Dopo questo numero Dylan Dog Old Boy cambierà nuovamente formato: la numerazione ripartirà da uno e verrà ridotta la foliazione. Rimarrà invece invariata l’ambientazione anni Ottanta che ha contraddistinto la testata negli ultimi anni.
Nell’attesa di scoprire se questa seconda evoluzione della pubblicazione funzionerà concentriamoci, per adesso, sulle due storie di questo volume.
“Il male necessario”
di Davide Piccatto, Andrea Cavaletto, Luigi Mignacco, Francesco Ripoli e Riccardo Torti
Alla base del racconto ideato da Davide Piccatto e sviluppato da Andrea Cavaletto vi è una nostalgica rievocazione delle atmosfere paterne (Golconda fra tutte) mescolata assieme ad una deriva filosofica che parte da Schopenhauer (“la mancanza di sfide, passioni o persino ostacoli possa condurre a una condizione di torpore mentale ed emotivo”), passa per Hannah Arendt (“la mancanza di pensiero critico e di stimoli morali possa condurre alla disumanizzazione dell’individuo, rendendolo incapace di distinguere il bene dal male”) e arriva fino a Nietzsche (“senza stimoli che guidino l’agire umano, si scivola in una condizione di vuoto esistenziale che può risultare persino più devastante della sofferenza”).
Ne viene fuori un racconto volto ad enfatizzare la necessità di un confronto / dualismo tra bene e male.
Una ricerca di equilibrio in un periodo storico in cui l’alienazione torna ad essere tema centrale è sicuramente un punto a favore del racconto. In più, questa piaga silenziosa che priva i personaggi della loro stessa umanità, della loro empatia, si confronta con un mondo dagli sfondi grotteschi come da sclaviana memoria. Eppure il tutto, nonostante momenti interessanti, risulta un po’ troppo confuso. Nonostante quindi un tema di base abbastanza interessante (la scomparsa del male e le conseguenze sulla società), la sua trattazione rimane a metà strada tra il superficiale e il caotico con un’accelerazione un po’ eccessiva sul finale che sacrifica il climax del racconto. Anche la narrazione scelta, tra il grottesco e il filosofico, finisce per straniare più che affascinare. Efficaci invece – e perfettamente in linea con le tematiche e l’ambientazione – i disegni di Francesco Ripoli e Riccardo Torti, che valorizzano le citazioni di/per Piccatto e il mood della storia.
“L’onda Theta”
di Luigi Mignacco e Riccardo Torti
Luigi Mignacco prende spunto da Severance, l’ottima serie di Dan Erickson, la rivede in chiave kubrikiana e dà forma ad un semplice giallo investigativo abilmente mascherato da incubo claustrofobico. Tra le infinite citazioni l’autore sceglie sin da subito di evitare di puntare tutto sullo svelamento finale e un eventuale colpo di scena, preferendo invece una costruzione a compartimenti: uno lo svelamento dell’altro. Se da un lato Dylan vive il suo orrore alienato di kafkiana memoria, dall’altro Bloch indaga per svelarne il mistero.
Così facendo Mignacco può divertirsi – grazie all’ottimo lavoro di Riccardo Torti – ad esplorare le soffocanti alienazioni sociali, il senso di smarrimento e claustrofobia.
Così, per quanto la storia non brilli né di originalità né di coinvolgimento, il tema della perdita dell’identità, quello della manipolazione mentale e la critica a sistemi autoritari che controllano e reprimono l’individuo, riescono a passare con sufficiente interesse.