In molte occasioni, parlando di fumetti con il mio amico Butch Walts, è venuta fuori la mia idiosincrasia per quelli che propongono animali antropomorfizzati come protagonisti: infatti, in genere sostenevo di fare un’unica “eccezione” per Maus, il capolavoro di Art Spiegelman di cui ho parlato nella rubrica Evergreen. Naturalmente Butch, nella sua solita modalità da “grillo pedante”, non mancava di stuzzicarmi al grido di “E allora Topolino e Paperino? Hai sempre letto e apprezzato i fumetti Disney!” Tutto vero: ma NON ho mai considerato quei personaggi come “animali”… Cioè, so benissimo che Topolino è un topo e Paperino è un papero come tutti i suoi parenti (e capirai…), ma sono praticamente arrivato all’adolescenza senza pormi problemi con gli altri personaggi: per me Orazio era Orazio, NON un cavallo – e confesso che se qualcuno mi avesse chiesto che animale era Gambadilegno, non avrei saputo rispondere su due piedi… per me era semplicemente Gambadilegno!
Detto tutto questo, negli anni ho comunque cercato di leggere qualche fumetto con animali antropomorfi, spesso protagonisti di storie gialle e poliziesche, ma devo ammettere di essermi arenato ben presto, ad esempio con il francese Canardo di Benoît Sokal o con i bonelliani Bastardi di Pizzofalcone, creati a partire dai romanzi di Maurizio de Giovanni. L’unico “animale” che ho finito per apprezzare è il gattone nero Blacksad, creato dagli autori spagnoli Juan Diaz Canales (testi) e Juanjo Guarnido (disegni) nel tradizionale formato da BD per la casa editrice Dargaud.
Blacksad è il classico detective privato da storie hard-boiled: vestito con l’impermeabile d’ordinanza, sigaretta in bocca, in pessimi rapporti con le forze dell’ordine, autore di monologhi interiori… sembra uscito dalle pagine di un Hammett o un Chandler. Un antieroe solitario, cinico e disilluso ma al contempo idealista, cosciente di doversi sporcare le mani per risolvere i casi che gli vengono affidati. Le avventure in cui viene coinvolto, talvolta suo malgrado, sono ambientate negli Stati Uniti del secondo dopoguerra e ce lo mostrano alle prese con ricchi industriali o politici corrotti, ma senza manicheismi di maniera: l’umanità che gli ruota intorno è ambigua, il comportamento di alcuni personaggi trae in inganno il lettore creando (pre)giudizi poi smentiti dagli sviluppi della trama e da finali che lasciano l’amaro in bocca.
Se l’antropomorfizzazione mi sembra ricoprire un ruolo secondario (forse è per questo che Blacksad mi ha attratto più di altri fumetti simili?), posso senz’altro affermare che gli autori riescono a creare storie interessanti grazie a due fattori fondamentali. Innanzitutto l’uso spettacolare dei colori per caratterizzare ogni albo sin dalla copertina: il bianco accecante della neve – ma anche del suprematismo di razza – in Arctic Nation, il blu de L’inferno, il silenzio usato per raccontare il jazz, il rosso per la paura della bomba atomica e del comunismo in Anima rossa… Un fattore altrettanto importante è il layout cinematografico delle pagine, con tavole equilibratissime che mostrano i personaggi sempre piazzati al posto giusto e scene dense di dettagli.
La continuity tra una storia e l’altra è blandissima (spesso legata alla presenza del reporter Weekly, un volpino), probabilmente anche a causa della frequenza di pubblicazione non esattamente serrata: i primi cinque albi di Blacksad sono infatti apparsi in Francia tra il 2000 e il 2013, seguìti nel 2021 da E poi non resta niente – Prima parte di cui aspettiamo ancora la conclusione e in cui Weekly si merita un ruolo di primo piano, sin dalla copertina.
Oltre a questi sei albi, Blacksad è apparso in un paio di storie brevissime (due tavole ciascuna) particolarmente azzeccate, soprattutto quella intitolata Sputare al cielo.
In Italia, tutti gli albi di Blacksad sono stati pubblicati da Rizzoli Lizard. Per chi volesse (ri)scoprire questo personaggio consiglio in particolare l’Integrale, che contiene i primi cinque albi e numerosi extra.
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