L’inizio è da antologia: una lezione di sceneggiatura utile a scrittori esordienti ma anche a quelli scafati. La piana americana di fine Ottocento: le didascalie declamano i salmi, ma in realtà è un fanciullo indiano – vestito da bianco – a recitarli di fronte a una coppia, un pastore e una giovane borghese, che trasuda ipocrisia.
Spuntano tre cavalieri: inizia un massacro che in maniera inaspettata sarà terminato dal cacciatore di taglie al séguito. L’ambiente è dato senza nulla esplicitare, nella costruzione della tavola e nelle parole che suggeriscono relazioni di cui non sappiamo nulla. Si dipana allora una storia dal duplice versante, di vendetta e di formazione, che seguiamo passo a passo.
Neyef, al secolo Romain Maufront (di cui nulla è – ancora – stato pubblicato in Italia) dimostra di aver assimilato i classici cinematografici che hanno rinnovato il western negli anni Settanta – Peckinpah, Leone e più tardi Eastwood – ma anche, visualmente e non solo nell’approccio ai contenuti, Era mio padre di Sam Mendes, tratto a sua volta dal fumetto di Max Allan Collins (La strada della perdizione, Magic Press 1998, Panini Comics 2011).
Il segno è una sintesi delle nuove generazioni cresciute a manga e comics, i colori digitali, i dialoghi incisivi. Il racconto rinnova il piacere della lettura e – l’appunto non è affatto secondario – la sorprendente immersione culturale smentisce le sterili polemiche di genere et similia che affliggono anche il mondo editoriale, pretendendo ad esempio che traduttori maschili (o bianchi) non possano rendere la scrittura femminile (o nera) e viceversa. Un western che è già un punto di riferimento.