Anche per questa rubrica ci sarà una novità nel 2025: ho deciso, infatti, di non limitarmi più (come fatto finora) alle BD della scuola franco-belga che sono poi state pubblicate in Italia, ma anche di prendere in esame – di quando in quando – opere che non sono state tradotte, iniziando da questi tre albi pubblicati tra il 2018 e il 2019 cui sono particolarmente legato a causa dei miei studi universitari.
Sono sempre stato restio a leggere fumetti tratti da romanzi, a maggior ragione quando si trattava di BD: mi sembrava infatti che l’esiguo spazio a disposizione degli sceneggiatori / adattatori (in genere, una sessantina di pagine al massimo) costituisse una limitazione troppo stringente… Inoltre, le rare volte che ho letto qualche adattamento, mi sono sempre trovato a fare un raffronto con l’opera originale (“Cosa è stato tolto o modificato?” oppure “Come è stata resa quella sequenza?” e così via) che mi toglieva buona parte del piacere della lettura del fumetto in sé.
Per questa trilogia, però, ho fatto volentieri un’eccezione, memore di quando – studente universitario – mi ero imbattuto nel Mistero della camera gialla durante il corso di Storia della cultura francese dedicato alla figura del “Grande criminale romantico”: fu in quell’occasione che scoprii il reporter-detective Rouletabille creato da Gaston Leroux, famoso giornalista e autore di romanzi polizieschi e d’avventura, tra cui il più conosciuto (ne parlerò in séguito) è naturalmente Il fantasma dell’Opera.
Tornando al Mistero della camera gialla, ricordo ancora le accanite discussioni con la mia professoressa, che magnificava come geniali e insuperabili le soluzioni architettate da Leroux per svelare gli enigmi – apparentemente inspiegabili – su cui era basata la trama: prima un classico “delitto in camera chiusa” e poi la scena in cui il colpevole si volatilizzava letteralmente, sfuggendo agli inseguitori dietro l’angolo di un corridoio (non mi addentro nei dettagli per evitare qualsiasi spoiler). Secondo me, il delitto nella camera chiusa si basava su un falso presupposto che alterava tutte le possibili ricostruzioni e quindi era molto meno geniale di decine di altri “delitti” simili, gestiti con più maestria – e correttezza verso i lettori – da altri autori di libri gialli e finanche di fumetti (portai come esempio il n° 7 di Luc Orient); la spiegazione del secondo episodio, inoltre, richiedeva una sospensione dell’incredulità portata agli estremi – e anche MOLTO oltre, sempre secondo il mio parere… (PS: nonostante le discussioni sui punti di vista inconciliabili, ottenni comunque il massimo dei voti)
Com’era riuscito lo sceneggiatore / adattatore Jean-Charles Gaudin a sintetizzare in sole 60 pagine l’intricata trama? Nel modo più semplice: sfoltendo abbondantemente capitoli e capitoli dell’originale (composto da qualche centinaio di pagine) e semplificando al massimo il lato feuilletonesco di cui era imbevuto il romanzo, ben coadiuvato dai disegni di Sibin Slavkovic. Tuttavia, mi restava la sensazione sperimentata tante volte per altri adattamenti: e cioè che certi passaggi potevano essere capiti appieno solo conoscendo l’opera originale – sensazione che ho sempre provato anche per molti adattamenti cinematografici, beninteso (un esempio? La saga di Harry Potter), che rispetto ad un fumetto di 60 pagine possono tra l’altro dispiegarsi su un paio d’ore e più di fruizione coadiuvata da immagini in movimento.
Lo stesso valeva per il secondo albo della trilogia, Il profumo della dama in nero, sequel del Mistero in cui il versante feuilletonesco veniva sviluppato un po’ di più a discapito della trama “gialla”, basata di nuovo su una robusta sospensione dell’incredulità: stessi pregi e stessi “difetti” del primo capitolo, insomma, seppur miscelati diversamente – e soprattutto con i disegni di Christophe Picaud che riusciva al contempo a mantenere le caratteristiche fisiche dei protagonisti delineate dal suo predecessore e a migliorarle, raggiungendo livelli di assoluta eccellenza.
Alla fine, l’albo migliore della trilogia era l’ultimo, Il fantasma dell’Opera, ovvero il romanzo più famoso e più “reinterpretato” di Leroux con decine di versioni cinematografiche e teatrali: basterà ricordare il film con Lon Chaney del 1925 e il musical di Andrew Lloyd Webber del 1986 (per non parlare del brioso e simil-demenziale adattamento di Tiziano Sclavi per Mister No). Albo migliore della trilogia… ma grazie ad un artificio: infatti questo romanzo non fa parte della serie di Rouletabille. Il reporter vi viene inserito come voce co-narrante, che ricostruisce la vicenda dialogando con il Persiano, già protagonista del romanzo e fondamentale per il lieto fine della struggente vicenda tra lo sfigurato Erik, la cantante Christine e l’innamorato Raoul. Gran parte dell’ottimo risultato era comunque dovuto, anche stavolta, ai magnifici disegni di Picaud, autore tra l’altro di una stupenda tavola a tutta pagina che raffigurava uno degli episodi più noti del romanzo.
Tre albi in crescendo, quindi, che ho letto con piacere nonostante le “riserve” sugli adattamenti di cui parlavo in precedenza.
Rouletabille è lo pseudonimo (tradotto alla lettera, significa “Fai rotolare la tua biglia”) di Joseph Joséphin, reporter-detective protagonista di otto romanzi di Gaston Leroux pubblicati tra il 1907 e il 1922. La sua enorme popolarità in Francia è testimoniata dalle numerose trasposizioni cinematografiche e da ben quattro adattamenti seriali a fumetti, apparsi a partire dal 1965.
La serie qui descritta, il cui titolo ufficiale è Une aventure de Rouletabille per distinguerla dai tre adattamenti precedenti, è stata pubblicata tra marzo 2018 e agosto 2019 e risulta ancora ufficialmente in corso, sebbene – come per altre BD di cui abbiamo già parlato in precedenza – non siano attualmente previsti ulteriori albi.
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