sempre a rompere con la fisicità delle vignette inventandosi situazioni e modi davvero affascinanti. Non è da meno, l’uso del colore: basti vedere, come dicevamo, la prima tavola (una su tutte) per leggere la struttura grafica dei simboli e della narrazione senza dialoghi.
I cugini Meyer, questa nuova avventura di Max Fridman, lascia inermi – anche dopo decenni dai fatti narrati – di fronte alla brutalità di un regime senza senso. Un nuovo tassello che – inserito e letto insieme a Rapsodia Ungherese, La porta d’Oriente e No Pasaran – restituisce un quadro dettagliato e storico dell’Europa della prima metà del Novecento.
Una sorta di viaggio nel tempo: un po’ come lo fece Edgar Reitz – con il suo lungo Heimat – da un punto di vista cinematografico.
Del resto, non tutti possono permettersi di raccontare storie così importanti, e chi lo fa – oltre ad assumersi una grossa responsabilità morale e culturale – spesso riesce a definire il senso delle cose restituendoci anni di lavoro in grazia e volontà di condivisione.
Perché alla fine, se Giardino ci parla ancora di fascismo e nazismo nel 2025, non è semplicemente per gusto personale verso un contesto storico, ma – come immagino – anche per lasciarci una riflessione sul quel maledetto modo di gestire il mondo, attraverso guerre e disastri umani che pensavamo di non rivedere mai più.