“L’héritage fossile” di Philippe Valette

La science-fiction come interrogazione filosofica sul senso del nostro stare, qui e altrove

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Dapprima c’è il formato, inusuale: quadrato. Poi le prime cinque tavole: nel silenzio più totale – nessuna didascalia, nessuna parola, ma quanti suoni nella mente – un vecchio e un bambino marciano in una tempesta di sabbia.

Nella pagina successiva, quattro astronauti si risvegliano (sapremo – poi – a intervalli regolari) da un sonno criogenetico al fine di colonizzare con embrioni umani un pianeta lontano 20.000 anni-luce. Ma al primo risveglio, dalla Terra non giunge più alcun segnale, e al secondo…
La narrazione prosegue per flashback, da quanto succede nell’astronave alla marcia forzata dei due nel pianeta di destinazione, inchiodando il lettore alla scoperta di quanto accaduto e di cosa accadrà.

Philippe Valette non è nuovo al fumetto, sebbene i suoi primi due lavori, dal tono umoristico e parodistico diametralmente opposto, siano inediti in Italia (e il secondo, Jean Doux et le mystère de le disquette molle, ha vinto il Festival di Angoulême 2017 nella sezione Fauve Polar SNCF). Proviene dal cinema d’animazione, e si vede: i personaggi, disegnati al computer secondo un tratto comunque manuale, sono inseriti in ambienti digitali 3D che partecipano non poco allo straniamento voluto dall’autore.

Il formato non costringe – bensì aumenta – le possibilità grafiche del racconto, riducendo le vignette o ampliando gli spazi secondo l’agire e il sentire dei personaggi. Il tema non è nuovo, 2001 Odissea nello spazio campeggia: ma Valette rinnova il genere come pochi, ed era dai tempi del primo Alien (1979) che le stelle non erano così silenziose – e noi umani così soli e disarmati di fronte al vuoto infinito.

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Vasco Zara

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